Il capitano della Djumna/Parte seconda/2. Alì Middel

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2. ALÌ MIDDEL


Come suo fratello Edoardo, il capitano della grab era uno dei più belli e dei più robusti tipi usciti dall'incrocio del sangue europeo coll'indiano, ma come il ragazzo pareva che, all'infuori della statura, poco o nulla avesse ereditato dal padre, poiché non aveva né gli occhi azzurri, né i capelli biondi, distintivi particolari della razza anglosassone.

Aveva quasi doppia età del fratello, ma era anche più alto, più complesso, con spalle larghe, braccia muscolose, un petto ampio, un collo grosso. Si comprendeva a prima vista, che quell'anglo-indiano doveva possedere un vigore poco comune.

La sua pelle era d'un bronzo dorato, il suo viso bellissimo, ombreggiato da una barba nerissima e ricciuta, tagliata a due punte; aveva gli occhi grandi, pure assai neri, il naso diritto e le labbra rosse come ciliege mature. Il clima ardente dei mari indiani pareva però che avesse influito anche sulla sua robusta costituzione, poiché, quantunque fosse ancora giovane, delle rughe precoci solcavano la sua fronte ed i capelli inanellati, che gli sfuggivano di sotto l'ampio cappello di paglia, si vedevano brizzolati. L'acqua, che forse da parecchie ore aveva invaso la sua cabina, aveva ridotto in uno stato compassionevole i suoi calzoni e la sua giubba di tela bianca, stretta alla cintura da una fascia rossa a nodi svolazzanti. Era tutto inzuppato, lordo di fango entrato colle onde che rimescolavano il banco su cui erasi adagiata la grab e qua e là strappato, forse in causa degli sforzi fatti dal proprietario per abbattere la porta della cabina.

Lo sguardo acuto di Alì Middel, percorse in un solo istante il mare che circondava la grab, la sponda che si rizzava verso il nord, le scogliere ed i banchi di sabbia.

— Fuggiti!... Scomparsi!... — esclamò il marinaio con voce sibilante. — Canaglie!... Fuggiti dopo d'avermi derubata la cassa d'oro, dopo d'avermi ribellato l'equipaggio, d'avermi rovinata la nave e d'avermi chiuso nella cabina perché morissi affogato come un topo nella trappola!...

Poi, scorgendo l'indiano che lo aveva raggiunto e che si era arrestato a pochi passi, appoggiandosi alla murata, chiese:

— Ma tu, cosa fai qui?... È forse nella divisione dell'oro che t'hanno spaccata la testa?

— No — rispose Sciapal. — Io sono rimasto perché non volevo abbandonare il mio padrone.

Alì lo guardò senza rispondere, ma i suoi sguardi che lanciavano fiamme, a poco a poco perdevano quella luce sinistra e minacciosa.

— Tu sei rimasto perché non volevi abbandonarmi — disse finalmente, con voce meno acre. — Devo io crederti?

— Non ti basta la mia fronte spaccata da un colpo di scure? — rispose l'indiano. — Se io avessi voluto seguirli nella loro fuga, chi me lo avrebbe impedito?... Non si sono forse imbarcati tutti gli altri malabari, coi traditori?... Nessuno di loro è stato ucciso o ferito, padrone.

— È vero — disse Alì. — Ma quando sono fuggiti?

— Io non lo so, poiché sono rimasto svenuto molte ore, forse un giorno intero e forse di più.

— Erano trentasei ore che io mi trovavo prigioniero nella cabina! Sono fuggiti subito, dopo aver rubata la cassa contenente l'oro?

— Sì, padrone.

— Cos'è avvenuto dopo il furto?

— Ma... io non so... — rispose l'indiano, esitando.

— Voglio sapere tutto, Sciapal, od io, parola da marinaio, ti finisco coll'istessa scure che ti ha servito per rendermi la libertà.

— Mi perdonerai tu?... Ero stato tentato da quel maledetto oro.

— Narra tutto, poi vedremo — rispose Alì, mentre la sua fronte si aggrottava burrascosamente.

— Hungse e Garrovi erano riusciti a ribellarci contro di te, dicendoci che quella cassa custodita nella tua cabina conteneva tanto oro e tanti diamanti, da farci ricchi come nababbi.

«Era stato deciso di abbandonare la grab appena avremmo potuto impadronirci della cassa, ma senza farti alcun male, non avendo noi alcun motivo per odiarti.

«Una notte Garrovi riuscì a gettare un narcotico nella tua bottiglia d'acqua ed aiutato da Hungse, potè rubarti, senza correre pericolo, la cassa.

«Stavamo imbarcandoci dopo d'aver ammainate le vele per tema che il vento spingesse la grab contro la Piccola Andamana durante il tuo sonno e andasse a picco, quando udimmo dei colpi sordi rimbombare nella stiva.

«Io, te lo giuro padrone, mi ero lasciato trascinare a quella mala azione contro la mia volontà e mi rincresceva di aver preso parte a quel tradimento.

«Udendo quei colpi, sospettai che Garrovi, che era rimasto ancora a bordo, contro la promessa data, cercasse di aprire i fianchi alla grab per mandarla a picco assieme a te.

«Risalii sulla nave e vidi il saniasso che teneva ancora in pugno la scure.

«"Cos'hai fatto, miserabile?" gli gridai.

«"Mando il tuo capitano a tenere compagnia ai pesci" mi rispose egli, ridendo beffardamente.

«"Allora tu puoi partire, ma senza di me" gli dissi. "Io non permetterò una tale infamia."

«"Allora va' tu pure a tenergli compagnia" mi rispose.

«Il traditore, nel dire quelle parole, aveva alzato rapidamente la scure, colpendomi in mezzo alla fronte. Mi parve che la mia testa fosse stata schiacciata come una noce. Caddi col viso inondato di sangue, poi smarrii i sensi.

«Prima di chiudere gli occhi, mi sembrò di udire dei latrati e di vedere, come attraverso a una nebbia sanguigna, il traditore alle prese col tuo fedel cane, poi non ricordo più nulla.

«Non sono ritornato in me che qualche ora fa, quando la grab, rovesciandosi sul tribordo, mi fece rotolare contro la murata.»

— È tutto qui? — chiese Alì, quando l'indiano tacque.

— Tutto, padrone.

— Volevo ucciderti... ma ora ti perdono.

— Grazie, padrone.

— E sono adunque fuggiti, quei miserabili? — chiese il capitano, stringendo le pugna.

— Tutti, padrone.

— Ah!... Ma un dì tornerò nel Bengala, Sciapal, e per quanto l'India sia grande, troverò i due traditori, né sarò contento finché non li avrò veduti appiccati.

Poi, come se avesse esaurita tutta la sua energia in quell'ultimo scoppio di rabbia, si lasciò cadere su di un barile che gli stava presso, stringendosi la fronte fra le mani. Un gemito lo strappò da quella specie di abbattimento.

— Ah!... Mi dimenticavo che tu eri ferito — disse, scuotendosi.

— Soffro, padrone — disse l'indiano, che si era seduto sul ponte.

— Lascia che esamini la tua ferita.

Gli levò con precauzione la fascia e osservò attentamente il taglio prodotto dalla scure. S'accorse subito che era più doloroso che pericoloso, poiché l'arma, forse male adoperata dall'assassino, aveva solamente intaccato l'osso, senza spaccarlo.

— Se Garrovi avesse avuto il polso più fermo, non saresti qui a chiacchierare con me — disse Alì. — Fortunatamente quel miserabile aveva troppa fretta.

Con mano abile riunì i margini della ferita, pulì la fronte del sangue che si era coagulato sopra, poi rimise a posto il pezzo di tela, dopo d'averlo nuovamente bagnato.

— Fra una settimana o due sarai completamente guarito, — disse, — ma ti rimarrà una cicatrice che ti ricorderà sempre di Garrovi.

— Se un giorno lo troverò, ti assicuro padrone, che mi vendicherò — rispose l'indiano.

— Se potrai giungere prima di me!... Stai meglio, ora?

— Sì, padrone.

— Ma... dov'è Pandu?... L'ho udito abbaiare sempre ed ora non lo vedo sulla grab.

— È fuggito a terra appena la Djumna toccò il banco.

— Il mio cane fuggito!.. È impossibile, Sciapal.

— L'ho veduto io nuotare fino agli scogli, poi correre attraverso i banchi.

— Quell'animale è intelligente ed avrà compreso che solamente a terra potevamo sperare degli aiuti; ma se quegli isolani se ne stessero lontani, sarei più contento.

— Sono forse cattivi, padrone?

— Hum! Non godono buon nome di certo, Sciapal. Ho approdato due volte alla Piccola Andamana e non ho mai avuto da lodarmi di loro. Sono ladri, cattivi e si dice che siano anche antropofaghi.

— Mi fai venire i brividi. Pure, bisognerà sbarcare.

— E perché?

— Non abbiamo alcuna scialuppa.

— Costruiremo una zattera e cercheremo di approdare alle coste arracanesi.

— Ma mancano i viveri, padrone.

— I viveri!... La dispensa era piena.

— Ma Garrovi e Hungse l'hanno vuotata.

— Tutta!... — esclamo Alì, impallidendo.

— Hanno caricato la pinassa.

— Mille inferni!... E non rimane più nulla da porre sotto i denti?

— Ma tu avevi delle provviste nel quadro, padrone.

— Solamente pochi chilogrammi di biscotti e alcune scatole di pesce conservato. Canaglie!... Rubare perfino tutti i viveri!...

— Vedi, padrone, che bisogna sbarcare.

Alì non rispose. Appoggiato alla murata della grab, colla fronte aggrottata, gli sguardi fissi, pareva che osservasse attentamente, agli ultimi bagliori del crepuscolo, la costa, la quale appariva coperta da una folta vegetazione. Non si scorgeva alcuna capanna sulla spiaggia, né alcun canotto navigare fra le scogliere, ma invece si vedevano volteggiare in aria grande numero di uccelli che rassomigliavano ad oche emigranti.

Una brusca scossa, che fece oscillare l'alberatura della grab ed inclinare maggiormente la coperta, strappò il capitano dalle Sue osservazioni.

— Cosa succede? — chiese.

— La Djumna si è spostata — rispose Sciapal.

— Ma non poggiava sul banco?

— È vero, padrone.

— Che il riflusso la rovesci?

Si curvò sul bordo e guardò fuori. L'acqua, che era trasparente come un cristallo azzurro-verdognolo, permetteva di scorgere distintamente il banco, che la bassa marea, la quale già cominciava a ritirarsi, minacciava di lasciare in parte scoperto.

Alì s'accorse subito che la grab appoggiava solamente col fianco su quelle sabbie e che poteva, da un istante all'altro, o rovesciarsi del tutto mancandole il sostegno dell'acqua o scivolare di nuovo in mare, per andare poi a picco in causa delle squarciature fattele da Garrovi. Una imprecazione gli uscì dalle labbra.

— Dunque, cos'è accaduto, padrone? — chiese Sciapal.

— Uno spostamento grave — rispose Alì. — Se non ci affrettiamo a lasciare la grab, andremo a picco.

— Ma non abbiamo più la pinassa.

— Costruiremo una zattera o ci getteremo a nuoto.

— A nuoto!... Guardate laggiù, padrone — disse l'indiano indicandogli le scogliere.

Alì guardò nella direzione indicata, e malgrado il suo coraggio, rabbrividì. All'incerto chiarore del crepuscolo, si vedevano delle masse oscure alzare sopra l'acqua delle teste strane, che mostravano delle enormi bocche.

Erano degli squali formidabili, appartenenti alla specie dei pescicani, ma diversi nella forma, poiché la loro testa somigliava perfettamente ad un martello da calzolaio, ma eguale da ambo le parti e cogli occhi situati all'estremità. Sono più piccoli dei pescicani, ma non sono meno voraci, né meno ghiotti di carne umana.

— I mangiatori d'uomini!... — aveva esclamato Alì. — Bah!... Passeremo egualmente e se ci assaliranno, li prenderemo a fucilate.

— I traditori hanno rubato anche i fucili, padrone.

— Non monta; ho le mie due pistole. Orsù, non perdiamo tempo.

Afferrò la scure, arma formidabile nelle sue mani e si mise a demolire le murate della grab, non senza emettere però qualche sospiro, poiché amava la sua valorosa nave, che per lunghi anni lo aveva trasportato attraverso all'Oceano Indiano.

Mentre accumulava i pezzi di fasciame, Sciapal si era recato nella cabina e portava in coperta i viveri, le carte di bordo, gl'istrumenti necessari per fare il punto, le due pistole, le poche munizioni trovate ed alcune vesti. Erano tutte le loro ricchezze e non volevano perderle.

Ottenuto il legname sufficiente per costruire la zattera, i due naufraghi abbassarono due pennoni che dovevano servire a formare lo scheletro del galleggiante, quindi si misero a unire i diversi pezzi, adoperando dei chiodi e delle corde.

Si affrettavano poiché la grab continuava a spostarsi in causa del continuo scemare dell'acqua sul banco ed a piegarsi. Ormai la coperta aveva una inclinazione di 45 gradi e continuava ad abbassarsi verso il tribordo, rendendo il lavoro assai malagevole.

Già Alì e Sciapal avevano inchiodate dieci tavole, quando la Djumna si scosse bruscamente. Si raddrizzò di alcuni gradi, poi tornò ad inclinarsi, quindi parve che scivolasse sul banco, indietreggiando a babordo.

— Padrone! — esclamò Sciapal.

Alì stava per rispondere, quando fu atterrato. La Djumna si era rialzata completamente e tornava a trovarsi libera, ma per pochi minuti, per pochi secondi forse, perché già cominciava ad affondare.

Nel ventre della nave si udì un cupo muggito prodotto dall'acqua interna che si riversava a prora, a poppa ed a babordo, riprendendo il primiero livello, poi un getto di schiuma schizzò dal boccaporto disperdendosi pel ponte, mentre le onde che flagellavano il banco, irrompevano attraverso alle squarciature delle murate.