Il buon cuore - Anno XII, n. 04 - 25 gennaio 1913/Il Cardinale Capecelatro

Il Cardinale Capecelatro

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Il buon cuore - Anno XII, n. 04 - 25 gennaio 1913 Religione
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Il Cardinale Capecelatro scrittore


Note gentilmente favoriteci dal R. Mons. G. Polvara



Tutti i generi degli scritti religiosi, quello che narra, quello che ammaestra, quello che infervora, Egli riportò in seno alla letteratura vera e propria; in tutti Egli adattò l’arte letteraria alla delicata indole dei soggetti e alla dignità della cattedra dalla quale per tanti anni parlò. Non c’è una riga di lui che non sia bella; non c’è una sua bellezza che non sia appropriata alla nobiltà della materia e alla sua.. Sotto questi riguardi, importantissimi, egli fu senza dubbio il maggiore dei letterati italiani contemporanei a noi.

La sua opera narrativa si svolge principalmente nelle storie d’uomini di Dio. Quando nel 1856 uscì la sua vita di S. Caterina da Siena, che pure nello stile risentiva ancora di quei classicismi faticosi insegnati nella sua Napoli da Basilio Puoti, un giovane fin da allora valoroso e già non sospetto di simpatie verso la religione, Giosuè Carducci s’accorse, che lo studioso Filipino ridava cittadinanza letteraria alle vite dei santi. Quando poi il Capecelatro fu aiutato dall’esempio di Alessandro Manzoni e di Cesare Guasti a trovare, in una purezza più semplicé d’espressioni, lo stile veramente suo, le vite successive che scrisse rappresentavano l’armonia piena tra le necessità della storiografia sacra e quella del buon gusto letterario. Troppo pochi si sono ancora accorti di ciò, perchè da una parte la letteratura continuò ancora nel suo scisma di qualche secolo dalle materie religiose, e parecchi scrittori di materie religiose continuarono a trattare le lettere come un fuor d’opera, o a prenderne l’enfasi e la sciattaggine dei secoli XVII e XVIII.

Ma seppure la rinnovazione del Capecelatro non fu così notata e quindi efficace quando avrebbe dovuto essere; se nei meriti che gli furono da tutti riconosciuti, non tutti compresero quant’obbligo c’era di far una buona volta come lui, rimane sempre vero, che per suo mezzo le attrattive del bello scrivere italiano servirono nuovamente a convincere che tutte le epoche sono adatte ad ospitare i santi; epoche di forza o di mollezza, di purità o di corruzione; che nei più diversi secoli queste figure eccelse, dissimili nel, l’indole e nell’opera sono simili e quasi identiche nell’ardore divino dell’operare; che perciò il territorio del cattolicismo ha cime senza paragone più alte di quelle d’ogni altro territorio.

Non era questo un compito degnissimo della vera arte dello scrivere, e non era un danno che molti degli scrittori di queste cose ne Scrivessero senz’arte? Avevano sentito lodare per valore morale anche uomini d’altre religioni; eppoi, al di fuori d’ogni religione, sentivamo prestare i titoli della santità e del martirio ad altri uomini che si erano esercitati ad agire e a sacrificarsi per scopi nobili se non pii, come la patria, la scienza, la pubblica fortuna. Sì, ma a che cosa valse questo tentativo d’avvicinare e quasi di contrapporre alle virtù dei Santi della Chiesa quelle spirituali o civili d’altri uomini famosi? Le pagine di cui ci ricordarono con nuovo splendore che ai santi restava il privilegio d’una unità di coerenza della vita, d’una costanza nell’oblio di sè stessi, dinanzi alle quali tutte le altre vite, pur elevate e generose, apparivano magnanime soltanto a tratti e non mai scevre del tutto da ricorsi d’egoismo. Magnifica apologia questa: perchè nella capacità di dar sempre qualche frutto meraviglioso sta la prova più tangibile della vita dell’albero cattolico; magnihca e patriottica, perchè la tal quale avversione o inettitudine delle lettere nostre a parlarci dei Santi era un difetto della patria; ed è stato un servigio alla sua gloria l’avervi esercitato con alta arte la penna.

La narrazione di queste vite memorabili è [p. 26 modifica] dotta «sopra un piano vasto, che le rimette nel tempo e tra gli eventi e gli uomini in cui si svolsero; è distribuita con ordine non artificioso; è fatta con uno stile piano, lucido, che prende dalle buone tradizioni la lingua più eletta senza ricercatezze, ma rifiuta da essa ogni rettorica, a tal punto, da prendere talvolta precauzioni quasi eccessive contro gl’impeti di eloquenza, per paura che in rettorica degenerino.

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La parte più specialmente ammaestrativa dell’Eminentissimo Cardinale Capecelatro, svolge in trattati, opuscoli, atti episcopali, quasi tutte le questioni cne agitano il tempo nostro. Esse mirano soprattutto, nella più sicura rettitudine del complesso pensiero cattolico, alla formazione della persona cristiana in tutti i’ suoi pregi divori ed umani. Quindi anche le esposizioni e rettifiche di dottrine egli fa servire prevalentemente a scopo morale.’ Si direbbe che avvezzo a studiare i santi, cioè gli uomini in cui tutte le virtù raggiungano la massima altezza nella massima unità; lo preoccupi sempre lo spettacolo di quella moltitudine di cattolici, che santi non sono nè diverranno, e in cui pure si potrebbe ottenere, benchè in un livello minimo, una virtù, che comprendesse e conciliasse le altre; che in questa armonia formasse ciò che si chiama il carattere. Egli non vorrebbe lo spettacolo tanto frequente di virtù male associate tra loro, che nei proprii interstizii lasciano abitare se non vizi, almeno difetti d’incoerenze, piccinerie, astiosità, codardie, per le quali gli uomini nostri presentano rare volte una fisionomia ben definita, ben proporzionata nelle sue parti, e in tutto nobile, tale cioè da dare anche essa, dinanzi agli occhi dei miscredenti o dei dissidenti, una testimonianza del valore che può venire alla gente comune da,quella fede che rende impareggiabili i santi. Dopo aver additato a suprema apologia della Chiesa, le cime, come dicemmo, del suo territorio, gli piacerebbe ottenere che anche il declivio, su cui quelle cime emergono senza discontinuità, non restasse separato o in altipiani a sè, o peggio ancora in bpssure. Per questo mi sembra che tra tutti i suoi scritti ammaestrativi il più significante e il più suo, sia quello, non so perchè poco noto, intitolato Le virtù cristiane, nel quale invece di seguire il metodo di molti, cioè di vuotare le anime dai vizi, senza poi riempirle prontamente, ardentemente e a sovrabbondanza, di qualche altra cosa, che è poi tutta la virtù, egli segue il metodo di mettere in vista l’attrattiva delle virtù prima d’altro; chiarire che cosa esse sono, che misura debbono avere per essere tali, e dove sia quel centro vivo nel quale la loro varietà si fonde, e pel quale l’uomo virtuoso non è un infelice costretto a correre appresso a ciascuna di esse qua e là e a tenerle strette ’insieme con affannosa difficoltà, ma è un fortunato, che tutte le può raggiungere insieme, senza che nessuna ripugna all’altra, e che può così congiunte in Dio tutte possederle in pace.

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Lo stile di questi scritti ammaestrativi non differisce gran chè da quelli di storia; ma vi acquista maggior merito la’chiarezza di cui gli uni e gli altri rifulgono. Poichè la chiarezza, ottima sempre, male è citata per solito come una qualità che abbia sempre lo stesso valore. Uno scrittore superficiale e di poche idee non ha gran ragione di vantarsi d’esser chiaro; ci mancherebbe anche che fosse oscuro! Ma il Cardinale Capecelatro raggiunse un’estrema chiarezza esponendo le questioni più ardue e tenendosi nelle elevate regioni, che erano adatte a quelle questioni e dilette alla sua intelligenza. Egli maturava tanto il proprio pensiero e tanto se ne rendeva consapevole, prima di metterlo in carta, che lo scritto non solo non aveva nessuna incertezza o nebbia, ma non portava nessun segno della precedente fatica mentale. Parve anzi a taluno ch’egli avesse la mente più ornata che profonda. E si capisce. Molti deducono la profondità unicamente dalle traccie degli sforzi per raggiungerla, che siano conservati nella esposizione scritta. Ma chi più del Capecelatro, nel labirinto dei problemi religiosi, o dei problemi morali, sociali, che s’agitano oggi, seppe camminare con piena conoscenza del mondo moderno, sceverando pacatamente nella modernità il vero dal falso; mostrando qual guida certa ed amica sia il magistero dell’autorità romana; giungendo sempre a soluzioni alte e persuasive? Tra i suoi ’scritti intesi ad infervorare tiene il primo posto il libro di preghiere e di esercizi di pietà intitolato: «L’anima con. Dio». Esso è un capolavoro, e tale sembrerebbe certo a tutti, se i cultori dell’arte andassero a cercarla nei libri di devozione, e se i devoti pensassero, che anche a quei libri l’arte vera potrebbe giovare.

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Gli altri generi dei suoi scritti sono riassunti in questo; poichè specialmente nello spiegare i vangeli delle domeniche e il significato delle varie feste vi si narra; nello svolgere i vani precetti vi si ammaestra. Vi si aggiunge un terzo genere, ossia vi si prega. Anche lo stile della preghiera è lento e tranquillo, quasi placido accoramento. Non differendo quanto ai modi del resto dei suoi scritti esso rende più palpabile la coordinazione di tutta la sua opera a quei sentimenti, di cui la preghiera è lo sfogo. La sincerità della ricerca e dell’espressione nasce in lui dall’umile culto di quella verità che, qualunque storia, qualunque scienza riguardi, un aspetto di Dio; umile culto che più ancora d’una legge per l’intelletto, può essere, com’era per l’E.mo Cardinale, un lato della carità. La devozione inconcussa.11.a cattedra di Pietro, per cui ogni sua parola e fatto riuscirono un servigio alla Chiesa si manifesta dallo spirito di quel libretto come una derivazione diretta di quella obbedienza al Signore, che è dolcezza, libertà e dignità. Il suo atteggiamento di pace, per cui tutti gli affetti santi, come quelli di patria e reli [p. 27 modifica]gione, di scienza e di pietà, furono in lui cordialmente uniti; quella pace per cui non gli uscì mai contro nessuno al mondo una parola che potesse ferire, e nella sua lotta continua contro l’errore, amò tutto gli erranti e i dissidenti, non come è facile di dirlo, ma in modo che gli erranti ed i’ dissidenti sentivano essi d’essere amati da lui, questa pace proveniva, e il li bretto mostra, dall’avere acquistato nell’altissima comunione con Dio quella vastità di sguardo, per cui nei litigi fra gli uomini, anche per le più grandi cause, ciò che apparisce piccolo è il più delle volte il litigio; proveniva dall’essersi tanto accostato per mezzo del Cuore divino a tutti i cuori degli uomini, da sentire «di che lacrime grondi e di che sangue n e quanta triste reazione susciti ogni ferita inferta sba datamente e superfluamente al cuore d’un uomo, sia pure.in nome della verità.

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Il Cardinale Capecelatro, scrittore, per i soggetti che trattò, per i modi con cui li trattò, per i tesori di mente ed animo che vi spese, lascia tre grandi insegnamenti: primo, che la bellezza e le verità somme sono così appropriate le une alle altre che se quella rifugge da queste diserta il campo delle maggiori applicazioni proprie, e sé per contrario queste vengono da alcuni trattate senza la compagnia di quella, sono frodate d’un raggio che loro appartiene. Il secondo insegnamento ammonisce che non hanno scusa coloro, i quali non sanno accostarsi al,mondo delle idee e delle passioni moderne senza abbandonare o affievolire in sè stessi il lume delle dottrine che Roma continuamente interpreta e alimenta; come si palesano in fatto diffidenti di quel lume, coloro che recandolo devotamente con sè rifuggono dal dare qualunque occhiata imparziale a quel mondo, o pensano di conoscerlo e poterlo condannar tutto in virtù d’una semplice occhiata. Il terzo insegnamento consiste nell’aver dimostrato col fatto che l’amore di tutti gli, uomini in Dio può visibilmente conservare il suo aspetto d’amore, non doversi far riconoscere a stento sotto abiti presi a prestito dall’acrimonia; qualunque sia l’importanza dei diritti che si difendono; qualunque spettacolo di mutue lacerazioni abbia reso inconsueta e fatta deridere come fiacca o ingenua la costante amabilità.