Il capitano della Djumna/Parte seconda/20. L'arenamento del pariah

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20. L'ARENAMENTO DEL PARIAH


Avanti che questi ultimi avvenimenti accadessero sulle spiagge della Piccola Andamana, il pariah montato da Edoardo, da Oliviero e dal vecchio Harry, in preda alle fiamme e ormai privo del timone, veniva travolto dalla tempesta.

La situazione del disgraziato veliero poteva ben chiamarsi disperata. Privo di vele, senza l'albero maestro, col trinchetto ancora fiammeggiante, senza direzione alcuna, dopo il colpo di scure del traditore che aveva scardinato il timone, si poteva considerare come un rottame in balìa delle onde ed in procinto di sfasciarsi, poiché il forte vento lo spingeva contro le scogliere meridionali dell'isola.

Harry, Oliviero ed Edoardo, ancora sorpresi da quell'improvviso colpo di scena e dalla scomparsa di Garrovi, precipitatosi fra le onde spumanti assieme a quella fanciulla, non si erano subito accorti della gravità di quel colpo di scure.

Fu un vero urlo di disperazione quello che irruppe dai loro petti, nello scorgere la ribolla spaccata ed il timone galleggiante sulla cresta di un'onda.

— Siamo perduti! — esclamò Harry, strappandosi una ciocca di capelli. — Il miserabile ci ha rovinati!

— Che i pescicani inghiottiscano quel cane di Garrovi! — urlò Edoardo.

— Harry, vecchio mio — disse Oliviero, che pareva avesse prontamente riacquistato il suo sangue freddo. — La costa è là, a meno di tre miglia: raggiungiamola.

— Ma le onde infrangeranno la nave, signore — rispose Harry.

— Noi però salveremo la nostra vita.

— Temo il contrario, signore. Questo mare ci spazzerà via tutti, assieme ai rottami.

— Tentiamo la sorte.

— No! Vi è ancora una speranza.

— Quale, Harry?

— Silenzio, signore.

Poi, rizzandosi sul cassero, tuonò:

— Quattro uomini al trinchetto: tagliatelo e gettatelo in mare. Sei uomini a poppa con un pennone ed alcune tavole! Signor Oliviero, datemi delle funi!

Mentre alcuni indiani assalivano l'albero che ancora fiammeggiava, cercando di farlo cadere, altri portarono a poppa un pennone che era sfuggito all'incendio ed alcune tavole strappate alla murata di babordo.

— Che cosa vuoi fare, Harry? — chiese Oliviero, porgendogli delle funi.

— Surrogare il timone spezzato da Garrovi — rispose il marinaio.

— In qual modo?

— Lo vedrete.

Afferrò le tavole e le legò all'estremità del pennone, poi, avendo chiesto dei chiodi, le saldò le une colle altre, formando una specie di pala, ma che rassomigliava, bene o male, ad un remo. Ciò fatto immerse il pennone a poppa, legando l'estremità opposta al cardine superiore del timone.

— Vi sono dei rottami a prua? — chiese.

— Sì — risposero gl'indiani.

— Alzate un alberetto e spiegate una vela di ricambio.

Mentre l'equipaggio s'affrettava ad obbedirlo colla massima rapidità, l'albero di trinchetto, tagliato alla base, cadeva a babordo, tuffando l'estremità in mare e fracassando parte della murata.

I pennoni, le vele ed i cordami che ancora fiammeggiavano, si spensero bruscamente, evitando in tal modo che l'incendio si estendesse e permettendo all'equipaggio di manovrare liberamente.

Una vela di ricambio, spiegata sul castello di prua, sopra due pennoni mantenuti ritti lungo le murate e solidamente legati, già si gonfiava sotto i furiosi colpi di vento. Harry fece agire il suo lungo remo e vide che la nave obbediva.

— La prora a terra, — diss'egli — e confidiamo in Dio!

La spiaggia non era lontana più di tre miglia, ma in quel luogo non offriva approdi. Non vi erano né seni, né cale, né aperture dove si potesse trovare un rifugio contro le onde incalzanti. Scendeva ripida come una muraglia e per di più, dinanzi a essa, s'estendevano delle lunghe file di scogliere e di banchi, segnalate dal rimbalzare furioso dei flutti.

— Dove approderemo, Harry? — chiese Oliviero.

— Non lo so ancora, signore — rispose il vecchio. — Questa oscurità m'impedisce di distinguere la costa.

— Sei certo che sia la Piccola Andamana, quella che ci sta dinanzi?

— Non m'inganno.

— Credi che sia possibile tenere il mare fino all'alba?

— Temo che il mio timone si spezzi e che l'uragano ci trascini lontani.

— Allora bisogna cercare un rifugio.

— Sì, signor Oliviero.

— E Garrovi, dove sarà andato?

— Che le onde stritolino quella canaglia!

— Ma quella fanciulla? Forse non ha veruna colpa.

— Lo credete? Ed io invece credo che sia stata quella briccona a guastarci l'alberatura.

— Lei, così piccina!

— Garrovi non lasciava la sua cabina, signor Oliviero; di questo sono certo.

— Ma come si trovava a bordo quella fanciulla?

— Non lo so.

— Vorrei spiegare questo mistero.

— Temo che non lo spiegheremo mai. È impossibile che Garrovi abbia potuto raggiungere la spiaggia, con quest'uragano. Si sarà affogato con quella briccona di sua figlia. Ohe!... Scogliere dinanzi a noi?

— Sì — gridò Edoardo, che si trovava a prua.

— Corna di bisonte!... Vi è un passaggio?

— Sì — risposero gl'indiani.

— Mi pare di vederlo — rispose il vecchio marinaio.

— Non possiamo girarlo al largo? — chiese Oliviero.

— È impossibile, signore. L'uragano ci spinge innanzi e la vela non è sufficiente per virare di bordo.

— Urteremo?

— Lo sapremo più tardi: tentiamo la sorte.

Dinanzi al pariah, a tre o quattrocento metri, si vedeva una lunga fila di scogli, la quale, staccandosi dalla spiaggia, si estendeva verso l'ovest per parecchie miglia, a quanto pareva.

Il vento impetuosissimo e le onde spingevano la nave appunto verso quelle scogliere. Fortunatamente quella linea pareva interrotta da un largo canale, entro cui si precipitavano, muggendo, i marosi.

Harry, quantunque non ignorasse il pericolo che stava per affrontare, non potendo conoscere la profondità di quel canale, né sapere se era sgombro di banchi, lanciò risolutamente il pariah diritto quel passo.

— Fermi in gambe! — gridò.

Il pariah, travolto dalle onde, si cacciò nel canale colla velocità d'un cavallo lanciato ventre a terra, ma d'improvviso avvenne un cozzo violento e s'arrestò di colpo, sbandandosi sul tribordo.

Le onde che lo seguivano a poppa, trovandosi improvvisamente dinanzi quell'ostacolo, varcarono le murate spazzando la coperta ed atterrando gli uomini che ancora si mantenevano in piedi.

— Corna di bisonte! — urlò Harry, risollevandosi lestamente. — Siamo arenati!... Maledizione su Garrovi!...

L'intero equipaggio, spaventato, si era precipitato verso poppa, urlando come se già stesse per venire inghiottito dalle onde.

— Tacete, banda di corvi! — urlò Harry.

— Affondiamo!...

— È la vostra testa che affonda! — tuonò il vecchio. — Non vedete che la nave è immobile?... Signor Oliviero, signor Edoardo!...

— Eccoci — risposero il tenente ed il giovane anglo-indiano, accorrendo.

— Siete salvi?... Allora non vi è alcun male.

— Resiste il pariah? — chiese Oliviero.

— Si è incagliato così bene, che non si muoverà per un bel pezzo e forse più mai.

— È perduto?

— Non potrei dirlo ora, ma temo che la cosa sia molto grave.

— Non possiamo tentar nulla?

— Assolutamente nulla, ma non corriamo alcun pericolo, quantunque il mare sia molto cattivo. Le scogliere che si estendono a babordo ed a tribordo, ci proteggono i fianchi ed il pariah non verrà demolito.

— Ma se non potremo più disincagliarlo, come ritorneremo al Bengala, Harry?

— Lo si vedrà più tardi. Andiamo a vedere se si può scorgere il banco.

Il vecchio marinaio, seguito da Oliviero, da Edoardo e dall'equipaggio, il quale ormai cominciava a rassicurarsi, vedendo che il legno non si muoveva e che non accennava a spaccarsi, si recò a prora, malgrado le onde che irrompevano continuamente in coperta.

Harry non si era ingannato. Proprio in mezzo al canale si estendeva un banco di grandi dimensioni, ma che le tenebre non avevano prima permesso di scorgere. Il pariah, spinto innanzi dal vento e dalle onde, l'aveva risalito per qualche tratto, sprofondando la chiglia nelle sabbie, poi, perduto l'equilibrio, si era rovesciato sul babordo, appoggiando il fianco contro una grande roccia. Non vi era pericolo che affondasse, ma le onde, sollevandolo da poppa, lo facevano trabalzare e vi era da temere che la chiglia si spezzasse. Si udivano il paramezzale, i corbetti ed i puntali della stiva scricchiolare lungamente, ogni volta che la poppa veniva spostata.

— Speriamo — disse Harry, crollando però la testa. — Mi pare che la nave sia solida e forse non si spezzerà la spina dorsale. Bisognerebbe che questo tempaccio si calmasse presto.

— Quale disgrazia! — esclamò Edoardo. — Naufragare qui, mentre forse mio fratello è vicino!

— Lo cercheremo egualmente — disse Oliviero. — Appena potremo prendere terra, ci metteremo in marcia.

— Ma il pariah?

— Cercheremo di disincagliarlo, signor Edoardo — disse Harry. — Quando il mare tornerà tranquillo, visiterò il banco.

— Ma se non si potesse toglierlo da queste sabbie?

— Ho fatto imbarcare alcuni carpentieri e mi aiuteranno a costruire un piccolo legno coi rottami del pariah. Mentre voi cercherete Alì, noi lavoreremo. Abbiamo dei viveri per quattro mesi, delle armi per difenderci contro i selvaggi e nessuno ha fretta di ritornare.

— È vero — disse Oliviero. — Speriamo domani di poter sbarcare e di cominciare le nostre ricerche.

Fu una speranza vana, poiché il mare si mantenne così cattivo, da rendere impossibile uno sbarco non solo, ma fu anche impossibile farsi un'idea della situazione del pariah, poiché le ondate si mantennero costantemente altissime fra quelle scogliere.

Fortunatamente la nave resisteva sempre, essendosi solidamente arenata sul banco ed appoggiata contro la rupe. Furono però ore di continua angoscia per tutti, temendo sempre un imminente disastro.

Verso sera il tempo si rischiarò, ma dopo le otto il ventaccio, che soffiava ora dal sud, ricominciò a imperversare con estrema violenza, risollevando il mare burrascosamente.

Nessuno osò dormire, per tema che la nave si spostasse e si fracassasse contro le vicine scogliere.

Verso la mezzanotte, Harry credette di udire dei latrati echeggiare verso la costa.

— Udite? — chiese ad Oliviero e ad Edoardo che gli tenevano compagnia.

Il tenente ed il giovane anglo-indiano tesero gli orecchi e fra i muggiti delle onde ed i fischi del vento, udirono infatti dei latrati.

— Vi è un cane sulla spiaggia — disse Oliviero.

— Che vi sia qualche tribù di selvaggi? — chiese Edoardo.

— Ma no — disse il marinaio, che pareva assai sorpreso. — Non ho mai saputo che su queste isole vi siano dei cani, anzi credo che gli andamani non sappiano che animali siano.

— Che sia il cane di qualche naufrago?

— Forse, signor Oliviero.

— Io giurerei, signor Oliviero, di aver udito altre volte questi latrati — disse Edoardo, che aveva ascoltato con viva attenzione.

— Dove?

— A bordo della Djumna.

— Possibile!... Aveva un cane vostro fratello?

— Sì, un grosso cane nero, assai intelligente, che si chiamava Pandu.

— Che la nostra buona stella ci abbia spinti così vicini a vostro fratello?

— Non oso sperare tanta fortuna — rispose Edoardo, con voce commossa.

— Ascoltate attentamente.

Edoardo si spinse sul bompresso tendendo gli orecchi, ma le urla del cane non giungevano che confusamente, in causa dei crescenti muggiti delle onde sfasciantisi contro le scogliere, e dei fischi del vento.

— Mi è impossibile sapere se sia proprio Pandu — disse il giovanetto, ritornando presso Oliviero. — Ah! Se potessi vederlo!...

— Fra un'ora spunterà l'alba — disse Harry.

— Provate a chiamarlo — suggerì Oliviero.

Il giovanetto portò le mani alle labbra e formando una specie di portavoce, lanciò due tuonanti chiamate:

— Pandu!... Pandu!...

Tre latrati, perfettamente distinti, vi risposero.

Edoardo emise un grido.

— È Pandu! Signor Oliviero! Harry! È il cane di mio fratello!

— Harry, — disse il tenente; — credi che sia possibile lo sbarco?

— No, signor Oliviero. Con queste onde non possiamo attraversare il canale; attendiamo l'alba.

— Cerca un mezzo, vecchio mio. Un'ora mi pare lunga un secolo, in questo momento.

— Vi dico che è impossibile.

In quell'istante un latrato più distinto, più vicino, si alzò fra le onde.

— Pandu! Pandu! — gridò Edoardo.

— Il cane si è gettato in acqua — disse Harry. — Vedo una massa nera dibattersi fra i marosi.

Oliviero si volse verso gl'indiani, che stavano raggruppati dietro la murata di babordo.

— Venti rupie a chi prende quel cane — disse.

Quella somma era rilevante per quei poveri marinai; tale da indurre anche i meno coraggiosi, a tentare la sorte per guadagnarla.

Tre malabari si fecero legare delle funi sotto le ascelle e si precipitarono fra le onde, mentre i loro compagni tenevano le estremità dei cavi.

Il cane era ormai visibile, essendovi molta spuma attorno al pariah e cominciando il cielo a tingersi dei primi albori. Era un animale grosso, col pelame nero e s'avanzava latrando e nuotando vigorosamente.

Le onde lo travolgevano, lo subissavano, ma tosto la sua testa ricompariva e si rimetteva a nuotare, cercando di avvicinarsi alla nave.

Edoardo, fuori di sé per la gioia, lo chiamava coi più dolci nomi, incoraggiandolo. Ormai non aveva più alcun dubbio: era proprio Pandu, il cane di suo fratello. Come si trovava su quella costa selvaggia? Era solo od il padrone lo attendeva?

Non importava di saperlo, pel momento. Se era ancora vivo, forse era vivo anche Alì e questo bastava.

I tre malabari, che lottavano pure energicamente contro i marosi che cercavano di sbatterli contro i fianchi del pariah, a poco a poco riuscirono ad avvicinare il cane. Quello che si trovava più innanzi allungò un braccio e lo afferrò pel collare.

— Issa! — gridò.

I marinai si misero a ritirare rapidamente la fune, innalzandolo. Il cane, comprendendo che lo si conduceva a bordo, si lasciava trasportare senza fare il menomo movimento, forse per la tema di imbarazzare il suo salvatore.

Pochi istanti dopo il nuotatore toccava il bordo. Pandu, appena si vide sulla murata, con un balzo repentino si liberò della stretta e si precipitò addosso a Edoardo con tale furia, da rovesciarlo sul ponte.

Il bravo animale lo abbracciava colle zampe anteriori, lo lambiva e gettava latrati festosi.

— Pandu! Mio bravo Pandu! — esclamò Edoardo, che piangeva di gioia. — Sei tu che mi rechi notizie di mio fratello?... È vivo?... E tu non puoi dirmelo, povero animale! Dimmi, Pandu, dov'è Alì?...

Il cane, udendo quel nome, gli sfuggì dalle mani, balzò sul cassero e di là, volgendo il capo verso la spiaggia dell'isola, emise tre sonori latrati.

— È là Alì? — chiese Edoardo, che lo aveva seguito, e che additava la costa.

Il cane che pareva avesse compresa la domanda, addentò la giacca del giovanetto e si mise a indietreggiare verso poppa, trascinandolo con tutta la sua forza. Quando lo vide presso la murata, lo lasciò, poi balzando sul coronamento e guardando ancora la costa, lanciò tre nuovi latrati.

— Alì è là! — gridò Edoardo, con voce singhiozzante. — Signor Oliviero, Harry, Dio ci ha protetti!

— Sì — disse il tenente, con voce commossa. — Alì è laggiù e fra poco, mio povero amico, ve lo restituiremo. Il destino ci doveva questa fortuna!