Il buon cuore - Anno XIII, n. 06 - 7 febbraio 1914/Educazione ed Istruzione

Educazione ed Istruzione

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Il buon cuore - Anno XIII, n. 06 - 7 febbraio 1914 Religione

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Arte Cristiana


Continuazione e fine del numero 5.


Soggetto religioso è dunque incontrastatamente la prima condizione dell’opera artistica religiosa. Ma questo non basta. Bisqgna che essa sia capace di ispirarci un sentimento religioso, e che questo sentimento religioso sia specificatamente cristiano.

In un precedente articolo ho detto in due parole quale sia la mia opinione su questo punto. Ora è il momento di estendermi un po’ maggiormente.

La perfezione di un’opera d’arte consiste nel far provare a chi la contempla il sentimento che l’artista vuole, e in quel grado e in quella misura precisa che egli vuole. E siccome non è possibile incutere efficacemente in altri un sentimento che noi stessi non proviamo, si potrà dire la stessa cosa dicendo che l’opera d’arte perfetta ha da essere il veicolo che trasfonde dalla persona dell’artista alla persona nostra uno stato d’animo determinato. Quando la Perfezione dell’opera artistica raggiunge il’suo colmo, allora questo trasfondersi dell’anima altrui nella nostra si fa tanto perfettamente e tanto potentemente, che si suscita in noi l’entusiasmo vale a dire una specie di passività per cui ci sentiamo rapiti, tolti, dirò così, al dominio di noi stessi, e sottoposti al dominio di un’anima più potente della nostra, che si è come costituita alla nostra, e che ci comanda in sua vece, e che, senza saperlo noi, o senza vo-

lerlo, o anche malgrado nostro, ci sforza a rallegrarci o a piangere, a inorgoglirci o a confonderci, a sollevare la fronte o a piegare il ginocchio. E’ perciò che di fronte al capolavoro artistico noi ci sentiamo ingranditi e sollevati al disopra di noi, perchè chi, pel momento comanda in noi è un’anima più grande e più nobile della nostra, la passione.che allora ci infiamma è una passione più forte e più ardente delle solite nostre passioni, e ci sentiamo in così stretta comunione di pensiero e di sentimento con l’artista, che in certo qual modo godiamo dell’opera d’arte come se fosse opera nostra. Il vecchio Longino tanti secoli fa aveva già detto questo molto a proposito dell’arte letteraria. «Ciò che è veramente sublime ha questa proprietà, che quando lo si ascolta l’animo nostro è sollevato sopra di sè e concepisce una migliore opinione di sè, si sente pieno di gioia e di una specie di nobile orgoglio, quasi come se avesse creato egli stesso ciò che semplicemente ammira».

Ecco qui un artista che è insieme un cristiano; eccellente nel magistero dell’arte, profondo nel sentimento religioso. Per creare il capolavoro egli dovrà dapprima eccitare in sè al più alto e sublime grado possibile il sentimento che vuol esprimere, e poi, per usare le parole dell’illustre pittore Flameng «egli metterà il suo cuore, la sua immaginazione, la sua emozione in cima del suo pennello», o di qualunque altro sia lo strumento dell’arte sua; e allora la sua tela, o la sua statua, o il suo inno ci rapiranndin una estasi di entusiasmo che accendeva l’animo del pittore, dello scultore, o del poeta, mentre egli concepiva il disegno dell’opera sua.

Tutto questo è indiscusso, ed è tanto indiscusso da esser quasi volgare. Nondimeno non era inutile richiamarlo, perchè, se non mi inganno, ci dà la risposta al quesito che ci occupa e ci interessa: in ch: cosa consiste la specifica caratteristica dell’arte sacra cristiana. Basterà cioè che ci domandianio in che cosa consiste la specifica caratteristica del sentimento religioso cristiano della passione cristiana, dell’entusiasmo cristiano.

E a questa domanda la risposta non può essere dubbia. Il contenuto del Cristianesimo si compen- [p. 42 modifica]dia in una parola: unione soprannaturale con Dio; unione che ha tanti aspetti quanti ne può avere la vita cristiana, che è dal principio alla fine un unirsi a Dio unirsi a Lui fattosi simile a noi per riciondurci a sè, unirsi a Lui per fede mentre la visione non ci è concessa, unirsi a Lui piatgendo il peccato che ci ha allontanato da Lui, unirsi a Lui amandolo nel nostro prossimo, unirsi finalmente a Lui veduto scopertamente a faccia a faccia nell’alto lume della gloria. Ognuno di questi sentimenti è specificatamente cristiano, e qualunque opera d’arte che si ispira a un tale sentimento e lo trasfonde in noi è opera d’arte sacra: quella invece che non rispecchia sotto una forma o sotto un’altra questa unione immediata e soprannaturale con Dio non si potrà chiamare propriamente sacra nè cristiana, per quanto il suo soggetto sia religioso. E’ così che, per non parlare di certe Maddalene atte a muovere piuttosto a libidine che a compunzione, molti San Giorgio a cavallo son più indicati come insegna d’albergo che come icone d’altare, e più di un San Girolamo nel deserto serve meglio come studio di nudo che come esemplare di austerità. L’unione con Dio goduta dai Santi nella gloria dai martiri nei tormenti, dai penitenti in mezzo alle lagrime o irremissibilmente perduta dai dannati nel fuoco eterno, ecco quello/che ci deve esprimere l’opera d’arte veramente sacra e cristiana. E siccome questa unione con Dio ci solleva infinitamente al disopra d’ella natura, così il sentimento prodotto sopra di noi dal capolavoro dell’arte sacra deve essere un senso di innalzamento al disopra di noi e al disopra del creato. Mentre il quadro sacro ci rappresenta sotto qualche suo aspetto una bellezza creata, ci d’eve significare oftraverso a Quella una bellezza superiore; e quindi, mentre attira il nostro sguardo con la bellezza rappresentata, non deve lasciarlo attaccare a s›, ma farlo. dirò così rimbalzare in alto a contemplare collo spirito e quasi a cercare con l’occhio qualche cosa più bella e più desiderabile ancora di guanto possiamo scorgere sulla tela. • •

ri m..0 Ma come potrà l’artista ottenere questo effetto? In ciò sta il gran segreto della religiosità dell’opera d’arte e al tempo stesso il gran segreto di ciascun artista cristiano. In generale par che si possa dire che per raggiungere questo effetto di soprannaturalità si richiede la massima idealizzazione della bellezza rappresentata; idealizzazione dei volti, delle posizioni, dei gesti, degli aggrunnamenti; idealizzazione che nella maniera di molti artisti arriva ad essere una specie di stilizzazione, e, qualche volta a dare rigidità, senza però toglier grazia, alle loro figure, e una— regolare simmetria, senza però toglier libertà, ai loro gruppi; idealizzazione che quasi sempre riesce a questo risultato di concentrare la massima attenzione nostra nelle ’ftsonomie colte quelle che

sono più atte a farci capire l’anima della creatura, lasciando al resto del corpo un interesse secondario. Altra cosa, se pur non rientra nella precedente, che contribuisce a sollevare in alto l’animo di chi contempla il quadro o in generale l’opera d’arte religiosa, è una certa pace, calma, serenità, che contrastando con l’agitazione, il torbido, l’angoscia della vita presente, pare accenni alla soprannaturale tranquillità del cielo e ci inviti a desiderarla. Questa pace e questa calma si può esser sicuri di riscontrarle in tutti i quadri profondamente e intensamente religiosi. E chi vorrà analizzarla la troverà consistere anzitutto nella qualità delle posizioni, che non debbono essere troppo sforzate o contorte; poi nella figurazione dei movimenti. che non debbono essere bruschi ma continuati e tali da non urtare il senso della Permanenza; nella espressione degli affetti, che non devono essere tumultuosi ed esagerati; nella distribuzione della luce che deve essere uniforme e tranquilla; e in genere in una certa regolarità e moderazione-, che è fatta app8sta per esprimerci sensibilmente questa verità così fondamentale nella mistica cristiana, che la più intensa attività spirituale è inseparabile dalla massima quiete. E finalmente un’ultima cosa necessaria nerchè un quadro e una statua siano, veramente capaci di sollevarci al disopra di noi stessi per avvicinarci a Dio, è che siano stati concepiti ed eseguiti dall’artista con nn certo spirito di semplicità di cuore, di rettitudine d’intenzione, di distacco da sè, di ubbidienza, di umiltà. che escludano fin l’ombra delta vanità, del virtuosismo, dell’insubordinazione.’ Ogni pittore veramente grande, ma sopratutto il pittore sacro, deve adoperar la tavoloiza e i pennelli non per farsi valere o per farsi lodare; nemmeno deve proporsi lo SCODO di attirar sopra il suo, quadro gli sgpardi e le comniacenze di una gran folla: sua unica ambizione deve essere quella di fare amare il suo soggetto e lodare Iddio, contentandosi di rimanere lui, nell’ombra, e senza l’a minima pretesa di dar nonolarità alle sue tele. L’artista che non sarà riuscito a dimenticare i nroprii interessi, i proprii diritti. e fino, dirò così. la propria arte ner la propria fede, non avrà ademniuta la s Più indisnensabile condizione per produrre onere cavaci cli attirarci a sè per ispingerci in alto Verso i misteri del cielo. Io non ho ora il tempo di farlo, ma certo sarebbe interessante• il vedere questi criterii e questi principii aprgicati dai nostri grandi artisti nei loro quadri più ispiratamente religiosi. Voglio solo accennare a un esempio notissirho. Si confronti, nel quadro d’ella Trasfig-urazione». la parte inferiore che non è e che non vuoi essere sacra, con la parte superiore che lo è eminentemente. Ti contrasto fra l’una e l’altra potrà servire, meglio di tutte le parole, a illustrare il mio concetto. La scena a piè del monte è tanto bella, tanto perfetta, tanto interessante che l’occhio non se ne sa staccare; ma la sona sul monte è tanto divinamente sublime. che ci obbliga a guardare il cielo e a pensare al Paradiso. [p. 43 modifica]Ora per raggiungere questo idealismo, per ispirarsi a questa calma, ’per saper così eroicamente rinunziare a se stesso è necessario che il sentimento religioso dell’artista sia profondo, genuino, schietto, vale a dire sia attinto alla sua unica sorgente che è la preghiera liturgica. Questa suggerirà all’artista sacro soggetti veramente capaci di rappresentaz.one sacra e di espressione ispirata.. E non solo darà il soggetto, ma ne offrirà lo sviluppo. Se un artista si sarà imbevuto dello spirito ’della liturgia e la conoscerà profondamente, i suoi quadri non saranno mai vuoti nè leggieri di significato; e quando pure egli si trovasse di fronte all’iinpresa di coprir di affreschi un’ampia volta o una eccelsa cupola, avrebbe piuttosto da superare l’imbarazzo della scelta che la difficoltà dell’invenzione. E i soggetti somministrati daila liturgia avranno sempre una singolare efficacia, come è singolare l’efficacia di quelle formole, di quelle suppliche, di quei riti liturgici, ché quasi agiscon da sè, con una virtù sto per dire sacramentale! La liturgia studiata con amore e sentita sinceramente, darà all’opera artistica che ad essa si ispira una straordinaria profondità. Essa la possiede questa profondità perché le sue parole o sono state composte dai più grandi artisti e dai più profondi ingegni che abbia avuto la Chiesa nei suoi tempi migliori. Ora la’ profondità della liturgia cristiana fa sì che mentre essa è adattatissima alle umili intelligenze e ai cuori più semplici, non posson vantarsi di esaurirne i misteri neppur gli ingegni più acuti e le erudizioni più vaste. E così se il quadro sacro rispecchierà in se il sentimento liturgico, riuscirà gradito ed edificante ad ogni classe di fedeli, ai profondi teologi non meno che ai semplici fanciulli, alle anime estatiche non meno che ai peccatori convertiti or ora, agli apostoli della fede e a quelle anime che appena sono giunte al suo limitare. E in questo particolare mi pare di essere proprio costretto a separarmi ’da Francesco Margotti. Egli paragona l’arte sacra all’apologetica, e gli scopi e i mezzi dell’una a quelli dell’altra. Ora l’apòlogetica in tutt’altro modo si rivolge ai dotti e agli ignoranti, ai credenti e agli infedeli, ai vecchi e ahi banibni: essa:presenta ai dotti la Sommo dí S. Tommaso, ai bambini il catechismo, alle signore le opere del Bougaud. Così vorrebbe Margotti, se ho bene afferrato la sua idea, distinguere un’arte sacra per i Benedettini consumati in 9tienza e in santità, un’altra per gli esistenti sul limitare della Chiesa, e fra queste due forme esoemé di arte vorrebbe vederne una intermedia,’ che naturalmente gli sta più a cuore di tutte, per il semplice popolo cristiano. Ora è proprio a malincuore e con la massima trepìdanza che io dissento da chi possiede in ’ugual misura la pratica dell’arte, la sagacia della critica e la divozione del cristiano. Ad ogni modo mi pare che l’arte sacra debba essere una sola per tutti, come una è per tutti la religione, una è per tutti la liturgia. L’opera

artistica sacra, se sarà. ispirata alla divozione soda, che è la liturgia, sarà sacra e divota per tutti, sebbene. non da tutti sarà intesa e gustata allo stesso modo: il monaco di Beurori contemplandola si inabisserà r nella mistica unione, mentre una semplice vecchierella si sentirà consolata sensibilniente. Pro.: prio, come è diverso, sebbene sia sempre sacro, l’effetto prodotto dalla medesima ufficiatura liturgica nell’animo del dotto teologo e in quello’ del semplice laico. Viceversa, se il quadro non sarà stato ispirato alle genuine sorgenti della divozione, non sarà buono nè per un frate nè per un soldato. Proprio come certi cantici popolari, che purtroppo si sentono qualeli volta fui nelle nostre chiese, non possono edificare nè gli uomini nè le donne, perchè, pur facendo molto fracasso, non hanno senso nessuno. Francesco Margotti considera come un difetto dell’arte benedettina, o diciamo più esattamente, come una sua. caratteristica, lodevole quanto si vuole, ma che però la rende meno intelligibile e meno gradita alla gran massa dei credenti, il fatto che in essa tutto è regola e misura, come regola e misura è la giornata del monaco». Ebbene io ritengo come ho detto poc’anzi; che questa regolatezza e questi. misura siano indispensabili nella liturgia. La misuratezza e la regolarità della vita monastica dipendono da ciò che le vita monastica è esclusivamente vita liturgica, ed è quindi la liturgia quella che regola e prescrive i pensieri e gli affetti, le gioie e le lagrime del monaco, come egli determina le ore di preghiera quelle di riposo. Il monaco che vuole uniformarsi perfettamente allo spirito liturgico, deve, per usare le parole di un famoso scrittore, sbarazzai-Si di ogni altra immagine, fare il vuoto nell’anima propria perchè Dio la riempia, dimenticare i suoi interessi, piaceri e ’dispiaceri per limitare i suoi sentimenti a quelli espressi dalla liturgia, del giorno. Ora la liturgia, lo sappiamo, non comporta nessun repertorio di fantasia. Ebbene, qualche cosa di simile deve succedere nella, vita spirituale di Ogni cristiano: Questa non potrà assorbirne tutta intierwrattività, come non potrà occuparne tutt’intiera la giornata. Ma quella porzione, qualunque essa sia, di 4ita interna e esterna che vuol essere vita cristianamente devota, non deve essere meno regolata e misurata della vita monacale, deve avere precisamente le stessa regola, la regola liturgica, la quale, come non permetterà al suo peri-. ’siero di divagarti in- sogni fantastici al di là della barriera del - dogma, così non permetterà al suo ai fetto di perdersi in sentimentalità morbose fuori dei cancelli di una divozione ortodossa. A questo spirito deve uniformarsi, pare a me, l’arte sacra, e lasciarsi umilmente e docilmente infrenare dalle tradizionali regole della.liturgia. Umiltà e docilità, che non avranno già per effetto di -diminuire l’ispirazione individuale dell’artista o la sua efficacia, ma solo di indirizzarla impedendole di traviare. Non si lamenta già il sacerdote ché nella celo brazione del sacrifizio eucaristico ogni parola:, ogni movimento o ogni gesto, anzi persino un’occhiata gli [p. 44 modifica]sia tassativamente prescritta; nè questa costrizione esteriore pone il più piccolo ostacolo al libero spaziare della sua divozione esterna. E così se l’attenersi fedelmente ai soggetti, ai tipi, ai simboli, ai motivi liturgici imbriglierà alquanto la fantasia dell’artista sacro, egli non dovrà lagnarsene; le sue opere guadagneranno in serietà, ed egli schiverà il pericolo, molto facile.a incorrere dall’artista che non è insieme teologo, di scolpire eresie o di disegnare superstizioni. ROMANUS.