Il buon cuore - Anno XI, n. 29 - 20 luglio 1912/Educazione ed Istruzione

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L’emigrazione italiana in California

Chi abbia percorso il severo padiglione degli Stati Uniti all’Esposizione Internazionale di Torino, teste chiusa, ha dovuto trattenersi con particolare compiacenza ad ammirare in un’ampia sala le meraviglie della nuova Terra Promessa, come con nota iperbole sono chiamati i magnifici prodotti del suolo della California. Quivi erano esposti in bella mostra gli splendidi esemplari della frutticoltura e dell’orticoltura di quella regione del Pacifico: vi erano riprodotti in fotografie di grande formato alcuni saggi della sua meravigliosa vegetazione: gli Eucalyptus e i Sequoia, giganti della vegetazione, attraevano specialmente gli sguardi: attraverso la base di uno di questi colossali tronchi passa una comoda strada carrozzabile; il tronco di un altro albero, abbattuto, ha fornito da solo il legname occorrente per la costruzione di una chiesa!

Da un altro lato della sala, in varii preziosi e interessanti modelli, è raffigurata la grandiosa opera del Canale di Panama, molto opportunamente rammentata nella Mostra della California, perchè sarà appunto questo Stato a trarre i più grandi vantaggi dall’apertura del Canale; anzi la California si appresta a celebrarne la ricorrenza con la grande Esposizione Internazionale che avrà luogo nel 1915 a S. Francisco.

Ma la più gradita sorpresa nel visitare questa Mostra si ha nel constatare che molte cose cui parlano del lavoro e del genio italiano: dagli eccezionali prodotti di questa agricoltura specializzata, nella quale è così ricercata ed ammirata l’opera abile e paziente dei nostri agricoltori, al gran canale del Panama, che non solo ha dato e dà tuttora lavoro a centinaia e centinaia di nostri operai, ma sarà il trionfo di una delle invenzioni più utili di una scienza tutta italiana. Cade qui opportuna l’occasione di rammentare che il sistema delle conche adibito alla navigazione, per cui i trasporti salgono e scendono di una considerevole altezza nel corso di un canale, era conosciuto ed applicato in Italia già fin dalla metà del secolo XV e la Lombardia vide le prime grandi costruzioni del genere.

Il Canale di Panama, costrutto dal Governo federale degli Stati Uniti, condurrà le navi da uno dei due oceani, per mezzo di tre conche all’altezza del lago di Gatun (85 piedi sul livello del mare), donde le farà discendere, per mezzo di altre tre conche, nell’altro oceano.

La Mostra della California all’Esposizione Internazionale di Torino — tranne un campionario dei principali minerali del paese — era essenzialmente agricola. E infatti il meraviglioso sviluppo avveratosi in questo Stato negli ultimi dieci anni, è dovuto principalmente al suo primato nello sviluppo dell’agricoltura e dell’orticoltura; il segreto della prosperità californiese fu la specializzazione agricola, per la quale taluni prodotti della regione costiera del Pacifico vennero perfino a contendere all’Italia, produttrice ed esportatrice di frutta ed ortaggi, gli stessi mercati europei. Esaminando le accurate statistiche dell’Esposizione, vediamo che più della metà della produzione totale, che fu per l’ammontare di 942.580.488 dollari nell’anno 1910, è dovuta all’agricoltura, all’orticoltura, alla viticoltura ed alle industrie da queste derivate. Vengono solamente in seguito i prodotti delle manifatture, i prodotti minerali, quelli della pesca, dell’allevamento del bestiame, ecc. [p. 229 modifica]Questo fortunato periodo agricolo-industriale che attraversa ora la California è succeduto a un altro periodo pure fortunato e più universalmente noto: vogliamo dire il periodo minerario, il quale però non è ancor chiuso del tutto e impiega ancor esso in buona parte la mano d’opera italiana. Non è quindi meraviglia che tutte queste ricchezze sparse su un territorio grandissimo e relativamente poco popolato (la superficie è di 390,000 Km.2 e la popolazione di 2.377.549 abitanti appena), abbiano sempre esercitato ed esercitino tuttora un grande fascino sulle masse emigratrici. Tuttavia gli italiani in California non vi si stabilirono al seguito di forti correnti emigratorie dalla madre patria, ma si portarono colà alla spicciolata, come si suol dire, talvolta dopo un più o meno lungo soggiorno negli Stati dell’Est, tal altra ubbidendo alla chiamata di parenti ed amici. Anzi specialmente in California non è infrequente il caso di un primo venuto d’una famiglia o d’un paese che abbia poi incoraggiato i parenti e i conterranei a raggiungerlo: in talune città sono quindi numerosi i gruppi d’immigrati d’una stessa provenienza.

Anche ora non si può dire che parta dall’Italia per la California una forte e diretta corrente emigratoria. Questo fatto è essenzialmente dovuto alla lontananza: perchè un emigrante giunga fino al Pacifico occorre sia provvisto delle cinquecento o seicento lire indispensabili per l’intero viaggio dall’Europa a New-York e di qui in California, oltre s’intende, alla scorta di denaro, fissata al minimo dalle leggi federali, per le spese di primo installamento.

Le spese di trasporto dall’Italia in California, maggiori di quelle richieste per altri paesi transoceanici, hanno però a loro volta contribuito a rendere l’immigrazione nostra in quello Stato più scelta e nello stesso tempo più permanente che non negli altri Stati dell’Unione. Comunque, questi nostri immigrati in California vi hanno conseguito realmente grandi vantaggi economici? Se essi vi possono realmente trovare allo stato attuale speciali favorevoli condizioni, non vi si potrà incanalare una forte immigrazione, sfollando taluni centri dell’Est ove si addensa così miserevolmente la nostra emigrazione agli Stati Uniti?

Si contano circa 100,000 italiani nello Stato di California; se ne incontrano per ogni dove e nelle città e nelle campagne. Centri italiani di una certa importanza si trovano a Santa Rosa, a Sacramento, a Stockton, Jakson, a Oakland, a San Josè, a Fresno, a Los Angeles e a San Francisco che è il centro maggiore, ove risiedono 40 mila nostri connazionali. A detta degli stessi Americani, essi hanno grandemente contribuito allo sviluppo agricolo e industriale del paese: alcune imprese, come la Italia Swiss Colony di Asti e la Italian Vinyard Co. di Cucamonga, fondate da volonterosi e intelligenti italiani, sono portate ad esempio dal Governo stesso della California.

Nei vigneti, nei frutteti, negli oliveti, nei fertilissimi poderi coltivati a grano, negli orti che circondano quasi ogni città della California, si notano italiani, o come semplici lavoratori o come proprietari dei terreni coltivati. Italiani sono numerosi pesatori che si spingono anche fino all’Alaska, quando il mare si sgela; italiani lavorano nelle miniere della Sierra Nevada e della Catena della Costa e nelle estese foreste. In San Francisco e, in genere nelle città, molti dei nostri si sono dati al traffico e al piccolo commercio: moltissimi invece sono spazzini, panettieri, barbieri e lustrascarpe.

Le condizioni economiche però di questi nostri emigrati in California non sono nella generalità dei casi quali si crede comunemente dovrebbero essere in un paese così giovane e così ricco. Sopratutto sono inferiori ai loro meriti.

Vediamo gli operai. Abbiamo sott’occhi uno specchietto dei salari più frequentemente corrisposti agli operai in California, dati che furono comunicati recentemente al R. Commissario dell’Emigrazione dall’autorità consolare locale. In esso leggiamo che i vari mestieri sono cosi ricompensati:

Operai addetti alle ferrovia |||
 da doll. 1,75 a doll. 2 al giorno
Operai addetti alle gallerie |||
 » 2,— » 2,50 »
Minatori |||
 » 2,50 » 3,— »
Operai per lavori di cemento |||
 » 2,25 » 2,50 »
Abili operai pei lavori di cem. |||
 » 3,— » 4,— »
Fabbri, maniscalchi |||
 » 2,75 » 3,50 »
Operai pei lavori in ferro |||
 » 2,— » 2,50 »
Scalpellini pei lavori in marmo |||
 » 3,50 » 4,50 »
Falegnami ed ebanisti |||
 » 3,— » 4,— »
Pittori e decoratori |||
 » 3,— » 5,— »

Due osservazioni però dobbiamo fare a proposito di questi dati: la prima si è che essi corrispondono al salario nominale e non al salario reale: dicono cioè la somma che l’operaio riceve, senza però assicurarci parimente della quantità di cose utili che egli può procurarsi con quella somma; e questa quantità è data, com’è evidente, al costo della vita che anche in California, come negli Stati dell’est, è considerevole.

E ancora — seconda nostra osservazione — i dati su riportati si riferiscono ai salari del lavoro qualificato (skilled labor) e non a quelli del lavoro non qualificato (unskilled labor), cui attendono nella maggioranza i nostri lavoratori. Abbiamo detto nella maggioranza perchè purtroppo, una ferrea barriera all’elevazione economica della maggioranza dei nostri operai negli Stati Uniti loro è frapposta dall’unionismo professionale tiranno, che obbliga i nostri emigrati a ingrossar le file dei lavoratori manuali, inferiori economicamente, negando il diritto al lavoro a quelli che non appartengono alle Unioni e che pur sono forniti di una pratica e di una coltura professionale. Non possono appartenere alle Unioni coloro che non sanno un po’ d’inglese; coloro che non hanno l’età fissa dagli statuti o l’abbiano oltrepassata; coloro che non aderiscano alle deliberazioni dei capi, deputati delle leghe; coloro che non paghino, oltre una buona tassa d’ammissione, la quota mensile che è assai elevata. Ognun vede come queste condizioni siano proibitive per la maggior parte dei nostri lavoratori immigrati. Ma c’è dell’altro. Per l’appunto in California, come se le [p. 230 modifica]condizioni su accennate per l’ammissione degli operai nelle Trades-Union non bastassero, accentuano speciali restrizioni in materia. Al signor Giulio Ricciardi, R. Viceconsole a S. Francisco, è personalmente accaduto di constatare che operai italiani regolarmente ascritti alle Unioni dell’Est degli Stati Uniti non sono stati ammessi nelle Unioni della California, quantunque si fossero completamente uniformati alle regole statutarie. La conseguenza dannosa di questo stato di cose si è che i non appartenenti all’Unione non possono esercitare il mestiere che pur esercitavano in patria e devon acconciarsi al lavoro che trovano. Oh i frutti amari della libertà americana!

A dimostrare che lo spirito dominante in talune classi di queste regioni non è favorevole all’emigrazione in genere e all’italiano in particolar modo, basti rammentare un’ordinanza abbastanza recente del Municipio di San Francisco, che vietava l’impiego nei lavori della città a coloro che non sono cittadini americani: tale ordinanza venne già applicata e in misura abbastanza rigorosa, perchè 300 operai italiani i quali lavoravano alle fognature furono subito licenziati, senza che il Regio Consolato abbia potuto far niente in loro favore. E ancora. Fu il deputato dello Stato di California, l’on. Hayes che, presentando un progetto dí legge ’sulla emigrazione, introdusse criterii nuovi di esclusione a danno dei nostri emigranti, progetto che sollevò una forte reazione non solamente nell’ambiente coloniale nostro, ma anche nella stessa opinione pubblica americana.

E’ ben vero che tutto questo movimento ostile alla nostra immigrazione operaia è avversato e in parte neutralizzato dall’opera di coloro che in un rapido incremento demografico vedono giustamente la prosperità avvenire di questi paesi e anche dall’epoca delle classi proprietarie e imprenditrici, che in una grande offerta di mano d’opera, abile e a buon mercato, hanno il solo mezzo per tener fronte alle potenti Leghe del lavoro; ma a noi proprio non conviene che la nostra immigrazione operaia sia l’oggetto di tali dispute tra questi formidabili contendenti, tanto più che i primi a scapitarne sarebbero poi sempre gli inermi operai nostri. L’opera di coloro che vogliono il popolamento si esplica per mezzo di comitati e agenzie innumerevoli: è nota a questo riguardo l’opera del California Promotion Commitee, formato da industriali, commercianti, proprietari di tutto lo Stato, che non ha trascurato nessun mezzo di réclame per invogliare all’immigrazione in California, dagli innumerevoli opuscoli che pubblica e distribuisce gratuitamente, fino ai grandi uffici succursali stabiliti negli Stati dell’Est. Dicono anzi — ma non ci fu dato il modo di controllare l’affermazione — che l’opera di questo comitato non si arresta ai confini’ degli Stati Uniti, ma esso cerchi di agire pure nei paesi di origine degli emigranti.

Noi dobbiamo lamentare che questa ed altre istituzioni che favoriscono l’immigrazione in California in modo cosi generico, non attuino poi praticamente nessuna opera di protezione e di assistenza sociale a favore degli emigranti, una volta che colà si sono stabiliti, ma li lascino in balia di sè, non fornendo loro neppure esatte ed attendibili notizie sui vani mercati di lavoro e non mettendoli in guardia contro i varii pericoli minaccianti i loro interessi.

Indubbiamente migliori delle condizioni degli operai nelle città sono quelle del settlers: si calcola che in California vi siano circa 10,000 coloni italiani che praticano l’agricoltura per loro conto e con ottimo successo. Anzi furono gli agricoltori quelli che in certo qual modo rinvennero nella California la terra promessa. E non solo vi trovarono terreni di una grande fertilità e in ottima posizione per lo smercio dei prodotti agricoli, un clima simile a quello dell’Italia, ma anche trovarono trapiantati colà i sistemi della moderna tecnica agricola che le industri popolazioni anglosassoni avevano sopratutto avuto a cura. I fattori della floridezza agricola della California, che avvantaggiarono i nostri coloni, furono specialmente due. Anzitutto la suddivisione delle grandi tenute (ranchos) in piccoli appezzamenti di terreno, poichè la piccola proprietà, mentre mette a parte dei benefici della terra un numero maggiore di agricoltori, permette una accurata coltivazione intensiva. E inoltre la costruzione di canali d’irrigazione. L’irrigazione — affermano gli americani del Nord — è la gran maestra della cooperazione agricola, perchè mentre gli agricoltori sono forzati ad associarsi per la distribuzione dell’acqua sui loro terreni, acquistano nel medesimo tempo la conoscenza della grandissima utilità di simili associazioni per la vendita dei prodotti, per le compere collettive di macchine e strumenti agricoli, di provvisioni e di derrate. E la cooperazione agricola è infatti diffusa in California anche tra i nostri settlers1

Ma se tali opportunità favorirono i nostri agricoltori nei primi tempi dello sviluppo della California agricola, sarebbe errato il credere che una forte immigrazione agricola avrebbe ora senz’altro fortuna. Anche qui i terreni redditizzi o perchè fertili, o perchè vicini ai mercati o alle vie di comunicazione, sono già stati accaparrati: occorrono capitali considerevoli per rendere le altre terre adatte a una prospera colonizzazione: le preparatory expenses, che consistono nell’aprire nuove strade, nel far prosciugamenti2, nella misurazione dei terreni, devono rendere colonizzabile la smisurata terra libera che ancora rimane. I capitali naturalmente non mancherebbero, ma sono restii ad affluire a questa colonizzazione della California, prima che un grande incremento della popolazione non li chiami con insistenza.

Per i capitalisti, ben inteso, il ragionamento non fa una grinza: per loro il popolamento ad ogni costo è sicura arra di ingenti profitti. Ma dobbiamo noi [p. 231 modifica]proporre ai nostri contadini, poveri per lo più, le incerte esperienze che loro sono certamente preparate nelle terre, sia pure di grande potenzialità di produzione, ma non ancora preparate a riceverli?

Vi sono poi, oltre i settlers, i salariati agricoli. Non è cattiva la loro condizione: leggiamo nella statistica su citata che i contadini in generale hanno da 25 a 30 dollari al mese con vitto; carrettieri di campagna, che hanno in custodia 6-8 cavalli, ricevono un salario che va da 35 a 40 dollari con vitto anch’essi, mentre i mungitori di latte hanno da 30 a 40 dollari al mese, ma senza vitto.

Dobbiamo però lamentare che questi agricoltori salariati siano un po’ troppo erranti sul territotio Californiese; forse nella speranza di trovar terre libere redditizie — il sogno di ogni lavoratore della terra — essi emigrano dall’un capo all’altro dello Stato, e in quelli limitrofi, incessantemente. Ma all’acquisto di queste terre libere redditizie ostano anzitutto le difficoltà su accennate, mentre poi un pezzo di terra di buona qualità già coltivato costa (ci riferiamo a dati del 1908) dai 50 ai 100 dollari per acre, cioè da 675 a 1350 lire italiane per ettaro, non molto di meno di quanto vale in media la terra in alcune parti d’Italia.

Sarebbe incompleto il nostro esame sulle condizioni degli emigrati in California, se non facessimo un breve cenno dei pescatori. È noto lo sviluppo enorme che ha preso l’industria della pesca (del salmone in special modo) presso le popolazioni costiere del Pacifico: il prodotto nel 1910 fu valutato a circa 3 milioni di dollari.

I pescatori italiani sono specialmente napoletani, siciliani e genovesi: posseggono battelli a vela e ricavano un’agiata esistenza dalla loro industria. Essi hanno conservato il tipo del pescatore italiano, nonostante la distanza dai porti da cui provengono e la lunga dimora in questi paesi. «Arditi e pacifici, affermava in proposito il Conte Gerolamo Naselli, già R. Console a S. Francisco, generosi e pazienti, essi vivono la stessa vita a cui erano abituati in Italia; di giorno il mare per gli uomini, le mura domestiche per le donne e alla sera la mensa apprestata dalle donne, riunisce l’intera famiglia».

A proposito dell’industria della pesca, alla quale si dedicano molti dei nostri, non possiamo passar sotto silenzio un’ardita iniziativa italiana: nel 1906, dopo il terribile terremoto che distrusse buona parte di S. Francisco, fu costituita in questa stessa città una grandiosa cooperativa, la Western Fish Co., per lo smercio del pesce, che sorse dalla fusione di molte Ditte private italiane, e che prospera ora meravigliosamente.

Volendo ora trarre qualche conclusione da quanto abbiamo esaminato, non ci par dubbio di dover affermare che non esistono attualmente in California speciali favorevoli condizioni che consiglino ad avviarvi una forte nostra emigrazione operaia e agricola. Anzi una considerevole emigrazione diretta a queste regioni andrebbe incontro a delusioni, tenuto anche conto dell’enorme distanza dall’Italia e dalla mancanza di linee di navigazione italiane dirette e di facilitazioni ferroviarie.

Gli operai nelle città non solo avrebbero da lottare, come abbiam veduto, contro lo spirito esclusivista della mano d’opera locale; ma anche non troverebbero nella legislazione sociale californiese tutto l’appoggio che sarebbe legittimo aspettarsi dalle leggi di uno Stato per altri lati tanto progredito: così in materia di invalidità e vecchiaia degli operai e in quella, così frequente, di infortuni sul lavoro.

Gli agricoltori poi a loro volta non vi troverebbero più le opportunità di dieci, venti anni or sono, perchè attualmente le terre subito adatte alla coltivazione sono poche: benchè il suolo sia fertilissimo, occorrono ingenti capitali per le spese di colonizzazione: e in California il capitale tende a seguire la mano d’opera, mentre è interesse della nostra emigrazione che la mano d’opera segua i capitali.

Queste le condizioni di vita che una numerosa immigrazione nostra incontrerebbe attualmente nella California: indubbiamente a coloro che vi si recassero con un discreto capitale, specialmente in seguito all’invito personale di chi è colà a giorno delle condizioni economiche continuamente mutevoli, le opportunità non mancherebbero. Secondo noi le stesse opportunità parimente non mancheranno anche agli altri emigrati, a quelli che non posseggono altro capitale che le braccia, quando si avvereranno grandi trasformazioni nella vita agricola e industriale del paese. Il canale di Panama, la cui apertura viene in questi giorni annunciata più imminente di quel che si credeva, contribuirà certamente a dare questa vitalità nuova alla California: sarà esso che metterà in valore le immense distese di territorio che ancora vi sono negli Stati della costa del Pacifico.

E allora anche per la nostra emigrazione si aprirà un nuovo orizzonte: il fatto solo che l’apertura del Canale del Panama renderà meno costoso il viaggio dall’Italia a questi Stati, e acconsentirà sicuramente le comunicazioni marittime dirette di essi Stati (e principalmente della California) coll’Italia, basterà a indicare la nuova meta. Fra alcuni anni dunque.

Eugenio Bonardelli.

PENSIERI


«I medici di casa.....

«I veri medici sono coloro che in casa non strepitano e non urlano, ma sono i miti e accorti custodi della pace, che sanno trattare colle persone irascibili, dare i rimedi opportuni negli accessi improvvisi di furore e anche dire parole di refrigerio quando la febbre delle anime ha raggiunto i trentanove gradi!

«Sia gloria a questi medici e a queste medichesse!».


«Il solo amore, degno del suo nome, è quello che sempre e dovunque eleva».


«Io devo gettarmi in un oceano di fatica, fuggir lontano dal mio io e spendere l’anima mia per gli altri!».


  1. Si veda il recente articolo sulla cooperazione in California nel Numero di Settembre dell’American Economie Review.
  2. Nonostante il vantato clima della California, esistono ancora grandi estensioni di terra nella grande vallata centrale, affette dalla malaria. (Si vede in proposito a pag. 87 della relazione sui servizi dell’emigrazione per l’anno 1909-1910).