Il buon cuore - Anno XII, n. 48 - 29 novembre 1913/Educazione ed Istruzione

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Il buon cuore - Anno XII, n. 48 - 29 novembre 1913 Religione

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Il monumento di due civiltà


IL COLOSSEO NELLA STORIA



Rievocando la fine del paganesimo in Roma, nell’anno in cui la Chiesa ricorda la pubblicazione dell’editto di Costantino, chi scrive ha già avuto occasione di osservare essere stata gran ventura che non andasse attraverso i secoli distrutto il monumento forse più tipico ed espressivo nella tradizione pagana ed al quale sono congiunte per i cristiani le memorie più care, come quelle che ricordano il glorioso battesimo di sangue che la religione loro ivi ricevette. L’anfiteatro Flavio difatti, destinato tante volte a scomparire, c’è invece rimasto nelle forme di una meravigliosa rovina, tale che, se più non potrebbe servire agli usi per cui l’edificio era stato costrutto, sembra però sfidare l’opera dell’uomo, che pure gli fu assai più fatale di quella del tempo. C’è in questa sopravvivenza un significato simbolico che rende il monumento tanto più prezioso e che ci induce a farne oggetto di una specie di culto storico, non solo, ma religioso.

Un’opera che riassumesse ed illustrasse le vicende subite dall’anfiteatro Flavio nei suoi venti secoli di vita era indubbiamente destinata a portare un largo contributo alla espressione di questo culto. E questa opera ci è proprio stata data nell’anno consacrato alla commemorazione di un grande fatto storico, del tramonto, cioè, di una civiltà, dopo di cui il mondo, nonchè morire, risorse più libero e più giovane di prima per una virtù nuova che l’aveva rigenerato.

Forse nessun altro monumento è andato soggetto a tante e così varie peripezie e, dopo di essere stato teatro d’infamie senza nome, ha ricevuto più bella e invidiabile consacrazione. Dagli spettacoli che vi diedero i successori di Tito (sotto il quale nell’anno 8o l’anfiteatro venne inaugurato con splendidissime feste) alle giostre dei primi decenni del secolo decimoquarto, ai drammi sacri e alle pie funzioni della, Via Crucis che vi si celebravano ancora nel secolo scorso, è una serie di vicende che tutti sommariamente conoscono, ma delle quali è interessante leggere i particolari nelle descrizioni che ci sono pervenute.

Caratteristiche negli spettacoli che si celebrarono nell’anfiteatro Flavio nei primi sei secoli dell’era volgare furono lo sfarzo e il realismo delle scene cruente. Marziale ci ricorda fra gli spettacoli magnifici e straordinari quello indetto da Domiziano, sotto il cui regno l’arena venne accomodata in modo da rappresentare Rodope, nella cui sottoposta pianura, come in un teatro, Orfeo cantava, mentre intorno a lui ballavano scogli e selve con ogni genere di uccelli e di animali mansueti e feroci. Orfeo era rappresentato da un reo, il quale rimase lacerato da un orso.

Il sacrificio di vittime umane era comunissimo e ordinato senza pietà da imperatori che non esitavano a scendere essi stessi in campo per delle incredibili esibizioni di coraggio. Commodo riuscì a far scrivere ad uno storico mai non essersi visto nè udito che un imperatore sfidasse i più rinomati gladiatori ed uccidesse di propria mano tante fiere, così che da ogni angolo d’Italia e dalle regioni finitime accorrevano le genti in Roma per assistere a quegli straordinari spettacoli. Fu durante il regno di Commodo che un giorno si sparse la voce essere intenzione dell’imperatore di trafiggere con saette gli spettatori. Il popolo aveva ben motivo di credere alla diceria, non ignorando che quel mostro una volta riunì in un luogo tutti gli storpi, gli zoppi, ed avendo loro circondate le ginocchia con figure di serpenti, e date a essi delle spugne perchè le lanciassero, quasi fossero pietre, e considerandoli quali giganti, li percosse e li uccise. [p. 378 modifica]I giuohi gladiatori ebbero fine, come tutti sanno, in seguito all’uccisione del monaco Telemaco nel 403 o nel 404. Nel 523, assumendo il Consolato Anicio Massimo, si diedero nell’anfiteatro Flavio gli ultimi spettacoli classici dei quali rimanga memoria. Con tale data si può chiudere il primo periodo della storia del Colosseo, quello a cui vanno congiunti gli episodi delle persecuzioni dei cristiani, perchè l’opinione di chi sostiene non potersi assicurare che l’arena del Colosseo sia stata bagnata dal sangue dei martiri contrasta con le testimonianze sufficientemente sicure che noi possediamo. E se di quelle gloriose vittime non ci è possibile dare un elenco specifico, possiamo ben ritenere il loro numero tutt’altro che scarso, essendo la proscrizione del Cristanesimo durata fino alla promulgazione dell’editto di Costantino.

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Nei periodi successivi la storia del Colosseo si compendia in una serie di danneggiamenti che il tempo e gli uomini portarono al grande monumento. Di tanto in tanto, per una fortunata risipiscenza, si pensò anche ai restauri, in considerazione, sia del valore storico e artistico della mole imponente, sia dell’utilità che essa potevo ancora offrire. I primi,danneggiamenti risalirebbero al regno di Antonino Pio e pare siano stati occasionati dal grande incendio avvenuto in Roma sotto lo stesso imperatore. Anche sotto il brevissimo impero di Macrino l’anfiteatro arse per un fulmine scoppiato nel giorno stesso dei Vulcanali. Allota restarono incendiati tutti i gradini e il recinto superiore, circondato da una grande quantità di legname; il ’resto fu dal fuoco semplicemente danneggiato, ed Eliogabalo ne iniziò i restauri. Nuovi e parziali incendi l’anfiteatro ebbe a subire anche in seguito. Dalla metà circa del secolo sesto al secolo undecimo il Colasse°, a quanto pare, rimase abbandonato, così che il terremoto che nell’8or recò a Roma danni gravissimi completava la rovina lentamente operata dal tempo. Sul finire del secolo XI esso subì le medesime vicissitudini degli altri grandiosi edifici di Roma antica, fu cioè convertito almeno in parte, in fortezza feudale e come tale se lo disputarono vari signori, finchè, posto sotto la giurisdizione del Senato e del popolo romano, venne nuovamente destinato a pubblici spettacoli. Furono essi le famose «giostre dei tori» di cui le descrizioni che ci sono rimaste interessano tanto la storia degli spettacoli celebrati nell’anfiteatro quanto la storia di Roma e delle sue famiglie più celebri. Questi spettacoli cruenti e deplorevoli pare non siano più stati ripetuti dopo i primi decenni del secolo decimoquarto tanto che il Colosseo ritornò di nuovo nell’abbandono di prima, anche per il terremoto che nel 1349 provocava la caduta di una parte del recinto, e durante il triste periodo dell’assenza dei Papi da Roma diventò nido di ladri e dimora di

malviventi che vi restarono fino al giorno in cui una Compagnia di giovani romani, detta del SS. Salvavatore a ad Sancta Sanctorum n, si assunse l’incarico di ridare sicurezza a quella parte della città. Spettacoli di genere ben diverso dai precedenti furono i drammi sacri che si dettero nel Colasse° sulla fine del secolo decimoquinto o sul principio del decimosesto. In uno spazio piano sopra gli archi delle antiche scaline limitato da un’ala di muro di forma circolare, si costituì una tribuna a guisa di teatro, ed in essa ogni anno, nel giorno del venerdì santo, si rappresentava la Passione di Cristo. Cessati i drammi sacri, il palcoscenico rimase abbandonato, come del resto l’intero edificio. Non molti anni dopo si arrivò al punto di farlo divenire campo di stregonerie notturne e il Cellini racconta nella sua vita che una notte egli stesso assistette ad uno di questi bei trattenimenti. Così per tanti secoli la sorte di questo insigne monumento ha oscillato fra il sentimento di chi, pur riconoscendo in lui l’opera di una civiltà pagana, non poteva però dimenticare come il sangue di numerosi martiri del Cristianesimo l’avesse consacrato e benedetto, e il progetto di altri che non vedevano nel grande e pur danneggiato edificio se non il teatro profano in cui la grande affluenza di spettatori poteva compensare le enormi spese di adattamento e, in certo modo, il sacrificio di vittime umane. immolate nem più sull’altare degli dei, ma su quello della ambizione e della temerità. E quanto sia stato difficile liberarsi da questi fatali pregiudizi lò dimostra un fatto sintomatico. Nell’anno 1671 ci fu chi pensò di servirsi nuovamente dell’anfiteatro per darvi spettacoli pubblici, riproducendo le famose caccie dei tori, e il cardinal Altieri e il Senato romano osarono dare il permesso con un decreto che fortunatamente non ebbe poi corso, perchè Clemente X, ad istanza del P. D. Carlo Tornassi pubblicò quindi’ due opuscoli sull’anfitaetro Flavio, cercando di dimostrare la santità del luogo, la venerazione in cui doveva tenersi e il rispetto che i fedeli dovevano nutrire per quell’arena già santificata dal sangue cristiano. Omnis caesareo cedat labor amphitheatro Unum (irae cunctis fama loquatur opus. Così esalta Marziale il monumento che va considerato un indice della grandezza romana e del quale noi oggi non possiamo avere se non un pallido con-.etto di ciò che fu nell’epoca del maggior splendore. Gli insulti del tempo, è vero non sono bastati per distruggerne l’ossatura che ci dà ancora oggi la impressione di un colosso meraviglioso, ma che cosa vediamo noi oramai di quella immensa ricchezza di rivestimenti e di decorazioni in sasso, in bronzo, in ferro, in legno di cui il Colosseo dovette essere sovracarico? Più nulla dacchè tutto è scomparso, asportato da vandali e da ladroni di ogni specie. Tuttavia giustamente osserva il Colagrossi, l’autore di questo pregiato libro dal quale abbiamo desunti i cenni che [p. 379 modifica]riguardano la storia del Colosseo attraverso i secoli, che l’aspetto esterno del monumento, benchè deformato dalle ingiurie degli uomini e degli elementi, è imponentissimo. Basta vederlo per non dimenticarlo mai più: «La sveltezza di una mole così colossale è dovuta -- osserva inoltre l’autore — alla sua forma curvilinea, che sfugge ed inganna l’occhio e sorprende lo spettatore. Il pittoresco che v’ha insensibilmente introdotto il tempo con l’opera sua di distruzione, l’ha reso così vago e interessante, che molti giunsero a non desiderare la riedificazione della parte diruta». Gli è che un monumento come il Colosseo non appartiene alla storia del popolo e della civiltà che l’hanno creato più di quel che appartenga alla storia e alle civiltà successive le quali ne hanno fatto oggetto dell’ingiuria come del rispetto che si son sempre alternati nelle vicende del culto le memorie def passato. Carlo Meda.

FIGURE E OMBRE

letteratura, l’utilità che se ne trarrebbe sarebbe infinitamente maggiore, ed i vari autori, invece di essere conosciuti soltanto per•il nome delle loro opere e per la data della loro nascita e della loro morte, rseterebbero impressi nella nostra attenzione come persone realmente conosciute da vicino. L’autore ci conduce così nella vita di quello strano e così personale poeta che fu Cyrano de Bergerac; di quella geniale scrittrice che fu Madame de Sévigné; di quell’immenso ingegno che fu Biagio Pascal; di quell’infelice letterato che fu lo Ccarron e di quella fortunata e nobile dama che fu Madame de Maintenon, la sposa di Luigi XIV; senza contare, poi, tutte quelle altre figure minori che cooperarono alla gloria di Pascal nell’eremo di PortRoyal, e quelle altre ancora che frequentarono il famoso Hotel de Rambouillet, l’illustre palazzo dove si davano convegno tutti i letterati francesi del secolo XVIII. Il bel libro è arricchito da numerose nitide fotoincisioni.

Per up cittadino illustre

nel secolo aureo della letteratura francese I.,

La benemerita Casa Editrice milanese L. F. Cogliati pubblica un interessante ed utile libro di Tullo G. Carnevali, il brillante novelliere che già avemmo---occasione di conoscere per altre pubblicazioni, che ora ci fornisce un valido elemento di diffusione di coltura, facendoci conoscere alcune tra le meravigliose bellezze che onorano il periodo più illustre della Francia letteraria. In questo volume, l’autore, che ottenne parecchi anni or sono il diploma d’insegnamento per la lingua letteratura francese, e che sempre si dedicò con particolare amore ad argomenti relativi alla coltura della nostra sorella latina, dimostra una mirabile competenza, un equilibrato senso di critica, ed una scrupolosa fedeltà storica. Già pratico di tutte le bellezze del secolo di Luigi XIV, egli ci dà nel suo volume i più moderni risultati della critica e le più diligenti ricerche della storia. Non pensi però il lettore che si tratti di un libro di testo o di uno di quei libri che si dicono, a ragione o a torto, pesanti. Senza contare che esso è scritto in forma piacevole e tale da costituire già di pmr sè stessa un allettamento alla lettura, il volume del Carnevali contiene l’interessantissimo racconto dèlla vita e dei casi e delle opere di alcuni illustri letterati francesi e di altri anche meno illustri, racconto, che,preso nel suo insieme, dopo averci divertito, ha il precipuo merito di lasciare nella nostra memoria qualcosa di nobile e di utile quali sono delle cognizioni onde va ad aumentarsi il patrimonio della nostra coltura. Se anche nelle scuole si adottasse un così fatto sistema di insegnamento, particolarmente poi lo sì adottasse per la nostra

Il nobile dott. Carlo Bassi ha compiuto il suo ottantesimo anno e la fausta ricorrenza non ha potuto passare inosservata a quanti conoscono questo illustre nostro concittadino. Egli si è occupato sempre delle migliori nostre istifuzioni e di innumerevoli opere buone, dedicando ad esse, con instancabile costanza, un ingegno eletto, un cuore generoso e l’autorità che gli è data da una vita illibata e dalla sua posizione sociale. Sarebbe compito non facile il ricordare tutto il bene che ha fatto don Carlo Bassi, specialmente all’Opera Pia per la cura degli scrofolosi poveri, di cui è presidente e alla quale appartiene da oltre cinquant’anni. Egli ne è stato uno dei fondatori e fu sotto la sua presidenza, che essa raggiunse quella prosperità che ha consentito di erigere a Celle quel vasto edificio, ove tanti nostri fanciulli trovano la salute. Don Carlo Bassi è anche il presidente dell’Ospedale dei Bambini, in via Castelvetro, sorto specialmente per opera sua; ma sarebbe lungo l’enumerare tutte le istituzioni alle quali appartiene e dedica la sua attività e che ieri, a mezzo delle rispettive rappresentanze, gli hanno presentato, coi più fervidi auguri, le espressioni della riconoscente loro esultanza. Il Santo Padre ha voluto associarsi a queste dimostrazioni di giubilo e di riconoscenza, facendogli pervenire la sua benedizione e i suoi auguri; e così S. M. il Re, a mezzo del ministro degli esteri, si è degnata di ricordare le sue benemerenze, quale presidente generale della Associazione nazionale fra i missionari cattolici italiani; benemerenze che il Re ha voluto riconoscere, conferendogli motu proprio la commenda dei SS. Maurizio e Lazzaro. Il nostro giornale ricorda con gioia tante e sì solenni prove di stima e di riconoscenza date al cittadino benemerito e vi sí associa di tutto cuore.