Il buon cuore - Anno XIV, n. 13 - 27 marzo 1915/Religione

Religione

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Educazione ed Istruzione Beneficenza

[p. 100 modifica] [p. 101 modifica]mava intorno a sè il popolo e lo teneva assorto nell’ascoltare le verità profonde e misteriose del cielo, Egli aveva già ormai vagheggiato nella sua mente divina, l’idea di un edificio, destinato a raccogliere l’umanità di tutti i tempi, come una sola famiglia si raccoglie dentro le pareti domestiche di una vastissima casa paterna. E nei suoi discorsi e nei suoi insegnamenti e in tutta la sua vita pratica, intese a tracciare le prime linee di tale edificio, intese a deporre tra le zolle, irrorate con il sudore della sua fronte,,i germi di istituzioni che avrebbero dovuto apparire più tardi nel corso dei secoli. Natura della Confessione. Una società dunque era destinata a sorgere intorno al nome di Cristo: e una società di carattere eminentemente religioso. Ora quando Gesù andava buttando le basi di tale società, in seno ai popoli della Giudea e della Galilea, altre società religiose esistevano. Esse vantavano una esistenza remota e si presentavano con proprie leggi e con proprii ordinamenti ai quali e alle quali i discepoli soggiacevano, con l’umiltà di un ossequio profondo, come figlio ad un coniando del padre. E con ragione: perchè un’accolta di individui non muove con sicurezza a meta di virtù ed a forma alta di elevazione morale, se non quando una è la forza che la sospinge in tutte le sue parti, uno il`criterio che informa tutte le sue facoltà di intendere e di volere. I giudici poi delle infrazioni, che si potevano avverare, da parte. dei discepoli, erano uomini della medesima società,- uomini che avevano ottenuto un plauso maggiore, per la loro condotta illibata e pura dinnanzi alla legge: uomini che avevano acquistato una riputazione sincera, per il loro amore disinteressato e grande a bene della società. Le infrazioni erano punite; e nel pianto il colpevole si rendeva un’altra volta degno della società, a cui aveva fatto oltraggio. Gesù è risorto. Per Gerusalemme, il popolo sdegnato tumultua e grida al ladrocinio del cadavere che dice certamente sottratto, con astuzia e con inganno, dai discepoli. I discepoli han paura della moltitudine: si rinchiudono silenziosamente in un’aula grande della città e rimangono, corwersando, pieni dr meraviglia e di stupore per gli avv enimenti, che li toccano così da vicino. A un tratto, in mezzo a loro, tra luce sfolgorante di cielo, appare Gesù che sorride e saluta con la sua formula prediletta: Pax vobis. Un senso profondo di letizia pervade l’anima dei discepoli, esultano nel vedersi un’altra volta efficacemente uniti ai Maestro e lo ringraz;ano: Piavi si sunt, viso Domino. Gesù è contento, disvela ai discepoli suoi, nuovi orizzonti di gioia, dischiude loro nuove sorgenti di grazie, haec cum dixisset insufflavit. A principio dei secoli, un alito soffiò dalle labbra socchiuse a letizia, del Sgnore, e l’uomo ebbe vita, si prostrò ai piedi del suo Creatore, adorandolo nella polvere, e si beò consacrando a Lui tutta la effus;one del suo amore.

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Nel corso dei secoli, un altro alito soffia dalle labbra, socchiuse a letizia, del Signore e l’uomo rià vita. Egli intende i suoi destini nell’azzurro dei cieli e, con l’entusiasmo di un giovane che ha trovato finalmente la ragione del suo vivere e del suo soffrire, consacra ad essi il suo amore e tutta la sua energia della sua anima, risoluto a piangere ogni sosta nel cammino verso di essi, risoluto a detestare ogni colpa che trattenga lontano dal cielo. Gesù dixit eis; accipite Spiritum... quorum remiseritis, remittuntur: quorum retinueritis, retenta sunt. Forme della Confessione. Le forme antiche in uso presso le diverse famiglie religiose, per giudicare le infrazioni che turbavano l’ossequio della legge e impedivano il lavoro di perfezione morale, hanno termine: come ha termine l’aurora, all’apparire del sole, come han termine i simboli all’apparire della loro realtà. Una forma nuovo è istituita da Cristo. Essa si svolgerà, lentamente sì, ma costantemente, attraverso le età, fino ad assumere l’atteggiamento della nostra confessione, un sacerdote, che siede come giudice in tribunale, e un colpevole, che piange nella visione dei suoi delitti, nella coscienza del male operato contro Dio e contro la intera famiglia cristiana. Nella famiglia religiosa di Cristo, l’uomo che infrange una prescrizione di legge, ordinatrice di rapporti tra la famiglia e Cristo, rinuncia con ciò alle comunicazioni di vita tra sè stesso e Cristo, si allontana dalle sorgenti feconde di grazie e disperde, inquinando, i rivoli d’acque che son già entrati nel suo spirito. Ma rinunciando alle comunicazioni di vita tra sè stesso e Cristo, egli si fa colpevole dinnanzi al Cristo storico e quindi a Dio, perchè l’atto è di ribellione e di ingratitudine; ecco il peccato, dirò, altamente individuale; ma poi si fa colpevole anche dinnanzi al Cristo mistico e quindi alla Chiesa, perchè l’atto è di turbamento profondo, radiando esso una parte del corpo che forma la Chiesa; ecco il peccato, dirò, individuale e sociale. Il peccatore offende Dio, in quanto impedisce l’unione, ardentemente sospirata, di Cristo con l’anima: offende la Chiesa, in quanto impedisce la perfezione.di essa in tutte le sue parti, destinate a corpo di Cristo. E non è questa una pura speculazione teologica, di mente solitaria; è invece la visione delle prime comunità religiose, cioè la visione della realtà, come fu intesa e voluta da Cristo. Come nella famiglia religiosa di Israele, che si accoglieva nel tempio di Gerusalemme, un tribunale giudicava le infrazioni che i sudditi portavano alla legge di Mosè; così nella famiglia religiosa di Cristo, che si accoglierà intorno alla croce, nei templi parte della terra, un tribunale giudicherà le infrazioni che i sudditi avranno portato agli insegnamenti di Cristo. La differenza è in questo, che l’antico tribunale rabbincio giudicava le infrazioni della legge con la guida di una casistica redatta a brevi sentenze e a [p. 102 modifica]motti concisi, il valore dei quali e delle quali dava argomento di sillogizzare argutamente agli scribi ed ai farisei: lo disse anche Gesù alligant enim onera grazia et importabilia et imponunt in hu’rneros homiwum; il nuovo tribunale cristiano giudica le infrazioni della legge, con la guida di una coscienza, illuminata dalla grazia e dall’amore. Lo disse ancora Gesù ai discepoli secundum opera eorum nolite facere, vos nolite vocari rabbi. L’antico tribunale rabbinico giudicava la esteriorità della vita religiosa, e solamente le esteriorità, come esse erano imposte dalle espressioni levitiche e dalle consuetudini nazionali; il nuovo tribunale cristiano giudica le profondità intime della vita religiosa e le ragioni occulte d’ogni pensiero e di ogni opera, che hanno relazione con la vita di Gesù, perpetuata nella Chiesa. Le relazioni, che un fedele ha con la famiglia religiosa di Cristo, sono le medesime relazioni, che il fedele ha con il suo Dio. Le relazioni dell’uomo con Dio si rivolsero tutte nella persona adorata di Cristo quando Cristo apparve nel mondo. E dopo che la persona di Cristo assunse le forme mistiche della sua Chiesa, le relazioni dell’uomo con Dio si rivolsero alla Chiesa. Se dunque i Dodici hanno ricevuto il potere di giudicare le infrazioni alla vita della Chiesa, hanno ricevuto il potere di giudicare le infrazioni alla vita di Gesù, quindi alla vita di Dio, quindi a Dio stesso. E perchè le infrazioni alla legge di -Dio sono chiamati peccati. i Dodici hanno realmente ricevuto il potere di giudicare i peccati.

restituendo un’altra volta alla società, chi, se ne era allontanato, peccando. Ma intorno alla figura di lui una nuova luce irradierà, fulgendo: sarà la luce che lo darà alle generazioni come ministro di Dio. Questa luce farà offuscare alquanto la prima, più antica: e il credente dei nostri giorni, prostrandosì ai piedi del Sa— cerdote, assiso come giudice nel Tribunale, raramente penserà alla Chiesa, di cui il Sacerdote tiene le veci in quell’ora; più facilmente penserà invece a Dio, del quale il Sacerdote adempie la grande missione... Il tribunale di penitenza è l’incontro del peccatore con Gesù: incontro d’anime, si intende. Il peccatore ha sorseggiato, sino all’ultima stilla il calice del piacere che gli era stato offerto dai compagni del male: poi, nella ebbrezza della sua soddisfazione, aveva bestemmiato alla virtù ed al nome di Dio. A un tratto si arresta; volge intorno lo sguardo, meravigliando: si trova abbandonato da tutti, e nella apprensione dello spirito deve gridare: Domine, salva nos! E Gesù accorre; dissipa dal cielo le nubi di tempesta; ritorna il sereno colla luce, che addita le profondità della valle, in cui l’anima è caduta, e rischiarare le cime altissime, a cui l’anima è destinata. Gesù si unisce, si compiange, si immedesima con l’uomo, e un’altra volta si ascende insieme a virtù di santità.

Accusa e assoluzione.

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Come avviene il giudizio? I Dodici hanno ricevuto il potere di giudicare le infrazioni, portate dagli uomini alla legge divina, di pronunciare sentenze di condanna o di perdono su di esse: quorum remiseritis, quorum retinueritis. Il cielo ha dato la parola, in forma solenne di affidamento, che sarebbe concorso a ratificare la sentenza, tutte le volte che essa era conforme a verità; largendo favori di grazie, nella remissione e preparando saviezza di pene nella riprovazione: remittuntur... retenta sunt. Ora è necessario un criterio, a cui il giudice deve poter uniformarsi, per l’esercizio ragionevole di questa autorità. L’arbitrio non può essere la norma nel disimpegno di una missione che ha tutta l’importanza di una missione divina, che dipende dal cielo. Se i Dodici hanno dunque l’autorità di condannare e l’autorità di assolvere, avranno anche l’istruzione necessaria per sapere quando devono condannare e quando devono assolvere. E così al tribunale della Confessione le anime si trascinano piangendo e rivelano tutte le loro colpe, e, nella formola del perdono, mentre riannodano i vincoli di pace con Cristo la Chiesa, attingono nuove energie, per l’opera di sacrificio e di amore. Il Sacerdote è ancora il Cristo, che vive nella Chiesa: il Sacerdote è ancora la Chiesa. A nome di questa egli pronuncia l’assoluzione,

IL CARDINALE AGI!ARDI

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Nella mia recente andata a Roma, uno dei desideri che più vivo mi stava a cuore era una visita al Cardinale Agliardi. Avevo già conosciuto e avvicinato altre volte il Cardinale Agliardi specialmente in una visita che gli avevo fatta nell’aprile del 19o9, reduce dal Congresso Internazionale dei Ciechi a Napoli. Gli avevo presentato, allora, in omaggio, alcune delle mie recenti pubblicazioni, Patria e Religione, I Vangeli. I Santi. Egli mi aveva intrattenuto a lungo con un discorso sulle condizioni correnti nei rapporti sempre anormali tra l’Italia e la Chiesa. Si era in un momento di stasi nel Pontificato di Pio X. L’Enciclica Pascendi, contro il modernismo era già stata pubblicata due anni prima. Si sentiva il bisogric. che la voce del Papa, così autorevole nel richiamare l’attenzione del mondo, si facesse udire di tempo in tempo, esponendo quale fosse la dottrina cattolica sulle questioni che più vivamente agitavano gli animi in quel momento, in Italia e fuori. Questa influenza della Chiesa per mezzo delle Encicliche, in mezzo alla società, era stata una delle caratteristiche del Pontificato di Leone XIII; era assai desiderabile il continuare sì nobile ed efficace tradizione. Io ero stato sul punto di parlarne a Pio X in una [p. 103 modifica]udienza che benignamente si era degnato di accordarmi alcuni giorni prima, alla vigilia della mia Messa d’oro. ma, al punto di aprir la bocca, non avevo avuto il coraggio, sembrandomi sconvenienza che io,.pur sommessamente, mi arrogassi il compito di dare suggerimenti al Papa. — Avrebbe fatto bene, — mi disse il Cardinale Agliardi — il Santo Padre avrebbe benignamente ascoltate le sue parole; quello che non ha fatto lei, lo farò io nella prima circostanza in cui vedrò il Papa. Bisogna che quella parola non sia stata detta o non sia stata ascoltata, perchè il bisterna di teorie Xl Li non fu punto ripreso e continuato da Pio X. Andando ora a Roma dopo sei anni di assenza, era ben naturale che mi procurassi l’onore ed il piacere di una visita al Cardinale Agliardi, tanto più avendo saputo quale parte notevole egli aveva avuto nel caldeggiare la elezione di Benedetto XV. Andai al Palazzo della Cancelleria: il Cardinale era a letto ammalato; il medico curante, che usciva in quel momento dall’aver visitato l’augusto infermo, lasciava l’ordine che non si accordassero visite; dovetti accontentarmi di parlare col Segretario, consegnandogli, la presentare a Sua Ern nenza, una copia, che gli portava in omaggio, della mia traduzione del libro De. Christi. Il segretario, udendo che mi sarei trattenuto a Roma una quindicina di giorni, mi disse: Ripassi prima di partire; speriamo che Sua Eminenza, allora migliorato, la possa ricevere. Tornai: le condizioni non - erano migliorate. Dopo pochi giorni del mio ritorno a ’Milano, i giornali portavano la notizia della sua morte! Col Cardinale Agliardi è morto uno dei membri più autorevoli del Sacro Collegio. Non ricorderemo tutte le importanti missioni delle quali egli fu successivamente incaricato dalla Santa Sede, e che egli condusse con sommo tatto e con esito felice. Amiamo rilevare due note che gli furono caratteristiche, e che ebbe comuni col suo compatriota lombardo, il Vescovo Bonomelli, il desiderio della conciliazione della Chiesa coll’Italia, e la propensione a prendere le difese di chi gli sembrava, più del dovere, perseguitato; fra questi il Murri, che non corrispose poi alle sue attenzioni, procurandogli in seguito un gravissimo dispiacere. Il Cardinale Agliardi muore in un momento nel quale avrebbe potuto fare, col suo programma conciliante e colla sua autorità, un grande bene: Benedetto XV, che gli era legatissimo, col vivo dolore provato alla sua morte, manifestò quale grave perdita sentiva di aver fatto, e quale aiuto prezioso gli veniva meno in un momento cosi difficile e importante nella direzione della Chiesa. Egli lasciò scritto in testamento, di voler essere sepolto ad Osio Sotto, il paesello bergamasco, dove egli come parroco passò i primi anni del suo ministero e dove sperava di avere un maggior suffragio di preghiere: prova evidente come lo spirito sacer dotale, anche nel seguito delle missioni più elevate ed importanti, anche nello splendore della porpora, rimanesse la scintilla viva e costante della sua vita. Anzi è forse la persistenza di questo spirito sacerdotale. sostrato delle sue idee e de’ suoi sentimenti, in un periodo in cui lo spirito politico di intransigenza dominò nelle alte sfere ecclesiastiche, che si deve la sua provata fedeltà al programma di patria e religione, sua guida e nostra speranza.

L. VITALI.

SAC. ADOLFO BIFFI Sebbene in ritardo, non vogliamo che nel Buon Cuore manchi una parola di sincero rimpianto per la morte del sac. Adolfo Biffi, Rettore del Collegio Villoresi, di S. Giuseppe, a Monza. Ebbi occasione di conoscerlo da vicino, ai Bagni di Bornio, nell’agosto 1914. Conoscerlo e stimarlo e amarlo era la stessa cosa. Raramente si trovano unite in una sola persona, come in lui, tante belle qualità; aveva ingegno, cuore, coltura, dignità, affabilità di modi; in un ambiente di elementi eterogenei, e non sempre propensi al contatto coi membri del clero, egli aveva saputo circondarsi della stima, della benevolenza e della amicizia di tutti. Quanto bene aveva fatto, quanto bene poteva fare ancora nel Collegio di S. Giuseppe, dove non solo era amato ma venerato, come degno continuatore del padre Villoresi, del quale era anche un po’ parente. Nella ancor giovane età, di appena 39 anni, Dio lo credette degno di essere chiamato in cielo; e a noi nel dolore di averlo perduto non resta che la compiacenza di sperare che il bene da lui fatto possa essere continuato dal suo successore Don Carlo Tarchini, già direttore spirituale nel Collegio stesso. L. VITALI.

Le colonie dello Stato di S.ta Catharina

(Continuazione del numero 10)

Ed effettivamente, in tutte queste colonie, se iniparare il portoghese è sempre cosa utile, e sarebbe anzi molto bene se tutti i coloni lo conoscessero, pure non se ne sente l’impellente necessità altro che dai negozianti: il veneto è lingua parlata. Scuole governative e municipali brasiliane ve ne sono poche, e quelle poche sono deficienti; tutto dà a vedere qui che, volendo, si può coltivare e conservare la lingua italiana. Come la famiglia di cui ho parlato, così fanno tante altre che hanno da.parte qualche risparmio: emigrano dalle colonie vecchie verso Ararang-tia, verso Minas, verso Orleans; comprano e si installano nei ’nuovi territori che, anche se di proprietà privata, in gran parte non furono peranco messi a coltura. In tal modo va sempre più estendendosi il perimetro delle colonie italiane. [p. 104 modifica]CONDIZIONI ECONOMICHE E SOCIALI DELLE COLONIE DEL SUD.

L’insieme dei centri sopra ricordati costituisce una zona coloniale italiana assai omogenea ed isolata, con una popolazione di circa 20.000 italiani provenienti dal Veneto. Nessun’altra colonia di immigrati stranieri che possa ad essa paragonarsi, esiste nel sud dello Stato, ove mancano anche forti contingenti di popolazione brasiliana. I nostri connazionali si trovano colà in condizioni economiche discrete; tutti sono proprietari della terra che lavorano. Lo stretto necessario per vivere e specialmente il vitto, non manca a nessuno; ciò che manca è denaro e commercio. Anche l’assistenza sanitaria vi è deficiente: dal 1902 non sono mai mancati uno o due medici italiani residenti in Urussanga, ma dovendo essi supplire a zona così vasta, spesso non bastano, e non di rado, come in tutte le colonie, sona i parroci, che qui sono quasi tutti italiani, i quali, in casi di necessità danno anche i consigli medici. Istruzione e Scuole. In quanto all’istruzione, sebbene moltissimo vi sia ancora da fare, si deve riconoscere che questa zona coloniale italiana è una delle poche in cui si è provveduto all’istruzione su base prevalentemente italiana, istituendo qualcosa di organico e di continuativo, col designare un ispettore scolastico permanente, residente nel centro delle colonie, incaricato di sorvegliare e proporre gli aiuti ’e la distribuzione di libri e sussidi. Questo lavoro di organizzazione delle scuole fu iniziato nel 1901 per opera del R. Console cav. Gherardo dei Principi Pio di Savoia, coadiuvato dai parroci italiani, i quali sono le persone più autorevoli ed influenti in queste colonie; ed è stato poi continuato con zelo dai R. Consoli che in questo tempo si sono susseguiti a Florianppolis.

Si hanno attualmente in questa zona 24 scuole italiane situate nei vari centri, come abbiamo accennato parlando di ciascuno di essi. Presso di queste sono complessivamente inscritti circa 700 alunni, numero veramente molto scarso per quella popolazione. Dette scuole rappresentano la organizzazione scolastica principale in questa zona, poichè le scuole municipali e governative brasiliane sono in numero inferiore e meno frequentate. In qualche municipio e particolarmente in quello di Urussanga, in cui risiede tutta popolazione italiana e che è amministrato da italiani, il comune ha trovato più pratico anzichè istituire scuole brasiliane diverse, concorrere al mantenimento di quelle italiane. La difficoltà maggiore che incontrano le scuole è qui, come in tutto il Brasile, la deficienza di maestri; quasi tutte sono tenute da maestri avventizi, che non conoscono la professione, che da un momento all’altro lasciano la scuola per darsi ad una occupazione più redditizia; perciò le scuole non danno il risultato che dovrebbero, e la organizzazione attuale non dà molto affidamento di continuità. (Continua).