Il buon cuore - Anno XIII, n. 36 - 7 novembre 1914/Religione

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Domenica terza dopo la dedicazione

Testo del Vangelo.

Il Signore Gesù ricominciò a parlare ai Principi dei Sacerdoti e ai Farisei per vie di parabole dicendo: Il regno de’ cieli è simile ad un re, il quale fece lo sposalizio del suo figliuolo. E mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, e non volevano andare. Mandò di nuovo altri servi, dicendo: Dite agli invitati: il mio desinare è già in ordine, si sono ani’mazzati i buoi e gli animali di serbatoio, tutto è pronto, venite alle nozze. Ma quelli misero ciò in non cale, e se ne andarono chi alla sua villa, chi al suo negozio: altri poi presero i servi di lui, e trattaronli ignominiosamente e li uccisero. Udito ciò il re si sdegnò; e mandate le sue milizie, sterminò quegli omicidi, e diede alle fiamme la loro città.’Allora disse ai suoi servi: Le nozze sono all’ordine’, ma quelli che erano stati invitati, non ne furono degni. ’Andate dunque ai capi delle strade, e quanti -incontrerete, chiamate tutti alle nozze. E andati i servitori- di lui per le strade, radunarono quanti trovarono, e buoni e Cattivi: e il banchetto fu pieno di convitati. Ma entrato il re per vedere i convita: i, vi osservò un uomo che non era in abito da nozze. E dissegli: Amico, come sei tu entrato qua, non avendo la veste nuziale? Ma egli ammutolì. Allora il re disse a’ suoi ministri: Legatelo per le mani e pe’ piedi, e gittatelo nelle tenebre esteriori: ivi sarà pianto e stridore di denti. Imperocchè molti sono i chiamati e pochi gli elefti.’ (g. GIOVANNI Cap.

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Pensieri. Dio è buono, ma Dio è giusto, Dio è santo. Ecco la grande verità ficordata nell’odierno Vangelo. Dio è buono, e versa sopra di noi tutti i suoi beni. Ma Dio è giusto: se noi siamo insensibili, se noi siamo ingrati a doni suoi, Dio ci punisce. Dila è santo; se noi, pur rispondendo a ’suoi inviti, non ci poniamo in condizioni di essere a lui accetti, con una condotta santa che armonizzi colla sua santità, Dio ci rifiuta, Dio ci punisce, come ha punito gli indifferenti e gli ingrati.

La bontà di Dio è rappresentata Dio è buono. nell’odierno Vangelo nella persona del Re,’ che fece lo sposalizio del, suo figliuolo, e mandò’ a chiamare gli invitati alle nozze. Le nozze del figliuolo, sono le

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nozze che Dio fece coll’Innanità, prima colla Creazione e colla grazia, poi col perdono e colla legge, Poi coll’Incarnazione e colla Chiesa; le nozze coll’uomo, le nozze cogli ebrei, le nozze coi cristiani. Qual grande bene furono le prime nozze coll’umanità! Dio colla creazione, non per necessità ma per amore, comunica un po’ di sè stesso all’uomo, colla spiritualità dell’anima, che fu più bella col dono della grazia, completata col dominio dell’uomo su tutti i beni della terra, prefiggendogli per- ultimo f ine, la visione eterna di Dio in cielo. L’uomo è bello, la grazia è bella, la terra è bella, il cielo è belli). L’uomo cade, e Dio lo redime colla promessa (lel Redentore: La redenzione è più bella della creazione: la redenzione non è soltanto l’uomo che ritrae in se l’immagine di Dio; è Dio che discende sulla terra e assume con sè la, natura dell’uomo.. Si smarrisce presso l’umanità l’idea e la fede del Redentore. Dio si sceglie ut popolo privilegiato che sia in mezzo al mondo il popolo depositario, custode, apostolo di quell’idea, di quella fede. E’ il popolo ebreo. Quante grazie, quanti favori speciali Dio ha fatto al. popolo ebreo, ultimo e supreMo fra tùtti l’incarnazione del Verbo, avvenuta ’col concorso di chi discendeva dalla stirpe di Davide! Il popolo ebreo defeziona. Defeziona Dio dall’umanità?. No; L’Incarnazione e la redenzione non sono soltanto beni pel popolo ebreo; sono un bene per tutta l’umanità; anche pei gentili. Ed ecco creata la Chiesa, la grande famiglia, le nozze del figlio del Re, alle quali è convitata tuttà l’umanità; ecco i Cristiani. Le nozze di Dio coi cristiani sono perpetue,.speCialmente mediante il banchetto’ dell’Eucaristia: nell’Eucaristia Dio viene all’uomo; l’uomo- si unisce a Dio, e viene’dato con essa all’uomo una promessa e un pegno, delle nozze eterne coll’Agnello lassù nel • Cielo., • In questi tre periodo, la Creazione, la Redenzione, la. Chiesa, che rappresentano i successivi inviti di Dio all’uomo perché, venga alle nozze del suo Figliuolo, quanto giustamente, Dio poteva ripetere: che cosa poteva io fare per l’uomo,e non l’abbia fatto! La bontà è la striscia luminosa che Dio ha segnato sulla terra ne’ suoi diversi rapporti coll’uomo. L’uomo stesso ha capito. Raccoltosi a meditare nella persona dell’apostolo. Giovanni che rappresentò in sè un santo connubio di inteligenza e di amore, si rivolse questa domanda: nella sua suprema sintesi, che cosa è Dio? Inspirato, innamorato, rispose: Deus caritas est:. Dio è carità. Deus cujus misericordie infinitus est numerus et bonita.0 infinitus est tesaurus.

Dio è buono ma Dio è giusto. L’uomo Pecca nel paradiso terrestre, e l’uomo ne è cacciato: guadagnerà il pane col sudore della fronte, continuerà la gioja, della vita, coi dolori di tramandarla. I discendenti di Adamo tralignano: un Diluvio li spazzerà dalla faccia della terra: non rimarrà che una piccola [p. 286 modifica]semente, perché l’umanità non si estingua. L’umanità è dispersa per l’orgoglio della torre di Babele. Raccolta nella persona e nella discendenza di Abramo, formato il nucleo del Popolo ebreo, questo popolo numerò le proprie defezioni coi castighi rinnovati dalla giustizia di Dio, segnati nella ripetuta distruzione di Gerusalemme, la prima opera di Nabuccodonosor, seguita dalla schiavitù in Babilonia; la seconda compiuta dai Romani, colla distruzione delle mura e del Tempio, e colla irrevocabile e perpetua dispersione del poixylo ebred sulla faccia della terra. I fedeli, chiamati a formar la Chiesa, ultima e più perfetta espressione dell’amore di Dio verso l’umanità, non sempre corrisposero al beneficio della loro particolare sublime vocazione: le eresie, gli sci’smi, la corruzione dei costumi, afflissero e contaminarono più di una volta il bel giardino della Chiesa di Cristo. I castighi non tardarono ad arrivare, in forma differente di oppressione o di rescissione dal ceppo della vite. Dove sono le illustri antiche Chiese di Alessandria di Antiochia, di Gerusaleantne, di Costantinopoli? Perché le nazioni unite a Roma da Cirillo e Metodio, ’da Bonifacio, da Colornbano, da Gallo, da Agostino, la Russia, la Germania, la Sviizera, l’Inghilterra, si sono scisse dalla’ unità Cattolica, e rami staccati dal tronco, inaridiscono nello scisma e nell’eresia? E’ il castigo di Dio alla superbia di, Ario e di Fozio, all’orgoglio e ai voti traditi di Lutero, alla sensualità di Enrico VIII. Dov’è la bella Chiesa di Francia, colla conversione di Clodoveo, colla santità. di Luigi IX? Ahi: la corruzione di altri Luigi, l’incredulità di Voltaire e di Rosseau, Papostasia e i massacri di Robespierre, furono a un tempo stesso causa ed effetto del castigo di Dio. E all’Italia, la terra privilegiata, dove Iddio pose la sede del suo Vicario, ’Roma da cui si irradia a tutte le parti del mondo l’invito per venire alle nozze del figlio del Re, alla fede di Cristo figliolo di Dio, quale sorte è serbata? Il cuore, trema nel dare una risposta. I benefici fatti da Dio all’Italia sono immensi in tutti i rapporti. Se l’ingratitudine deve segnare la misura del castigo di Dio, ahi, questo castigo si prepara ad essere ben grande! • •

Noi, presi individualmente, noi abbiamo fedelmente risposto all’invito di venire alle nozze; noi attualmente siamo nel grembo della Chiesa, noi siamo seduti al suo mistico banchetto. Ma se Dio venis’se a fare una visita, ci troverebbe nelle volute condizioni per permetterci di rimanere? Dio,non è soltanto buono, soltanto giusto; Dio è anche santo. La santità è una condizione, è una esigenza della sua natura. Esigenza in lui, diventa pure esigenza in noi, se vogliamo meritare di stare con Lui. E’ un’esigenza che costituisce la grandezza sua, che si converte nella grandezza nostra. Per volere che Dio possa essere con noi, dobbiamo sforzarvita dell’uomo deve ci di essere noi simili a Dio; essere come un riflesso della vita di Dio’ siate per tetti come è perfetto il padre vostro nel Cielo. «O homo, reconosce dignitatem tuam. Possiamo noi dire di trovarci in questo stato di virtù? Siamo noi fregiati della veste nuziale, la veste che è.formata dalla fede, dal dovere sempre e.esattamente adempito, dalle pratiche religiose compiute, dalla grazia conservata, dalla Eucaristia ricevuta spesso,con ringcente slancio di amore? Se •la coscienza si rifiuta a rispondere affermativamente, tremiamo. L’essere nel grembo della Chiesa non vuoi dire partecipare alla salute che è nella Chiesa. Se Dio, venendo a far visita nella salta del banchetto, non’ci trova colla veste nuziale, la nostra presenza al banchetto non è un merito, è un demerito; non è un atto di virtù, è una colpa, un sacrilegio. Una parola ’ben severa suonerà un giorno sul labbro del,Re corucciato: noi saremo cacciati fuori, e dati in preda a chi è incaricato di compiere sopra di noi la giusta vendetta di Dio. Giustizia mosse il mio alto Fattore; Fecemi la divina potestate, La suprema ’sapienza e il primo amore.. L’amore e la santità di Dio diverranno la ragione dela condanna e del castigo di Dio verso di noi. Noi siamo stati chiamati: saremo nel numero dei pochi eletti? Qual pensiero confortante, qual grandezza, qual gioia, il poter dire: il mettermi, il conservarmi in quel numero dipende da me! In qual modo? Il mezzo è bello come il fine; è far nostro uno degli attributi di Dio — la santità! L. V. 41~~1~.114,-,11#2.--,-.441141,-,6.9,J-411e›-,92,4‘.. 1,k1 1‘"iiiT:,-"tiy -A.?iteky’-,ti i i N’t19— ,-tdlit:7-,

GIUSEPPINA MALFATTI Da quattro settimane già è_scomparsa la buona, la infaticabile, la" inesauribilmente soccorrevole. E ancora, andando per la via, ci si aspetta a veder spuntare la sua caratteristica figura, ’e il gesto della mano amica, che soleva accompagnare il saluto del sorriso festoso, della voce carezzevole. E per quanto tempo ancora verrà fatto di dire: «Bisogna rivolgersi alla Beppina» e di rispondere ad altri: «Ne parlerò alla ’baronessa». Aggiungere, coi poveri, il nome, sarebbe stato ben superfluo... Chi non la conosceva, la pietosa amica di ognuno che soffrisse, la tacita dispensiera, la inesauribile organizzatrice di provvido lavoro? E chi non sapeva che non v’era stambugio nel quale non sarebbero penetrati il suo soccorso e il suo conforto? E a chi non era nota la modesta, seminascosta casetta, della quale era così facile l’ingresso, e ove, fin:dalle prime ore del mattino, si trovava Lei, sempre accogliente, sempre disposta ad ascoltare, con serena pazienza, e a cercare i rimedi con quel modo semplice e giulivo che fa quasi dimenticare ciò che il chiedere può avere di penoso? [p. 287 modifica]Non tutti, però, poterono sapere. nè — per quanto di Lei, da vari già sia stato egregiamente detto, e dire si possa — saprebbero immaginare, di quali assistenze eroiche essa sia stata, capace, e, insieme, di quali magnanimi oblii di uttte le amarezze.e di tutti i disinganni che l’esercizio del bene può — insieme ai massimi conforti — procurare da parte di questa povera umanità.... Giuseppina Malfatti era una personificazione dell’altruismo, portato fino alla completa rinuncia di sè. Non solo dal suo esteriore aveva escluso pur l’ombra di quanto possa essere o adornamento o segno di signorilità, ma dell’agiatezza domestica aveva voluto per sè la minor parte possibile, fino a crearsi, nel palazzo avito, una specie di cella. E lo spirito francescano essa esplicava non solo con la povertà volontaria e la carità: ma altresì con quella letizia e quell’amore del bello che di letizia e di bellezza fece creatrice instancabile. — Ne seppe la cara gioventù che le crebbe intorno, e ne seppero gli innumerevoli altri, coi quali era prodiga di quanto negava a sè stessa. E nell’opera cui dedicò, oltre alle varie altre provvide iniziative — gran parte dell’ultimo periodo della sua vita — quella del lavoro trentino — essa riuniva il culto del bello all’amore della patria terra e all’assiduo,pensiero di un’arte cui educare e avviare le donne del nostro popolo. *e per essa, e ’mediante essa, Giuseppina Malfatti aveva stabilito, fra varie città del Regno e queste nostre valli, una rete di rapporti fraterni. Volente, essa aveva, fin dalla giovinezza, rinunciato a quanto costituisce l’a?pirazione massima della generalità delle fanciulle, per dedicarsi, libera e devota, alla famiglia paterna e all’altra, più grande, famiglia che ci crea la fraternità umana. E andò poi sempre più — per dedicarsi tutta alle opere pratiche — rinunciando anche a quanto le era stato fra le principali fonti di conforto e di considerazione altrui: l’intellettualità, cui era giunta per l’ingegno eletto e versatile e la varia cultura. — Rammento come le lettere di Beppina Malfatti siero sempre state per me una festa dello spirito. Sì che solevO rimproverarla di trascurare il più vasto campo d’apostolato che le avrebbe offerto la stampa. E ora — cori quella commozione profonda che che dà ogni cara voce che par venire dal di là, le ho rilette, le belle, le buone, le vecchie lettere. E tutto un lungo e ormai lontano passato, m’è parso rivivere traverso quelle pagine nelle quali l’anima ele‘vata e il cuore inesauribile di ’ Lei si rispecchiavano insieme e l’ambiente che la Circonda’va, popolato di nobili figure, ora in’gran parte Congiunti amatissimi, suoi e miei, amici venerati della nostra giovinezza — sacerdoti e cittadini tempratisi tra le fortunose vicende della Chiesa e della patria, — gli autori nostri prediletti; e, insieme, tutto l’umile mondo degli oscuri,.dei poveri, dei piccoli, ch’erano la sua cura; e il gaio stuolo di nipoti, ai quali, dal giorno in cui nascevano, era scomparse.

rivolto, maternamente trepido e gioioso, il pensiero di lei; e, costante, il riflesso della semplicità con la quale essa, che sapevo essere, ed era sopratutto Maria, si faceva, Marta, solerte quanto serena. Ritrovo pure, nelle sue lettere, tutta l’esuberanza di cuore con la quale essa partecipava ai dolori e alle gioie, alle iniziative e alle speranze non sue; e lo zelo inesauribile per aiutare, anche nelle più umili forme; e quella meravigliosa memoria — sempre feconda di pensieri gentili — che essa aveva di ogni, ricorrenza, di ogni data sacra al cuore degli, amici. E nelle più semplici pagine di cronaca, come nelle più ricche di ’pensiero, nella considerazione di ogni più comune, come d’ogni più alta cosa, quanta luce... Luce serena, fatta di quell’antica fede, profonda e tetragona nella libertà interiore, così diversa ’dalle grette ’complicazioni’ superficiali cui è ridotta la decadente, paganeggiante e servile religiosità d’oggi. Luce che spesso aveva un riverbero dell’al di là. In una lettera fra le più vecchie, essa diceva: «Quante vicende e quanti mutamenti.... Ma rimangono la fede, la speranza nel bene, il desiderio dell’opera — Mondo.spirittiale che mi par sempre l’inizio, dell’eternità». nel 1899: «Io invecchio molto serenamente, e guardo là ove avrà spiegazione ciò che qui non intendiamo..‘ Dio, la Carità,.la mèta raggiunta, i cari da rivedere, gli altri da attendere ’più tardi: «La vita fugge, e non v’è tempo da perdere.... I pensieri si sollevano senza sforzo in su, in alto, e fra le attrattive di questo mondo che passa, sognano quelle dell’altro, che rimane». ora, il. sogno è avverato: Ai mesti che la piangono e sanno, il conforto di ’pensarla nella luce lungamente attesa, e, dopo la laboriosa giornata, nella pace che sempre più sembra fuggire da questa terra dolorosa.

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Il ((Letture della Domenica», periodico che le Conferenze di San Vincenzo da sette anni distribuivano alle famiglie da loro soccorse,, cessa le sue pubblicazioni, vittima anch’esso della penuria dei tempi che corrono. Ma, come i fiori che, scossi dalla brezza, lasciano cadere, qui, là, la semente che il vento e gli uccelli spargeranno e darà poi foglie, fiori, frutti, qui, là, anche il ’«Letture della Domenica» diffonda, nel morire, la sua semente. Dica, cioè, a quanti l’amarono e lo sognarono bello, buono, a quanti oggi rimpiangono la manifestazione di sana energia e il voto di bene ch’esso, non foss’altro, rappresentava; dica: «Il bene non muore mai; lavoratori del bene, non muoia no il vostro entusiasmo, la vostra buona volontà; continuate, sotto altro nome, sotto altra forma, l’opera vostra per le anime. Ottobre, 1914.