Il buon cuore - Anno XII, n. 48 - 29 novembre 1913/Religione

Religione

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Educazione ed Istruzione Beneficenza

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Domenica terza d’Avvento

Testo del Vangelo.

In quel tempo avendo Giovanni udito, nella prigione, le opere di Gesù Cristo, mandò due de’ suoi discepoli a dirgli: Sei tu quegli che sei per venire, ovvero si ha da aspettare un altro? E Gesù rispose loro: Andate e riferite a Giovanni quel che avete udito e veduto. I ciechi veggono, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono mondati, i sordi odono, ì morti risorgono, si annunzia ai poveri il Vangelo, ed è beato chi non prenderà in me motivo di scandalo. Ma quando quelli furono partiti, cominciò. Gesù a parlare di Giovanni alle turbe. Cosa siete voi andati a vedere nel deserto? una canna vbattuta dal vento? Ma pure, che siete voi andati a vedere? Un uomo vestito delicatamente? Ecco che coloro, che vestono delicatamente, stanno ne’ palazzi dei re. Ma pure cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, vi dico ib, anche più che profeta. Imperocchè questi è colui, del quale sta scritto: Ecco che io spedisco innanzi a te il mio angelo, il quale preparerà la tua strada davanti a te. In verità io vi dico: Fra i nati di donna non venne al mondo chi sia maggiore di Giovanni Battista; ma quegli che è minore nel regno de’ cieli, è maggiore di lui. Ora dal tempo di Giovanni Battista infin adesso, il regno dei cieli si acquista colla forza, ed è preda di coloro che usana violenza. Imperocchè tutti i profeti e la legge hanno profetato sino a Giovanni: e se voi volete capirla, egli è quell’Elia che doveva venire. Chi ha orecchio da intendere, intenda. (S. MATTEO, Cap. 8. 11).

Pensieri

S. Ambrogio riconosce in Giovanni il tipo della legge naturale e positiva; che fu prenuncia e precedente a Cristo. Ciò pure viene accertato dalla storia. Per vero nell’Esodo la provvida nube e l’ampia distesa, del mare, dove rinasce e fecondasi la vita, dice la grazia del battesimo: nell’Agnello ci viene manifestato il cibo non materiale ma spirituale, cibo allora sconosciuto ed insospettato: nella rupe di Mosè la grazia dei sacramenti nella scaturigine d’acqua perenne ed indefettibile, nel Levitico la remissione dei peccati: il regno dei cieli nei salmi, e la terra di pace, argomento di conforto e speranza in Gesù Salvatore. E tutto si assomma nel testimonio di Giovanni il precursore, il quale — a volta sua — sente l’obbligo ed il bisogno di mandare due dei suoi discepoli ad interrogare Cristo circa lo scopo di sua missione, e la dignità di sua persona. Tutto ciò ben significa che Giovanni — tipo della

legge e perfettibilità umana — manda da Gesù per avere un supplemento di scienza: non ci basta, non può bastare l’uomo a... se stesso: gli è necessaria una seconda, una magiare forza di perfettibilità — come Gesù in confronto di Giovanni — per avere quella pienezza e perfezione di vita che è solamente rappresentata da Cristo. Dunque per quella perfezione ideale, che ognuno sente fremere in sè, nel suo spirito, nelle ardite ascensioni del proprio cuore, è pur vero, non essere sufficiente il valore umano, comunque meglio si manifesti; ma è necessario, indispensabile aggiungere quella forza esterna, estrinseca, che dicesi fede, che dicesi religione. Nè basta ogni o qualunque fede e religione. No.

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No. Come purtroppo — in questi tempi di religiola.frase, che ciò che nismo o moda spiritualistica importa è una religione, e non quella più che l’altra religione, se le contrarie verità potessero avere una realtà contraria nel medesimo.modo e tempo. No, signori. Religione vera; quindi efficace, operatrie,di virtù è quella, che si presenta forte più per testimonio di fatti che non per strane ed eleganti elucubrazioni; quella che si sostiene col testimonio di secoli e secoli in una inesauribilità infinita, e non quelle che godono l’aura d’un mattino e cadono flacide e finite innanzi la sera. Ecco la ragione che induce quei due discepoli a presentarsi a Cristo: vengono a vedere, non a cercare le soddisfazioni della curiosità e del nuovo, ma vengono a cercare la soluzione, le prove, gli argomenti per chiarire il dubbio delle loro anime, certi lati del problema religioso. E di ciò Cristo li chiama beati, cioè si congratula della felicità e beatitudine che avranno dopo che i loro orecchi ed i loro occhi avranno visto ed udito. Oh! i miseri, che nelle gioie del mondo, nel fremito delle passioni, nel tumulto delle mondane feste ci compatiscono, ci compiangono perchè — trascurate le lor danze ed i loro tripudii — noi indaghiamo ed indugiamo nella ricerca del vero, di Cristo. Cos’è il vero? che ci può dare di piacere... Gesù? Così chiederà un giorno Pilato!

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Per contrario: dopo che Cristo ha invitato i discepoli ad osservare quanto loro succede di meraviglioso innanzi al loro sguardo, grida ancor beato chi non si sarà scandolezzato lui. Sembra una stonatura: chi doveva scandolezzarsi di Gesù, dell’opera sua? Chi? Ciò, che non doveva essere, fu e rimane un fatto. Sono i cento, che si mantengono ribelli a Cristo, indifferenti, ribelli, infedeli, peccatori. Sono i cento, che nelle sue opere di bontà e carità leggono un fine... secondo, un fine egoistico, utilitarista, un fine... politico anche. [p. 381 modifica]Sono i cento, che l’umana dignità — rivendicata a libertà da Cristo — oggi pretestano per far guerra a Cristo, alla Chiesa, alla sua religione: per colpire la beneficienza stessa, questo fiore delicato ed umile strappato al cielo da Cristo, coltivato solo solo nelle ajole divine della Chiesa: eppure ciò che asciugò lagrime ieri, e strappò alla disperazione dama gentile e pia, oggi si dice... umiliazione! B. R.

La Marchesa Maria Trotti dei Principi Beigioioso. Giovedì mattina si fecero solenni funerali alla.Marchesa Maria I rotti, partendo il corteo dalla Casa in via Boss’, N. i, per la prepositurale di S. omaso. Innumerevole tu il concorso delle persone intervenute: si può dire che tutta l’alta società milanese fosse presente. Numerose rappresentanze di istituti di beneficenza, con bandiere e stendardi, precedevano il feretro. La Chiesa di S. Tomaso fu trovata angusta a contenere tutta la folla accorsa. Splendide e numerose corone, collocate su apposite carrozze,erano state inviate da diverse parti: spiccava prima fra tutte quella di S. M. la Regina Maroterita, che da molti anni contava la • Marchesa Trotti come sua prediletta dama di onore. Nel corteo formava parte distinta una larga rappresentanza dell’Istituto dei Ciechi, ’e dell’Aslio Infantile, del quale la Marchesa era da molti anni Presidente. Al Cimitero monumentale, Monsignor Luigi Vitali, come Rettore dell’Istituto dei Ciechi e dell’Asilo Infantile lesse le seguenti parole: Un compito solo io voglio riserbarmi nel ricordare la Marchesa Maria Trotti, la cui salma ci sta dinnanzi, le benemerenze ch’ella si era formate riguardo all’Asilo Infantile dei Ciechi. Succeduta come Presidente del Comitato promotore alla Contessa Amalia Sola, che può considerarsi come la chioccia che fecondò colle sue ali i piccoli bambini appena raccolti nel primitivo loro piccolo nido, ella completò ed accrebbe l’opera della Contessa, colla sua potente iniziativa e l’influenza della sua persona, così ben caratterizzate nella frase di chi l’aveva preceduta: alla Marchesa Trotti nessuno può dire di no. E tutti sentivano questa sua superiorità, ed erano lieti di sentirla, orgogliosi di sapersi da lei inspirate e guidate. C’era un momento in cui l’opera della Marchesa maggiormente si accentuava, nella biennale ricorrenza della fiera di dicembre: ella lavorava, faceva lavorare, incitava a lavorare: nessuno si meravigliava nel constatare che i maggiori introiti della fiera

erano quelli tenuti dal banco della Marchesa. E’ sui lavori per la nera che negli ultimi giorni della sua vita, cadde la stanca mano! UnO dei trionfi più graditi dell’opera sua, imita a quella delle sue valenti collaboratrici, fu quando potè condurre i piccoli bambini dalla piccola casa provvisoria, in via Vivaio, nella casa nuova, in prolungamento dell’Istituto dei Ciechi, che diventava così come. il tutore e il garante della nuova Istituzione. Non c’era proposta che potesse giovare all’asilo, coll’aumentare il.numero dei bambini, o nel renderne le condizioni migliori, che non avesse il suffragio della Marchesa. E’ con un senso intimo di compiacenza che ella udito essere generoso proposito del Consiglio dell’Istituto, di preparare nella Casa di Campagna dell’istituto a Binago, un piccolo quartierino anche pei bambini ciechi, per far loro fruire le arie salubri della campagna, e sottrarli in luglio ed agosto alle giornate afose della città: era una disposizione in cui vedeva la beneficenza e l’igiene darsi la mano. La settimana ventura noi faremo la fiera, ma la:Marchesa non vi sarà più: sul suo banco si vedranno e si venderanno molti degli oggetti fatti da lei, ma non sarà più la sua mano a distribuirli, non sarà più la sua voce a incitare per la compera! Ma la sua assenza non scemerà punto l’ardente operosità delle sue collaboratrici: sarà anzi per esse come un intimo stimolo di fare in modo che la sua assenza sia meno sentita, colla loro più feConda attività. Margherita di Savoia, chiamata dalla Marchesa Trotti ad essere augusta patrona dell’Asilo Infantile, vegli col suo spirito geniale sulla benefica istituzione. Altre opere avevano richiamato il concorso intelligente e g4neroso della Marchesa Trotti: noi non le esponiamo; ci basti l’accennarvi per dire che la Marchesa Trotti ’ha onorato la sua persona e l’alto suo casato, ha onorato la sua città che la circondava del suo rispetto e della sua stima, che la sua memoria merita l’omaggio di tutti i partiti, perchè tutti si onorano di veder riunito in un sol tipo di tranquilla bellezza la bontà colla coltura, la ricchezza còlla beneficenza. Per la vita eterna, eterna rimuneratrice delle anime credenti e buone, l’aspetta Iddio. Dopo il Rettore, si fece innanzi la maestra cieca dell’Asilo Infantile, signorina Venturelli Carolina, e toccando colle mani un foglio a punti rilevati lesse le seguenti parole. a E’ pei piccoli ciechi dell’Asilo Infantile ch’io mi permetto porgere all’Illustre Marchesa Trotti l’estremo affettuoso saluto, poiché dei piccoli Ciechi essa fu, per parecchi anni, benemerita Presidente, preziosa Consigliera, Benefattrice generosa. Quando, alla morte della sempre compianta nostra prima Presidente, Contessa Amalia Sola la • Marchesa Trotti ne assummeva generosamente il non [p. 382 modifica]facile incarico, i piccoli Ciechi, riconoscendola e salutandola per la prima volta, le dicevano: a la mamma abbiam perduta... Tu sei la nuova mamma», ed Ella sorrideva a questo figliale, affettuoso saluto, e lo accoglieva benigna come un voto, una preghiera, che da quel giorno sino ad oggi hanno toccato il suo cuore nobile e pietoso, e dal suo cuore, nobile e pietoso furono largamente esauditi. Cara, illustre Dama, potessero, in questo triste momento, i piccoli figli del tuo cuore, esprimerti il loro grande dolore per l’irreparabile tua dipartita! Ma dal Cielo, ove già avrà premio la tua grande carità, li guarda, li assisti, li proteggi ancora; l’angelico sorriso del tuo spirito li conforti in questo istante, come già in quel giorno fortunato in cui per la prima volta ti chiamarono la loro mamma; ed essi, memori e riconoscènti, ti risponderanno oggi e sempre coll’omaggio del loro ricordo, del loro affetto, della loro pregliera per Te presso il buon Dio. Il Prevosto di S. Tomaso, Don Luigi Marazzani, che aveva assistito la Marchesa negli ultimi momenti della sua vita, ricordò infine con parole commoventi la fede e la cartià, che avevano caratterizzato la Marchesa. La salma tumulata provvisoriamente nel Cimitero Monumentale, verrà in seguito portata nel sepolcro di famiglia a Bellagio.

ROSA BRAMBILLA (Cieca)

Un mesto corteo muoveva lunedì mattina dalla Chiesa dell’Ospedale Maggiore per il Cimitero di IVIusocco. Faceva corona al feretro un numeroso stuolo di Allieve dell’Istituto dei Ciechi, venute a prestare l’ultimo tributo di ricordo alla loro compagna Rosa Brambilla, che per molti anni, nel corso. dell’istruzione, aveva vissuto con esse nell’Istituto. Era orfana di padre fin dai primi anni, e aveva posto tutto il suo affetto nella madre, che assiduamente la visitava. Colpita da mal sottile, non essendo prudente trattenerla a lungo nelle infermerie dell’Istituto, fu ricoverata all’Ospedale Maggiore, dove rimase per più di due anni, edificando tutti colla sua inalterabile pazienza e serenità. Prima di uscire dalla Chiesa dell’Ospedale, il Rettore dell’Istituto pronunciò dinanzi al feretro le seguenti parole: E’ un angelo che è tornato in cielo. E’ frase che si ripete, e che è vera quando è detta per bambini, che muoiono nell’innocenza, prima di aver provate le aspre vicende della vita. Ma. qui è vera, ancor che quella che piangiamo fosse già in una gioventù avanzata. Pur relativa mente innanzi nell’età, conservò sempre l’ingenuità, la dolcezza, la serenità dei primi anni. Vi hanno persone presso cui il fisico è come l’espressione della vita morale interna: ella era una figura esile, che la lunga malattia aveva resa quasi diafana. La sua fronte era sempre serena, il labbro sorridente, la parola gentile: pareva che la pace, il candore della Madonna si riflettesse sopra il suo volto. E quanto ha sofferto! Fu già grande prova la natura del male che non perdona, e che essa fin da principio comprese che poteva aver dalla sorte, ma non apparve vinta mai. E un sacrificio maggiore le toccò in mezzo al sacrificio: Ella aveva sognato di chiudere i suoi giorni nelle pareti dell’Istituto che l’avevano ospitata giovinetta: una disposizione di riguardo verso le compagne, che essa, sentendola ben dura, fu la prima a riconoscere giusta, la condusse in queste mura, che aumentano il dolore proprio nello spettacolo del dolore altrui. Fu disposizione di Dio perchè la sua pazienza, la sua rassegnazione, tornassero di esempio alle numerose persone che la circondavano, e facessero sorgere la speranza e le consolazioni della fede in qualche anima travagliata, da gran tempo non più usa a gustarle. Dopo Dio, ebbe tre amori che esprimono tutte e tre le disposizioni dell’animo suo gentile e riconoscente: l’amor della madre, l’amor della sua distinta benefattrice, Donna Paolina Bellinzoni, l’amor dell’Istituto: come amò la sua madre, e quale schianto al suo cuore quando non potè più sentirsela al fianco, pose al posto della mamma la sua benefattrice, lieta di averla al fianco la vigilia stessa della morte: non rifiniva più di ringraziare tutte le persone dell’Istituto, compagne, maestre, superiori che nelle visite non interrotte le facevano quasi credere di trovarsi ancora nell’Istituto. Nella privazione di tutto, nel sacrificio della vita, si azzardò a manifestare un desiderio: era un ultimo omaggio alla fede che era sempre stata il suo conforto e la sua speranza: desiderò che la Santa Messa fosse celebrata nel tempo delle sue esequie, desiderò che il sacerdote la accompagnasse fino alla fossa, e non ci fosse quasi interruzione tra il sacerdote che l’accomiattavano dalla terra, e il sacerdote eterno, Cristo, che la riceveva entrando nel cielo. E’ nostra dolce convinzione che ne’ - suoi lunghi dolori sopportati con eroica pazienza ella non solo soddisfacesse i debiti del purgatorio, ma avesse preventivato una copiosa serie di meriti pel suo ingresso nel cielo! Addio, Rosa! Tu, anche partita, resterai fra di noi come una dolce visione: hai vissuto povera, muori povera: ma una doppia ricchezza è presso di te: l’esempio e i meriti, l’esempio di bene che lasci alla terra, la copia dei meriti che ti aCcompagnano al cielo. [p. 383 modifica]All’Amica ROSA BRAMBILLA

«Beati i Morti che muoiono nel Signore». E’ dal Cielo, è dalla Patria vera, che ci arriva la mistica voce; e noi, fra i lutti della terra e le tristezze dell’esiglio, l’accogliamo con trepida dolcezza. Nella dolorosa e pur sacra gravità di questo luogo e di quest’ora più che all’amato Feretro, che sta per essere affidato alla terra, a Te noi ci rivolgiamo, o Signore, in un bisogno immenso di sentire il tuo spirito, d’invocare, d’intenderé e benedire il tuo Verbo di «Rissurezione e di Vita». Compagne a questa carissima nei facili anni della scuola, come in quelli pensosi della crescente esperienza e comprensione della vita, sappiamo di quanta luce e forza le fu sorgente la sua religiosità, fatta di fede inalterabile e di serena comunione d’affetti! Essa informò la vita, tutta la sua vita a un ideale di bontà, di mite consenso al Tuo divin volere: e fu così che la lunga prova toccatale, la trovò generosamente disposta e fedele, tanto da riuscire di edificazione a chiunque, come le sue compagne ed amiche; potè seguirla durante la sua malattia, ’fino al giorno* ultimo, religiosamente da lei aspettato e inteso dalla vittoria e dalla pace suprema. Ora la dolce anima è in Te, Signore, e in Te s’è ricongiunta alla sua mamma tanto amata e rimpianta, ìn Te trova il compenso alla sua vita buona, alla pazienza del suo lento martirio, al filiale abbandono di tutto il suo essere nel tuo mistico bacio di Redentore e di Padre. Deh fa che pure in noi rimanga perennemente viva, o Signore, la dolce anima! Viva in una feconda bontà di memorie, di ispirazioni, di speranze, in un incessante salire del nostro spirito verso di Te, che sei la luce, verso di Te che sei la Risurrezione e la Vita. A quanti come noi, oggi pregano e piangono intorno a questo Feretro, bello di fiori e santo di fiduciose preghiere, scenda, o Signore, il conforto delle Tue immancabili proinesse: ma sopratutto resti e si diffonda nel grande asilo del dolore e del balsamo, dove la nostra Cara per ben due anni giacque e si elevò; dove, in luogo della sua povera mamma, prima lontana, poi defunta, trovò in una degnissima figlia di S. Vincenzo, una madre ideale che le insegnò ad amare tutto e tutti: in Te e per Te che sei l’amore infinito... Che l’angelica Suora senta nell’esultante benedizione di Lei, fatta immortale, e nel nostro riverente grazie commosso, senta, o Signore la benedizione e il — grazie — che pur viene da Te a chi ne’ poveri tuoi, né tuoi eredi, a Te guarda, Te conforta ed onora. 24 novembre 1913.

Molta Maria.

Aurelia Cappello Cerri

Al Cimitero di Musocco, la maestra cieca Motta Maria, colle seguenti parole si fece interprete dei sentimenti di tutte le compagne.

Essere cristiana di fatto, non di parole: ardere in cuore di una perenne fiamma di fede altissima, di umana carità, di delicata gentilezza; espandersi, nelle sacre pareti della casa, in fervore di abnegazione e inesausta mansuetudine di atti: profondere all’esterno la fraterna bontà che fa propri dolori e gioje altrui: essere la virtù, l’umiltà: avere soavissimi gli occhi, il gesto, il sorriso: ecco Colei ch’io chiamavo la «Santa Mammetta» e che lasciò la vita per il Prepio nella notte dal 18 al 19 corrente. FULVIA.