Il buon cuore - Anno XIII, n. 01 - 3 gennaio 1914/Educazione ed Istruzione

Educazione ed Istruzione

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Il buon cuore - Anno XIII, n. 01 - 3 gennaio 1914 Religione

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Biagio Pascal1


Pascal fu un atleta ed un uomo dall’occhio di lince.

Fanciullo, egli ha compreso, senza che alcuno gliela additasse, la perfezione di quelle molteplici figure di cui la natura misteriosamente riveste il primogenito fiore delle sue creazioni, e, da maturo geometra, ha segnato a sè stesso gli incontrovertibili rapporti che tra le medesimi corrono; adolescente quasi ancóra, ha interrogato l’eterna mutezza degli elementi in mezzo ai quali sempre è trascorsa ignara fra due infiniti la vita umana, e, da acutissimo fisico, ha rivelato quello che era sempre stato l’oscuro loro valore; adulto e Presso al declino della sua pietosa esistenza, quasi si fosse presentato al suo stesso sguardo il perenne giardino di pace e d’oblio che lo attendeva, è venuto al cospetto di Dio, Lo ha veduta, e Lo ha fraternamente indicato agli uomini.

Intorno a lui, come intorno a una lampada accesa di sempiterno lume, chiaro nel fascio della sua luce, s’è stretto un manipolo di soldati fedeli e forti, fedeli sino alla morte, forti sino al martirio. E se altre milizie l’han preceduto, nell’istesso nome e nell’istessa fede, esse non son venute alla vittoria se non quando radunate sotto al suo mite comando, hanno ritrovato la verità in quel nitido giorno che le nebbie di unBIAGIO PASCAL troppo pigro mattino avevano al loro sguardo così lungamente offuscato. Tardiva e lenta vittoria, però, che non ha avuto trionfo sopra i nemici e che solo il tempo ha consacrato!

Pascal e i Portorealisti. Ecco una esigua schiera, che è tutto un esercito. Divino esercito di pietà e di amore, che ha dato battaglie cruente su gli aperti e [p. 2 modifica]2

IL BUON CUORE

sconfinati campi del genio, divino esercito che si è or ebbero ad accorgersene già dai primissimi anni. Per dinato ed ha apparecchiato le proprie armi nelle si chè il piccolo Biagio, non appena ebbe acquistata la

lenziose trincee di un fraterno compianto e di un rac virtù della parola e la prima diretta conoscenza delle

coko anelito, d’innanzi a Dio, nella Sua luce.

cose, diede segni tali di straordinaria intelligenza, spe In una antica stampa del tempo, ho veduto un

cialmente per la natura di quelle quistioni che sogliono

giorno il disegno dell’abbazia di Port-Royal, quale do porre tutti i bimbi allo schiudersi della loro novissima

veva essere durante il periodo della stia più strenua

mente, da meravigliare non solo i genitori, che sono,

vita. Nel mezzo, il chiostro con l’angusto cimitero e il dormitorio delle suore e la piccola chiesa e il Fiar estranei tutti, e, fra costoro, chi minor ragione aveva

dìnetto a solatio e l’acuto campanile della rinascenza che si eleva crociato verso il cielo come un sospiro;

d’altronde, così prOclivi a sì fatti compiacimenti; ma gli ad una particolare tenerezza di simpatia. Ben poco di cotesto legittimo. orgoglio ebbe a fruire

intorno, le ben ordinate e candide casette degli ospiti,

la madre del piccolo prodigio. Essa mori nel ’corso

con d’innanzi pochi palmi di terra fiorita e i filari di

della sua puerizia: ed il padre raccolse da lei il pietoso

alberelli alla entrata maggiore; poco discosto, un piccolo immoto lago, sopito nel silenzio senza confini. E

mandato di quella educazione. Comprendendo d’aver a che fare con una intelligenza di ordine veramente su la vita di quel lontano seicento m’è apparsa tutta.in periore, per meglio eseguire il proprio cómpito, egli

tera in una ritornata visione di grande pace e di in decise di abbandonare ogni qualunque occupazione e

tatto oblio. Ho veduto le pietose consorelle nell’atto

di trasferire la dimora di tutta la famiglia, costituita

di una preghiera o di una meditazione, tutte e sempre chiuse nell’eburnea torre della loro fede; ho veduto

dal piccino e da, due altre tenere figliuole, a Parigi. E nell’inizio della propria opera adottò un sistema che

gli ospiti profondati nella contemplazione e nello stu si potrebbe chiamare induttivo, incominciando cioè a. dio di verità sublimi, oltre i sensi, oltre la vita, o pas mostrar innanzi tutto al bimbo la ragion formale di o seggianti in una tregua feconda di pensieri lungo le rive e i silenzi del picéolo lago; ho veduto Pascal e gni cosa, per avviarlo poi allo studio teorico delle molteplici discipline del sapere. Volle dare un carat stenuato e morente, l’ho udito chiedere, nel raggio del

tere eclettico a un così fatto insegnamento; e cercò

suo divino amore, di poter soffrire, di poter soffrire

di condurre il piccolo allievo sul terreno degli argo senza fine, di poter soffrire senza scampo, perchè il

menti più variati.

dolore era l’unico stato nel quale egli si sentiva vicino a Dio...

Se non che, nel delicato e misterioso congegno della

Ma ritorniamo nel tedio del nostro’ presente e salu nostra mente, noi tutti abbiamo, acuti od ottusi che la natura ci abbia voluto fare, qualche più o meno

tiamo Costoro, dalle lontananze onde non son stati

irrefrenabile tenerezza per questo o per quel ramo della

travolti. Quella decina d’anni che va dal 162o al 1639,,Ifu

umana sapienza. E il nostro Biagio (peccato che il gentile nome di Blaise soffra tanto nella traduzione

per la Francia letteraria una vera epopea di nascite

italiana!) appena dodicenne, cominciò a dimostrare

illustri. Nel 162o vedeva la luce Molière; lo seguiva,

una straordinaria disposizione intellettiva per le scien l’anno appresso, La Fontaine; poi, nel 1625, Bossuet;

ze esatte, ed in particolar modo, poi, per la geometria.

e due anni non passavano ancóra dala nascita di Mme

Suo padre, che voleva riservare da ultimo l’insegna de Sévigné.

mento di cotesta scienza, it4endendo prima che il fi Né è tutto. Dalle ignote lontananze del comune no gliuolo si perfezionasse nelle lettere greche e latine,

stro mistero, quasi volutamente innestando la propria

alle insistenti preghiere di lui perché lo avviasse sen vita tra quei grandi, il 19 Giugno del 1623, per una

z’altro al tanto desiderato studio, aveva sempre rispo via maestra era entrato nel mondo Biagio Pascal. La

sto negativamente.

piccola città di Clermont, nella montagnosa Alvergna,

Che cosa fa allora, il piccolo ardente discepolo? De aveva avuto cotesto onore. Stefano Pascal, coscien cide di studiar la geometria, egli tutto solo, senza li,

zioso magistrato del governo di Luigi XIII, ed An bri e senza maestri. Avendo saputo dal padre, per

tonietta Regon, avevano sorriso su la sua culla con

una di quelle frequenti domande onde pareva il suo

quella gioia e con quella speranza di che sorridono sempre i genitori al primo albore di una attesa crea tenero cervello non essere mai sazio, che la scienza di

tura. Non vana gioja e non vana speranza, la loro. Più

ciare delle figure esatte ed a trovare le proporzioni tra le medesime esistenti — egli riesce a mettere insieme

che con,il cuore, con la ragione che non inganna, essi

vari gruppi di linee, il complesso delle quali sa rendere’

Euclide era precisamente quella che insegna a trac [p. 3 modifica]IL BUON CUORE senza fatica alcuna, esatto; ed ancóra senza alcuna

periosa sete della sua intelligenza. A ventitre anni, a fatica, stabilisce le proporzioni che tra cosi fatti di vendo veduto Yesperienza del Torricelli, si dava egli

segni intercorrono. Nè si ferma qui. L’evidenza di ta stesso ad eseguire taluni importanti saggi di fisica,

luni rapporti gli fa enunciare con sicurezza dAgli as che tutt’ora passano e s’insegnano sotto il suo nome;

siomi; il procedimento logico a traverso il quale è passata la sua mente prima di giungere alle ultime meno semplici constatazioni, gli si affaccia come una vera e propria dimostrazione perfetta; insomma, senza saperlo, senza conoscerne neppure il trattato, egli giunge alla trentesimaseconda proposizione di Euclide. Tutto ciò egli aveva fatto nascostamente, come avesse dovuto celare qualche più o meno innocente scappata di fanciullo. E quando un giorno, tutto assorto nei suoi disegni, fu scoperto per caso dal padre, costui, vedendo i’meravigliosi ’risultati a cui il suo Biagio era pervenuto, non potè che a stento trattenere qualche troppo irruente lacrima di gioja. Naturalmente gli concesse stibito i libri necessari a cotesto, studio prediletto, a patto però che non trascurasse nè Virgilio nè Omero nè gli elementi della filcisofla e della fisica_ a cui era già iniziato, e che si dedicasse alla nuova scienza più per isvago che per il conseguimento di un dovere: ed il piccolo discepolo di sè stesso, pur durante le ore di ricreazione, vi si applicò con tale intensità di amore, che a sedici anni aveva già scritto un trattato su le figure coniche, il quale fu ’l’oggetto delle più alte meraviglie da parte di tutti i vecchi maternaOci del tempo, e riuscì a scuotere anche l’indifferenza di Descartes, che sembra avesse per sistema di non ammirare mai nulla. Cotesta così assidua applicazione, tuttavia, non poteva che danneggiare la salute già piuttosto malferma del giovinetto: e fu a diciott’anni, ch’egli cominciò a risentirne. Se non" che non ne rimase scosso il suo immenso amore, allo studio, ed in particolar modo la sua speciale predilezione per le ricerche matematiche. A diciannove anni egli aveva già trovato la macchina calcolatrice, per fare meccanicamente le principali operazioni aritmetiche, invenzione ch’ebbe l’onore di dedicare alla regina Cristina di Svezia, la bizzarra figlia di Gustavo Adolfo, ma pur cosi benemerita protettrice di scienze e di arti. La sua salute, intanto, per il continuo eccesso del lavoro mentale, che doveva naturalmente avere una ripercussione sul sistema’ nervoso, andava ogni giorno declinando, tanto, che dal diciannovesimo anno di età sino alla sua morte, avvenuta quattro lustri dopó — è sua sorella stessa che ce lo racconta — egli passò a traverso una non interrotta alternativa di sofferenze PIÙ o meno gravi. Nè ancora fu per ciò fiaccata l’im fra i quali va annoverato quello importantissimo che dimostra come nel vuoto tutti i corpi soffrano in modo eguale della legge di gravità. A ventiquattr’anni, però, egli risolse di abbandonare le discipline scientifiche, • per dedicarsi interamente allo studio della morale cristiana E’ questa, quella che i biografi di Pascal chiamano la sua prima conversione: vedremo in seguito come i medesimi glie ne vogliano attribuire una ’seconda. Egli, per quanto fosse sempre stato un sincero credente, dato l’ambinte religioso di tutta la sua famiglia, divenne da quel tempo di una così scrupolosa osservanza e si accese di un così grande fervore, da trascinar seco ad un più alto grado di fede tutte quante le persone della sua casa. Le condizioni della sua salute andavano intanto ogni giorno peggiorando. Era assalito da una forma così grave di nevrastenia, da non potersi cibare se non di liquidi caldi, che soltanto a piccoli sorsi gli riusciva d’inghiottire; e da essere continuamente tormentato per forti dolori di capo insieme ad acutissime infiammazioni viscerali. Fu allora consigliato dai, suoi medici di sottoporsi ad - un rigoroso riposo mentale e ad una vita, quanto più gli fosse stato possibile, di svago. Nella speranza di poter riprendere presto i suoi studi prediletti, si adattò, Pascal, a cotesta necessità, e si gittò-nel mondo e passò per tutte le sue gioje fugaci. Ma fu per assai breve tempo. Egli sentì ben presto di non poter reggere ad un sì fatto tenore di vita, che trovava troppo vuoto, e, per le sue convinzioni religiose, troppo poco piacente a Dio. Preferì la salute dell’anima a quella del corpo: e si ritrasse tutto, interamente, profondamente, nell’ascetismo della sua fede immacolata. E’ qui che noi lo troviamo nella solifudine di Port-Royal. Semplificò la propria vita, rinunciando ad ogni cosa che fosse anche lievemente superflua; dedicò tutta la giornata alla preghiera ed alla lettura delle Sacre Scritture; fuggì ogni qualunque pensiero di debolezza o di vanità. In questo kernpo, anzi, si racconta ch’egli abbia usato il cilicio di una ferrea cintura a varie punte, fissatasi intorno al corpo, e su la quale egli premeva con le braccia, producendosi- acutissime trafitture, che immantinente gli rammentavano il ritorno al suo mistico dovere, allorquando un qualche rilassamento del suo grande ardore lo coglieva. Nè mai diversamente egli fece, sino al giorno stesso della,sua morte. E’, cotesta, quella che [p. 4 modifica]IL BUON CUORE

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i biografi di Pascal impropriamente chiamano la seconda sua conversione. Taluni, anzi, fra costoro, la vogliono senz’altro attribuire ad un preteso grave pericolo onde sarebbe scampato Pascal stesso, andando a diporto un giorno In vettura, per Parigi. Il fatto gli sarebbe accaduto nell’autunno del 1654, durante quel periodo di tempo in cui i suoi medici gli avevano raccomandato, come già dissi, una vita di svago. Ed ecco in che modo si sarebbe svolto. Trainato in una carrozza a quattro cavalli, Pascal passeggiava lungo le rive della Senna, alte sopra il corso dell’acqúa e per nulla protette da ripari. Come giunse presso il ponte di Neully, i due. destrieri di volata, impennatisi, sarebbero precipitati nel fiume, mentre la vettura, rimasta proprio su l’estremo limite della sponda, avrebbe minacciato da un ~pento all’altro di travolgere nei,gorghi)! anche Pascal. Secondo quei biografi, dunque, per cotesto grave accidente il grande pensatore si sarebbe a tal punto impressionato, da subire in seguito continue paurose visioni del pericolo corso, e, tra l’altro, un non breve stato di estasi, durante il quale avrebbe scritto sopra una carta, che si sarebbe poi sempre conservata cucita negli abiti, come un amuleto, il racconto del fatto accadutogli. La cosa pare poco attendibile, però. Senza contare che cotesto accidente del ponte di Neuilly è messo in dubbio da molti e non è documentato da prova alcuna, sembra inammissibile che Pascal, il quale già da tempo aveva cominciato ad occuparsi di filosofia religiosa ed agli Studi di teosofia senza distrazione alcuna s’era dedicato, abbandonato le speculazioni scientifiche, sembra inammissibile, ripeto, che egli, grande e profondo pensatore quale era, abbia interamente subordinate le proprie convinzioni al pericoloso fatto occorsogli. Quanto a chiamarla, cotesta, una sua seconda conversione, la cosa appare ancora più• strana, perchè, non essendosi egli mai ricreduto dalla prima, gli sarebbe proprio stato inutile il convertirsi una seconda volta. Certamente, dopo il soggiorno piuttosto mondano trascorso a Parigi, Pascal ha operato un radicale mutamento nella sua vita esteriore. Ma non è forse più logico attribuire cotesto fatto 2". disgusto provato per le forse poco cristiane distrazioni trascorse nella capitale e ad una maggiore maturità di ponderazione e di giudizio — per quanto egli

sia stato un precoce -- che abbassare il profondo spirito del suo convincimento religioso ad una causa certamente sproporzionata al meraviglioso effetto ottenuto, così da farlo sembrare «un convertito dalla paura», come non si perita di chiamarlo Victor Cousin (che pure è un insigne studioso ed un sincero ammiratore del grande asceta di Clermont), e non un creddnte per intima, ielaborata„ consapevole persuasione? Ma torniamo ai pochi anni che restano oramai della sua povera vita. (Continua).

  1. Togliamo dal bel libro Figure ed Ombre di Tullo G. Carnevali edito dalla Casa Editrice L. F. Cogliati, L. 3,50, (per gli abbonati al «Buon Cuore» L. 2,75) queste bellissime pagine che rievocano la grandiosa figura di quel genio Cristiano che fu il Pascal.