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IL BUON CUORE senza fatica alcuna, esatto; ed ancóra senza alcuna

periosa sete della sua intelligenza. A ventitre anni, a fatica, stabilisce le proporzioni che tra cosi fatti di vendo veduto Yesperienza del Torricelli, si dava egli

segni intercorrono. Nè si ferma qui. L’evidenza di ta stesso ad eseguire taluni importanti saggi di fisica,

luni rapporti gli fa enunciare con sicurezza dAgli as che tutt’ora passano e s’insegnano sotto il suo nome;

siomi; il procedimento logico a traverso il quale è passata la sua mente prima di giungere alle ultime meno semplici constatazioni, gli si affaccia come una vera e propria dimostrazione perfetta; insomma, senza saperlo, senza conoscerne neppure il trattato, egli giunge alla trentesimaseconda proposizione di Euclide. Tutto ciò egli aveva fatto nascostamente, come avesse dovuto celare qualche più o meno innocente scappata di fanciullo. E quando un giorno, tutto assorto nei suoi disegni, fu scoperto per caso dal padre, costui, vedendo i’meravigliosi ’risultati a cui il suo Biagio era pervenuto, non potè che a stento trattenere qualche troppo irruente lacrima di gioja. Naturalmente gli concesse stibito i libri necessari a cotesto, studio prediletto, a patto però che non trascurasse nè Virgilio nè Omero nè gli elementi della filcisofla e della fisica_ a cui era già iniziato, e che si dedicasse alla nuova scienza più per isvago che per il conseguimento di un dovere: ed il piccolo discepolo di sè stesso, pur durante le ore di ricreazione, vi si applicò con tale intensità di amore, che a sedici anni aveva già scritto un trattato su le figure coniche, il quale fu ’l’oggetto delle più alte meraviglie da parte di tutti i vecchi maternaOci del tempo, e riuscì a scuotere anche l’indifferenza di Descartes, che sembra avesse per sistema di non ammirare mai nulla. Cotesta così assidua applicazione, tuttavia, non poteva che danneggiare la salute già piuttosto malferma del giovinetto: e fu a diciott’anni, ch’egli cominciò a risentirne. Se non" che non ne rimase scosso il suo immenso amore, allo studio, ed in particolar modo la sua speciale predilezione per le ricerche matematiche. A diciannove anni egli aveva già trovato la macchina calcolatrice, per fare meccanicamente le principali operazioni aritmetiche, invenzione ch’ebbe l’onore di dedicare alla regina Cristina di Svezia, la bizzarra figlia di Gustavo Adolfo, ma pur cosi benemerita protettrice di scienze e di arti. La sua salute, intanto, per il continuo eccesso del lavoro mentale, che doveva naturalmente avere una ripercussione sul sistema’ nervoso, andava ogni giorno declinando, tanto, che dal diciannovesimo anno di età sino alla sua morte, avvenuta quattro lustri dopó — è sua sorella stessa che ce lo racconta — egli passò a traverso una non interrotta alternativa di sofferenze PIÙ o meno gravi. Nè ancora fu per ciò fiaccata l’im fra i quali va annoverato quello importantissimo che dimostra come nel vuoto tutti i corpi soffrano in modo eguale della legge di gravità. A ventiquattr’anni, però, egli risolse di abbandonare le discipline scientifiche, • per dedicarsi interamente allo studio della morale cristiana E’ questa, quella che i biografi di Pascal chiamano la sua prima conversione: vedremo in seguito come i medesimi glie ne vogliano attribuire una ’seconda. Egli, per quanto fosse sempre stato un sincero credente, dato l’ambinte religioso di tutta la sua famiglia, divenne da quel tempo di una così scrupolosa osservanza e si accese di un così grande fervore, da trascinar seco ad un più alto grado di fede tutte quante le persone della sua casa. Le condizioni della sua salute andavano intanto ogni giorno peggiorando. Era assalito da una forma così grave di nevrastenia, da non potersi cibare se non di liquidi caldi, che soltanto a piccoli sorsi gli riusciva d’inghiottire; e da essere continuamente tormentato per forti dolori di capo insieme ad acutissime infiammazioni viscerali. Fu allora consigliato dai, suoi medici di sottoporsi ad - un rigoroso riposo mentale e ad una vita, quanto più gli fosse stato possibile, di svago. Nella speranza di poter riprendere presto i suoi studi prediletti, si adattò, Pascal, a cotesta necessità, e si gittò-nel mondo e passò per tutte le sue gioje fugaci. Ma fu per assai breve tempo. Egli sentì ben presto di non poter reggere ad un sì fatto tenore di vita, che trovava troppo vuoto, e, per le sue convinzioni religiose, troppo poco piacente a Dio. Preferì la salute dell’anima a quella del corpo: e si ritrasse tutto, interamente, profondamente, nell’ascetismo della sua fede immacolata. E’ qui che noi lo troviamo nella solifudine di Port-Royal. Semplificò la propria vita, rinunciando ad ogni cosa che fosse anche lievemente superflua; dedicò tutta la giornata alla preghiera ed alla lettura delle Sacre Scritture; fuggì ogni qualunque pensiero di debolezza o di vanità. In questo kernpo, anzi, si racconta ch’egli abbia usato il cilicio di una ferrea cintura a varie punte, fissatasi intorno al corpo, e su la quale egli premeva con le braccia, producendosi- acutissime trafitture, che immantinente gli rammentavano il ritorno al suo mistico dovere, allorquando un qualche rilassamento del suo grande ardore lo coglieva. Nè mai diversamente egli fece, sino al giorno stesso della,sua morte. E’, cotesta, quella che