Il continente misterioso/22. Il prigioniero bianco

22. Il prigioniero bianco

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22.

IL PRIGIONIERO BIANCO


Il dottore, spinto da una irresistibile curiosità, varcò la soglia di quel misero abituro, ma, essendo oscuro, dapprima nulla potè vedere. Abituati però a poco a poco gli occhi, scorse in un angolo una forma umana, sdraiata su di un mucchio di foglie secche e che pareva sonnecchiasse.

S'avvicinò rapidamente e guardò quello sconosciuto, che era coperto di alcuni cenci, che ricordavano vagamente le forme di una casacca e d'un paio di pantaloni. Un grido di sorpresa gli sfuggì nel vedere che quell'uomo era un bianco.

Poteva avere quarant'anni. Era di statura alta, colle spalle larghe, il petto ampio, le braccia muscolose, il volto leggermente abbronzato, coperto da una folta barba nera, i lineamenti energici.

Dormiva tranquillamente come si trovasse sdraiato su un comodo letto e in una stanza, lontano mille miglia da quella tribù che forse doveva fra poco metterlo allo spiedo come un semplice quarto di bue.

— Chi era costui? — si chiese il dottore, con viva ansietà. — Qualche disgraziato esploratore caduto nelle mani di questi furfanti, o qualche drayman?

Si avvicinò ancor più e lo scosse dolcemente. Lo sconosciuto si stropicciò gli occhi, si alzò a sedere e non potè frenare un moto di stupore nello scorgere il nuovo prigioniero.

— Un compagno di sventura? — chiese egli in inglese, fissando sul dottore due occhi neri e vivacissimi.

— Pur troppo, signore — rispose Alvaro.

— Siete caduto nelle mani d'una brutta compagnia, signore — disse lo sconosciuto. — Carramba!...

— Carramba! — esclamò il dottore. — Siete spagnolo, voi, signore?

— Quasi. E voi?

— Ispano-americano.

— Toh!... — esclamò il prigioniero, al colmo della sorpresa. — Come mai trovo qui, nell'interno del continente, un ispano-americano? L'avventura è bizzarra, in fede mia.

Il dottore non rispose. Egli guardava attentamente quello sconosciuto, come se avesse voluto leggergli in fondo al cuore. Un sospetto gli balenò, ma era tal mente assurdo che dapprima lo respinse; pure non seppe più frenarsi e disse con voce tremante per l'emozione:

— Ma... sareste voi...

— Benito Herrera, ai vostri ordini, signore.

Il dottore mandò un grido di gioia impossibile a dirsi e si precipitò a braccia aperte verso lo scienziato, che lo guardava stupito, chiedendosi senza dubbio il motivo di quel grido.

— Voi!... — esclamò il dottore, fuori di sé per la contentezza. — Voi, lo scienziato, il valente esploratore che l'intero Paraguay piangeva come morto!... Voi, señor Herrera!...

— Oh! — esclamò l'esploratore, che cadeva a sua volta di sorpresa in sorpresa. — Pare che voi mi conosciate, signor...

— Alvaro Cristóbal di Assuncion, medico della marina militare del Paraguay.

— Un compatriota!... — gridò Herrera aprendo le braccia. — Qui, qui sul mio cuore, señor Alvaro Cristóbal.

I due uomini si precipitarono l'uno nelle braccia dell'altro, entrambi estremamente commossi da quell'incontro, che poteva chiamarsi miracoloso.

— Finalmente vi ho ritrovato — disse il dottore stringendoselo al petto.

— Mi avete ritrovato!... Ma mi cercavate voi?...

— Ma sì, señor Herrera. Sono quasi quattro mesi che marcio nell'interno del continente, per venirvi a cercare.

— Voi?... E chi vi ha mandato sulle mie tracce?

— Il nostro governo, che si era vivamente interessato della vostra scomparsa.

— Ma dunque si sapeva che io ero prigioniero?

— Lo si sospettava, mancando vostre notizie da cinque mesi. Il governo inglese aveva fatto delle indagini, ma senza alcun frutto; alcuni selvaggi dell'interno avevano però detto di aver incontrato un uomo bianco presso i monti Davemport ed altri presso questo lago. Io decisi di partire per venire a cercarvi e ringrazio Iddio di avervi finalmente incontrato.

— Grazie, mio generoso amico — disse l'esploratore con voce commossa.

— Narratemi qualche cosa del vostro viaggio, señor Herrera.

— Buon Dio, fu un viaggio disgraziato assai, dottore, una serie non interrotta di disgrazie, di fatiche, di privazioni e che terminò con un vero disastro. Si avrebbe detto che tutto congiurava contro di me, per non lasciarmi esplorare questo continente misterioso, questa terra del paradosso.

"Ho sostenuto una mezza dozzina di assalti da parte dei selvaggi, perdendo la metà delle mie guide e dei birmani che io avevo condotto dall'Asia; poi mi colsero centomila disgrazie. Perdetti i quattro cammelli che mi seguivano, abbandonai uno dei miei tre drays per la morte degli animali che lo trascinavano, soffrii la fame e la sete in quel terribile deserto di pietre, e giunsi presso questo lago dopo un viaggio di quattro mesi, con tre australiani della mia scorta, un birmano e quattro buoi moribondi.

"Ciò avveniva due mesi or sono. Un brutto giorno, mi vedo giungere addosso una valanga di abbominevoli antropofaghi. Mi uccidono i quattro uomini della scorta, mi massacrano gli animali, mi stordiscono con un colpo di scure e mi trascinano qui, dopo, di aver saccheggiato i miei drays, disperse le mie note e le mie preziose collezioni, e d'avermi privato perfino delle vesti che mi coprivano.

"Credetti che mi serbassero per qualche grande banchetto, ma invece, con mia grande sorpresa, mi lasciarono la vita. Io temo però che m'ingrassino per procurarsi un arrosto più delicato, poiché mi forniscono sempre abbondanti cibi, costringendomi di frequente a mangiare tanto da correre il pericolo di scoppiare.

"Ora, però, sembra che la mia situazione sia cambiata. Due giorni or sono vidi entrare in questo tugurio un selvaggio che prima non avevo mai veduto, accompagnato da uno struzzo semipelato, e chiestomi se avevo dei parenti ricchi in qualche angolo del globo e se ero conosciuto dalle autorità inglesi di Adelaide, dopo le mie risposte affermative, mi lasciò tutto contento dicendomi: «Voi valete dell'oro: sperate». ci capite qualche cosa voi? Io no, ve lo assicuro."

— Comprendo fin troppo! — disse il dottore. — Quel selvaggio era il kerredais.

— Quale kerredais? Orsù, mio buon amico, spiegatevi.

Il dottore non se lo fece dir due volte e gli spiegò la trama infernale del miserabile Niro-Warranga e dello stregone.

— È un ricatto adunque, che la vostra guida tenta! — esclamò Herrera al colmo della sorpresa. — Tanta audacia e tanta astuzia in quel vostro selvaggio!... carramba! E dicono che gli australiani sono stupidi!...

— Sì, Herrera, è un ricatto, e poco fa Niro-Warranga mi ha detto che se noi non firmiamo due tratte di quattromila sterline ciascuna, ci darà da mangiare ai suoi sudditi.

— Ne sono capaci, dottore. Hanno divorato anche i quattro uomini della mia scorta.

— Ma noi non firmeremo, per ora.

— Sperate in qualche aiuto?

— Nei miei due marinai. Sono uomini risoluti, coraggiosi fino alla temerità, e sono certo che a quest'ora mettono a soqquadro il territorio, per recarci degli aiuti.

— Ma essi sono due e questi negri sono trecento, dottore.

— Verranno in nostro soccorso e uccideranno quel miserabile Niro-Warranga.

— Ma dove sono ora?

— Lo ignoro. Ieri sera si trovavano prigionieri in fondo ad un albero scavato, ma non sono uomini da rimanere là dentro.

— Sono bene armati?

— Di fucili, di rivoltelle e di scuri.

— Speriamo, mio buon amico.

— Zitto!...

Si udiva un passo leggero avvicinarsi al tugurio. Il dottore accostò un occhio ad una fessura e vide inoltrarsi nella palizzata, che formava una specie di corridoio fra le due capanne, Niro-Warranga.

Il nuovo capo di quelle tribù di abbominevoli antropofaghi, si era messo in grande gala. Aveva indossato una lunga camicia di flanella rossa, trovata nelle casse del dray, si era messo in capo un berretto gallonato del dottore ornandolo con due penne d'aquila audace e si era appese alla cintura quattro rivoltelle!... Voleva, con quell'imponente arsenale, spaventare i due prigionieri od i suoi sudditi?

— Che magnifica scimmia! — esclamò il dottore.

Niro-Warranga entrò salutando ironicamente il suo ex-padrone e, prendendo un atteggiamento che voleva essere superbo, ma che invece riuscì comico, chiese:

— La risposta?

— Quale? — domandò il dottore.

— Acconsente il vostro compagno?

— Acconsentirei volentieri, signor capo di antropofaghi — disse l'esploratore. — Disgraziatamente la mia firma è sconosciuta presso le banche australiane ed invece di darvi dei denari, vi metteranno in prigione.

Un sorriso contorse le labbra di Niro-Warranga.

— Se la vostra firma è sconosciuta presso le banche, la conoscerà il vostro amico sir Hunther, il noto milionario di Adelaide.

— Chi è questo sir Hunther? — chiese Herrera fingendo sorpresa, mentre il dottore faceva uno sforzo supremo per non balzare alla gola del miserabile.

— L'uomo che mise il suo yacht a disposizione del mio ex-padrone, che ora deve incrociare nel golfo di Carpentaria e che spese per voi non poche sterline per farvi cercare.

— Canaglia! — esclamò Alvaro. — Ah! Tu sai questo?

— Credete forse che Niro-Warranga non avesse udito il vostro discorso, fatto ai marinai, sulle sponde del lago Torrens?

— Ti farò appiccare!...

— E da chi, mio buon padrone?

— Dalle autorità inglesi.

— Bah! Sono lontane!

— Ma Diego e Cardozo sono liberi ancora.

— È vero, — disse l'australiano, mentre un lampo feroce gli balenava negli occhi, — ma presto o tardi cadranno in mio potere e quel vecchio lupo non uscirà vivo dalle mani dello stregone.

— Infame!...

— Come vi garba. Orsù, finiamola; vi decidete a firmare le tratte ed a scrivere due lettere al ricco inglese perché le paghi?... Mi occorrono le armi ed ho fretta di effettuare i miei grandiosi progetti.

— Per poi ucciderci? È così, signor capo degli antropofaghi? — chiese Herrera ironicamente.

— Niro-Warranga vi farà condurre alla costa del golfo di Carpentaria; avete la sua parola.

— La parola d'un ladro e d'un traditore! — esclamò il dottore. — Fidatevi di questa canaglia!...

— Rifiutate?

— Rifiutiamo.

Niro-Warranga emise un urlo di rabbia e le sue mani si posarono sui calci delle rivoltelle, ma poi, trattenendosi, disse con accento minaccioso: — Sta bene! Fra tre giorni vi mangeremo!...