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da lungi, non voleva neppur alzar gli occhi al cielo; ma si batteva il petto dicendo: Dio, abbi pietà di me peccabre. Vi dico, che questi se ne tornò giustificato a casa sua, a differenza dell’altro; imperocchè chiunque si esalti, sarà umiliato; e chi si umilia sarà esaltato. S. LUCA. cap. 12

Pensieri.

Tra un giusto contento di sè e un peccatore malcontento di sè, qual’è da preferirsi? Chi dei duesi trova meglio riguardo a Dio? ecco il problyia che presentatoci a bruciapelo, ci mette in qualche imbarazzo nelle riposte. Certo innanzi alle propogte soprannunciate noi critiani arricciamo il naso, ci mettiamo in sospetto. Giusto contento di sè vuol dire non giusto, almeno non si capisce come un giusto possa essere contento 4)17 sè. Gesù è persuaso valere più un peccatore malconten. to di sè, che un giusto contento di se stesso. Ma nei circoli morali, nell’ambiente ufficiale, •eccle: iastico, giudaico, si pensava diversamente; anche noi 1.er istinto morale stiamo con Gesù. Bisognava persuadere chi la pensava in altro moh’.o. A onesto scopo Gesù racconta la parabola dell’odierno Vangelo. Due uomini salirono al Tempio per pregare. L’uno era Fariseo, l’altro Pubblicano. Il Fariseo stava a pregare da sè in questo modo: - t) Dio, io ti ringrazio che non sono come il resto degli nomini, rapaci, ingiusti, adulteri e nè anche come questo Pubblicano. Digiuno due volte la settimana, pago le deAme di ciò che posseggo. Intanto il Pubblicano stando da lungi non osava pui e levare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicenklo: Oh Dio abbi pietà di me peccatore. Vi so dire che questo a differenza di quello tornossi casa giustificato, perchè chiunque si innalza sarà abbassato e chi si umilia sarà esaltato. Nel Fariseo abbiamo tratteggiato un giusto che si,•apisce tanto contento del suo stato che ringrazia Dio di,ion essere come gli altri. Lo diremo superbo? Sì, ma di quella superbia, che ringrazia il Signore di non essere eame i gentili, i persecutori della Chiesa, i malvagi, che per sè non è superbia. Alle parole del Fariseo dobbiamo credere: non si ontano storielle a Dio. Egli dice quello che veramente nella sua coscienza. Il Fariseo non solo si astiene nale, ma fa il bene anche supereregatorio, pratica assai più di quello che la legge comanda. (Questo prescriveva il digiuno una volta all’anno, le decime solo sugli armenti dei frutti dei campi.) Dunque ringrazia Dio di quello.he veramente è. E veramente è un bravo uomo. Tipo di:noralità, di giustizia. Il Pubblicano stava lontano, malcontento di sè. Che,:osa vuol farci intendere.Gesù? Lo scopo suo è di farci.;apire che è migliore il Pubblicano peccatore. Come lo prova? Dicendoci:- guardati •come predicano Fariseo e, Pubblicano. Questi che sa d’aver sbagliato, è pentito,.comanda perdono e l’attiene: il Fariseo contento di sè non domanda nulla, non ottiene nulla. E se quello che

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ha, non bastasse davanti a Dio per essere giustificato? Il Pubblicano si mette al sicuro, mentre il Fariseo credendosi giusto, accetta, non domanda, ma e se la sua giustizia non bastasse davanti a Dio? Il giusto dunque contento di sè si mette in pericolo; ritorna dal tempio con nulla di più di quello che vi aveva portato. Ma questo che posiede basta? Qui sta il tremendo problema. Nella giustizia e virtù del Fariseo abbiamo degli atti, non delle disposizioni e degli abiti morali. Non ho rubato ecc., questo bene è negativo: ma non è tutto non fare il male: il bene’ Digiuno, pago le decime, è vero; ma questi non sono che atti, invece ciò che costituisce la vera moralità, la vera giustizia, sono gli abiti, le disposizioni interiori. Il Fariseo ignora le sue disposizioni interiori. Non parla che di atti, che non può sapere se contentino Iddio; e siccome di essi egli è pago, non curasi d’altro, si mette in gran pericolo. Grande insegnamento per noi! Il Pubblicano si pone al sicuro, domanda perdono: quindi meglio un•peccatore pentito che un giusto contento di sè. Impariamo da quì che il segno della giustizia verace è l’incontentabilità morale. Domandiamo a Dio una sempre maggiore giustizia, purità, disposizione interiore. Chi è contento di sè non è giusto, perchè intanto è contento in quanto ripone la’giustizia negli atti esteriori, che non sono un indice sicuro di vera interiore santità. Domandiamo sempre maggior luce, amore... Di quì si capisce l’orgoglio della giustizia presso gli ebrei perchè collocati nell’osservanza esteriore della legge. Il cristiano l’ha trasportata nell’interiore dell’uomo. Perciò noi dubitiamo sempre, domandiamo sempre di più. Per noi, dovendo essere la giustizia interiore, non crediamo mai d’averne abbastanza; non siamo mai sicuri di non averla in qualche parte offesa. Siamo sempre trepidanti davanti a Dio anche quando non abbiamo coscienza di peccati gravi: ci mettiamo nell’atteggiamento del Pubblicano. — «Oh Dio abbi pietà di me peccatore» — Parole che riconoscono, domandano, pregano, ottengono. •


Beneficenza

Per l’Asilo Convitto Luigi Vitali poi bambini ciechi

SOCI PERPETUI. Sig. Carla Ucelli Tosi SOLDO DEL NEONATO

L. 100

Milano, 20 luglio 1914. La signora S. M. C. in nome della neonata nipotina Carla Savina Monti offre, alla Società Lombarda Pro Ciechi, il soldo del neonato L. 25 NOTA --- Quando una famiglia si illumina al sorriso di un nuovo nato, la mamma per la gioia e la riconoscenza, si ricorda di quei poveri bimbi che al loro nascere non videro la luce; ed offre alla Pro Ciechi il tributo della sua letizia riconoscente. La Pro Ciechi sta coniando una medaglia ricordo per chi aderisce all’opera del Soldo del Nepnato. Ricapito via Bellotti 9 e presso Libreria Cagliati.