Il buon cuore - Anno XI, n. 20 - 18 maggio 1912/Educazione ed Istruzione

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L’eroica difesa di Rodi contro Solimano

L’ultimo viaggio della “Gran Caracca„

Tempo già fu in cui un’isola solatia, ricca di rose e di mirto, navigante lungo le coste asiatiche sotto il cielo più azzurro del mare nostrum, vide salire verso il cielo un immane simulacro di Apollo, che più in alto di trentatre metri dalle umili cose della terra ringraziava il divo Sole della vittoria concessa ai Rodi su l’illustre Poliorcete....

E l’isola fu così chiara nei tempi in cui l’Ellade imperava che non si peritò di attribuirsi la maternità del cieco Omero. E tutta la sua vita, da molti secoli avanti Cristo sino all’undecimo secolo dopo Cristo, fu un grandioso poema di bellezza, di poesia e di forza, anche quando i conquistatori turchi le tolsero la libertà e la signoria dei mari. [p. 156 modifica]

L’origine dell’Ordine

«Narrano le cronache che verso la metà dell’undicesimo secolo alcuni mercanti di Amalfi, non avendo in Gerusalemme alcun albergo o alloggiamento proprio, come aver solevano in quasi tutte le città marittime, e desiderando pur procurare un asilo in quella città ai pellegrini d’Europa, essendo devoti e buoni cristiani, dove nulla avessero a temere dall’avversione dei greci scismatici, coi loro ricchi doni, s’introdussero nella corte del califfo Moustafar Billah, e distribuendoli fra le persone di corte ed i ministri, ottennero il permesso di fondare un ospizio in Gerusalemme nelle vicinanze del Santo Sepolcro pei cristiani latini. Nel 1048 il governatore assegnò loro un terreno e il permesso di fondare una chiesa e abitazioni per monaci e albergo per gente.

«In seguito crescendo sempre più il numero dei pellegrini un altro monastero, un ospedale con due cappelle, dedicate a S. Maria Maddalena e a S. Giovanni Battista vennero fondati.

«Così ebbe fondamento ed origine prima il sacro spedale di S. Giovanni Gerosolomitano».

Dal 1048 al 1308 i cavalieri Gerosolomitani non fecero che aumentare il prestigio e la importanza dell’ordine pio, finchè nella primavera del 1309, Fra Folco di Villaret succeduto a Fra Guglielmo dello stesso nome e ereditata da lui l’idea dell’impresa, partito da Cipro con una grande flotta e gran numero di cavalieri, si presentò davanti a Rodi, vi operò uno sbarco e si impadronì dell’isola.

«Dopo questa strepitosa conquista, tanto utile per la cristianità — continua la cronaca — e tanto gloriosa per l’ordine, di comune accordo di tutte le nazioni, i cavalieri di San Giovanni cambiarono il nome in quello di Rodi. Ma mentre attendevano essi a fortificarsi e stabilir resistenza nell’isola per godersi un tranquillo riposo, Ottomano, re dei Turchi, con numeroso esercito andò ad attaccarli nel 1310.

Fert....

«Ma lo straordinario valore dei cavalieri fiaccò l’orgoglio ottomano, che venne per la prima volta sconfitto».

Le vicende di quest’assedio si riallacciano alle vicende della Casa Savoia. È noto che fu proprio in questo memorabile assedio, il primo sostenuto dai cavalieri di Rodi contro quelli che dovevano divenire i loro secolari nemici, che si distinse il valoroso e generoso principe Amedeo V, conte di Savoia, il quale, muovendo in aiuto dei cavalieri di Rodi con buon nerbo di armati, fu uno dei salvatori dell’isola tanto da prendere il motto Fert (Fortitudo eius Rhodum tenui!)1 e da cambiare sulle sue armi l’aquila tedesca con la croce bianca in campo rosso, antica e trionfante insegna della sacra Religione.

Da allora Rodi divenne il baluardo della cristianità contro l’orgoglio ottomano e per duecentoventi anni fu la rocca contro la quale si smussarono le armi dei sultani turchi, mentre l’ordine, crescendo di potenza e aumentando in splendore, diveniva sovrano e potente quanto le repubbliche italiane e nel sacro mare Mediterraneo teneva lontane le galee dei predoni barbareschi.

La “Gran Caracca„

L’isola delle Rose, navigando nell’estremo mar Mediterraneo, sotto il più puro cielo latino, pur resistendo strenuamente a tutte le incursioni barbaresche, doveva un giorno ricader preda dei turchi.

Ma la caduta di Rodi fu una nuova pagina gloriosa aggiunta alle tante scritte col sangue dei prodi e pii cavalieri di San Giovanni. Non sarà vano rievocare questa pagina ora che le armi d’Italia, riportando in quei mari, in quell’isola e su quei bastioni la croce dei cavalieri di Rodi e di Amedeo V di Savoia sembrano, voler far rivivere l’antica virtù dei paladini di Cristo!

Verso il 1500 le navi dell’ordine di Rodi incrociavano diuturnamente nelle acque dell’Egeo alla ricerca della più grande nave turca, che gettava la desolazione nei commerci e nelle terre della cristianità.

Ma questa nave possente e ben guidata riuscì sempre ad eludere le ricerche ed a sfuggire alla caccia spietata che le facevano le galee dell’ordine di Rodi.

Vi fu tempo in cui essa appariva in tutti i mari, cannoneggiava, demoliva città e castelli e scompariva carica di bottino e di schiavi, lasciandosi dietro la desolazione e una larga eco di pianto e di sangue.

Catturare il grande vascello divenne una necessità e nel 1507, finalmente, essendo gran maestro dell’isola E. d’Amboise, alcune galee dell’ordine si incontrarono con la nave che i turchi chiamavano la Regina del mare. Dopo una strenua difesa il vascello fu catturato e trasportato a rimorchio nel grande porto di Rodi, con la bandiera turca abbassata e il vessillo dell’ordine sventolando su tutti gli alberi. Grande fu la gioia a Rodi.

La Gran Caracca o Regina del mare, destinata in origine al commercio delle Indie, era un vero castello galleggiante e si componeva di un grande scafo capace di sopportare oltre la ciurma mille soldati. Vi erano sei piani o ponti dai quali i saraceni avevan coperto di strage i mari con la bocca di cento cannoni.

Al momento della cattura la nave ritornava forse da qualche saccheggio poichè fu trovata carica di denaro e di pietre preziose.

Da quel giorno la Gran Caracca divenne la nave ammiraglia dell’armata di Rodi e su di essa prese imbarco il Gran Maestro ogni volta che dovette recarsi nel Continente per affari del suo alto ministerio. In tempo di assedio, ormeggiata nel gran porto, coi suoi sei ponti e i suoi cento cannoni fu un baluardo di più a difesa della città di Rodi.

Solimano contro Rodi

Nel 1521 Solimano II il Magnifico, succeduto al battagliero Achmet, un anno dopo che Carlo V veniva incoronato imperatore ad Aix la Chapelle, repressa la ribellione di Egitto e di Siria e impadronitosi di Belgrado, deliberò di assediare Rodi e riconquistare l’isola [p. 157 modifica]contro la quale tanti sforzi dei suoi antenati erano stati vani.

Era Gran Maestro di quel tempo Villiers de l’Isle Adam, succeduto al Gran Priore Fabrizio Del Carretto, piemontese.

Villiers de l’Isle Adam, Gran Priore di Francia, si era già distinto in una spedizione contro gli Egiziani ed aveva fama di prode cavaliere. Recatosi nell’isola per assumerne la carica si adoperò subito a rinforzarne le difese e ad aumentarle.

Frattanto il cavaliere Andrea d’Amoral, Gran Priore di Castiglia, che aveva ambita la dignità toccata a Villiers de l’Isle, vedendo delusa la sua speranza, come dice il commendatore Giacomo di Bourbon, nella sua preziosa storia dell’ordine di Malta, risolse di vendicarsi di tutto l’Ordine. Egli inviò a Solimano un piano di Rodi, nel quale erano indicati i punti più deboli delle fortificazioni, quelle non ancora finite di costruire e vi unì un ragguaglio degli uomini e delle navi onde poteva disporre il Gran Maestro.

Nessun dono poteva riuscire più gradito a Solimano di quello inviatogli da questo traditore, perchè l’isola di Rodi era il centro dal quale i cavalieri combattevano da ben 212 anni e ove potevansi unire gli eserciti cristiani per conquistare l’Asia e la Palestina.

Risolutosi di distruggere l’Ordine, Solimano scrisse al Gran Maestro una lettera nella quale gli ordinava di consegnargli l’isola di Rodi e di rendersi a discrezione con tutti i suoi cavalieri. Il sultano minacciava altrimenti di pigliare l’isola e di far passare tutti gli abitanti a fil di spada. Villiers de l’Isle Adam gli rispose con moderazione, ma senza paura e si preparò a sostenere l’urto dell’immenso esercito turco. Innanzi tutto inviò i più influenti cavalieri ad implorare il soccorso dei sovrani cristiani d’Europa; ma Carlo V era troppo occupato a abbassare il potere della Francia per curarsi di un’isola dell’Egeo.

Visto che doveva contare soltanto su se stesso, Villiers de l’Isle Adam provvide senza indugio alla difesa dell’isola cristiana.

Le fortificazioni nell’isola

E da quel giorno nell’isola dei cavalieri cominciò una vita energica e febbrile. Tutti quanti erano atti a lavorare, furono impiegati ad approfondire i fossi, che cingevano le fortificazioni, mentre i muratori riattavano le vecchie fortificazioni e altre nuove ne innalzavano a protezione delle più deboli. Mura e bastioni sorsero come per incanto intorno alla città: mentre un bando richiamava in città tutti quelli che vivevano ne’ campi facendo loro ordine di falciare le messi, abbattere gli alberi fruttiferi, rendere brullo e inospitale tutto ciò che era verde e ridente.

Frattanto altri uomini battevano i dintorni della città radendo al suolo le case e le ville e trasportando in città i materiali di risulto, affinché gl’invasori non avessero potuto profittarne per elevare contrafforti dai quali battere i difensori di Rodi.

Si occupò in seguito il provvido Gran Maestro di provvedere di armi e di viveri tutta la popolazione, e all’uopo delle galee salparono le ancore drizzando le prue verso i porti delle Due Sicilie, donde ritornarono cariche di grano; altre navi correndo lungo le isole dell’arcipelago raccolsero vino; mentre dall’isola di Candia giungevano cinquecento valorosi soldati di fanteria, e un abilissimo ingegnere bresciano, già ai servizi della Repubblica di Venezia, Gabriele Martinengo, esperto in opere di difesa, che appena giunto di Candia, assunse la direzione dei lavori intrapresi per difendere l’isola.

L’organizzazione della difesa

A chi entrava dal porto Rodi appariva come un vasto anfiteatro di case e di forti digradante dai colli al mare. Le sue mura e le sue torri racchiudevano due porti, il più grande dei quali era difeso al nord dalla Torre di S. Nicola e a mezzodì dal Castello di Sant’Angelo e poteva essere chiuso alla navigazione mercè due grosse catene.

Sopra uno dei moli del porto piccolo poi il forte di Sant’Elmo e ai piedi di esso v’era saldata una grossa solida catena, la quale poteva ogni sera essere agganciata all’altra estremità dell’opposto molo.

Lungo il porto piccolo vi era l’arsenale e tra un porto l’altro correva un solido bastione difeso da una torre massiccia, dagli spalti della quale tre cannoni spalancavano le loro bocche minacciose.

Dalla parte di terra invece la città era difesa da una triplice muraglia, lungo la quale si rincorrevano tredici torri irte di cannoni. Questa speciale architettura della difesa della piazza, facevano apparire Rodi, dalla parte di terra come un mucchio di terrapieni e di muraglie, intersecate da profondi fossi, oltre i quali delle batterie si sovrapponevano nascondendosi, minacciando occultamente la strage da innumerevoli bocche da fuoco.

Completate le opere di difesa della piazza, Villiers de l’Isle Adam ricevette una nuova insolentissima lettera dal Sultano così che non ebbe più dubbi che l’assedio stesse per cominciare.

Passata in rassegna tutta la guarnigione e fatto obbligo di penitenza, dopo le preghiere d’uso prima della battaglia, il Gran Maestro affidò la difesa del bastione di Alvergna al cavaliere Du Mesnil, quello di Spagna al cavaliere Francisco Corrierès, quello d’Inghilterra cav. Nicola Huzy, quello di Provenza a Béranger de Lioncel e quello d’Italia ad Andelotto Gentile.

La torre di San Nicola fu affidata a Guyot Castelane della lingua di Provenza.

Il Gran Maestro, dopo aver confidato lo stendardo della Religione a Fra Antonio de Grolee del Delfinato il proprio a Fra Enrico Mauselle della sua casa, si riservò la difesa del quartiere di Santa Maria della Vittoria che era il punto più debole della città.

L’arrivo dell’armata turca

Alba del 26 giugno 1522 una galea ritornando in porto a vele spiegate avvertì che la flotta turca muoveva all’assalto della città. Di lì a qualche ora infatti ben 400 navi di varia grandezza comparvero sull’orizzonte.

[p. 158 modifica]I porti furono sbarrati e le mura si gremirono di difensori.

Le galee turche, scelto un punto della costa sufficientemente lontano dal tiro delle batterie dei cristiani, iniziarono lo sbarco, che durò tredici giorni, riversando sull’isola 140,000 combattenti, 60 mila uomini da adibirsi pei lavori di assedio, artiglieria e munizioni senza fine e macchine poderosissime per combattere i cannoni dei bastioni.

Compiuto lo sbarco le truppe di Solimano investirono la città. Obbiettivo principale del primo tempo dell’assedio fu di stabilire una o più batterie davanti a quelle degli assediati; ma questi saettandoli coi loro tiri precisi, resero vani tutti gli sforzi, producendo nelle file turche delle perdite così enormi che i soldati di Solimano ebbero l’impressione di essere stati mandati al macello. E ad aumentare la loro sfiducia concorsero la desolazione della campagna, le imboscate tese loro nell’interno e le sortite sanguinose dei cavalieri.

Il comandante supremo dell’esercito invasore, Peri Pascià, ne fu tanto spaventato che scrisse a Solimano essere necessaria la sua presenza per infondere coraggio all’esercito demoralizzato.

Il 28 luglio 1522 difatti il sultano Solimano seguito da 15 mila uomini di truppa scelta sbarcò a Rodi.

Furioso di vedere duecento mila uomini fermi davanti la rocca dei cavalieri di Rodi, Solimano minacciò di morte le sue truppe se non avessero riconquistata sulle mura di Rodi la gloria militare perduta.

Solimano a Rodi

Dall’arrivo di Solimano l’assedio fu intensificato e giorno e notte le batterie turche continuarono a vomitar fuoco contro i bastioni; mentre dall’alto di questi si rispondeva con eguale fervore.

Dirigendo la manovra lo stesso Solimano, i turchi riuscirono ad elevare un terrapieno davanti il bastione d’Italia.

Gli assedianti decisero allora di dare un assalto generale. Il pascià Mustafà ebbe l’ordine di attaccare il bastione d’Inghilterra; mentre Peri Pascià avrebbe attaccato quello d’Italia, Achmet Pascià quello di Alvergna e Spagna, il governatore dell’Anatolia quello di Provenza e Bergher-Bey della Rumenia la fortezza di San Nicola.

I turchi si slanciarono con estrema violenza; ma il primo assalto contro i bastioni della Lingua di Germania fu respinto dai Cavalieri, che ottimi tiratori fulminarono e decimarono gli aggressori con le loro grosse artiglierie.

Begher Bey fu più fortunato dal suo canto e riuscì a far crollare uno dei muri della fortezza di S. Nicola. Ma la caduta di questo muro svelò un nuovo bastione che il Gran Maestro aveva fatto costruire e che coi suoi cannoni gettò la strage su quelli che si erano precipitati sulla breccia.

Per un mese intero l’artiglieria turca non tralasciò di tuonare giorno e notte contro le mura di Rodi, che resistette meravigliosamente. Tuttavia il primo forte ad esser danneggiato fu quello d’Italia; e quello d’Inghilterra, quantunque difeso dall’eroico Villiers de Isle Adam, fu minato, crollò, fu perduto e ripreso dai cavalieri in una mischia feroce che fece moltissime vittime.

Tutti i comandanti turchi fecero del loro meglio per espugnare i bastioni che avevano avanti; ma non vi riuscirono. Fu allora che i giannizzeri cominciarono a mormorare e a manifestare la loro stanchezza.

Il 17 settembre allora, essendo riusciti nella notte a minare i forti, i turchi dettero un assalto generale, ma quantunque per le esplosioni rimanessero danneggiati i bastioni di Alvergna, Spagna ed Inghilterra e i turchi si precipitassero come pazzi sulle brecce, i cavalieri riuscirono a respingerli ancora una volta uccidendo ben tremila turchi.

Sette giorni dopo, Solimano essendo sicuro che la piazza per la mortalità e i danni alle fortificazioni non avrebbe potuto resistere oltre, dette all’improvviso un assalto generale.

Ma fu ricevuto da un inferno di piombo e dovette ripiegare con perdite così enormi che per sfogare la sua rabbia fece uccidere a frecciate il suo generale Mustafà Pascià, accusandolo di vigliaccheria.

Il tradimento di d’Amarel

Stanco di non poter vincere questa ostinata resistenza, ed essendo l’esercito ridotto dalle uccisioni e dalle malattie, Solimano stava per togliere il campo e imbarcarsi sui suoi vascelli, quando ricevette una lettera dal cavaliere d’Amarel nella quale il traditore gli descriveva l’immensa desolazione della piazza e l’esiguo numero di difensori validi che in essa erano rimasti.

Solimano allora revocò l’ordine di partenza e per mostrare alle truppe e agli assediati che era deciso di passare l’inverno a Rodi, cominciò a farsi edificare un palazzo sul colle Filemo. D’Amarel intanto dall’interno della piazza continuava ad informare il sultano. Ma il suo tradimento non gli giovò molto, poichè scoperto mentre mandava un messaggio attaccato ad una freccia, fu accusato di tradimento e fellonia e giustiziato previa degradazione e svestizione degli abiti dell’ordine.

Le notizie dell’eroico assedio di Rodi fecero intanto il giro dell’Europa senza per questo commuovere i potenti re cristiani.

Francia, Spagna e Inghilterra inviarono delle galee cariche di viveri e munizioni; ma queste non giunsero mai nel porto di Rodi, che era ridotto agli estremi. Già i turchi si erano impadroniti dei bastioni d’Italia ed Inghilterra, così che il Gran Maestro, per impedire l’entrata in città al nemico, era stato costretto a demolire due chiese e coi materiali di queste innalzare nuovi bastioni dietro quelli perduti.

Caduta di Rodi

Dopo sei mesi di lotta a Rodi, nella speranza di veder comparire un’armata cristiana, si lottava come nel primo giorno dell’assedio. Ma ogni speranza fu frustrata dalla realtà crudele e inesorabile. Venne il giorno in cui le munizioni finirono e i difensori divennero un drappello. L’arcivescovo di Rodi consigliò allora la resa, mentre i cittadini si recavano in processione dal [p. 159 modifica] Gran Maestro scongiurandolo di salvare le donne e i bambini dall’estrema ruina. Solimano intanto impensierito dalla pace che permaneva nell’arcipelago, temendo da un momento all’altro l’arrivo di una potente armata cristiana, che forse era già sull’orizzonte, intimava di nuovo la resa promettendo buone condizioni. Il messo avvertiva che tardandosi nella resa tutti sarebbero stati passati a fil di spada.

Villiers de l’Isle Adam riunì un Consiglio e un gran Consiglio, e tutti furono concordi nel ritenere che era impossibile resistere ancora. Egli tuttavia chiese tre giorni per riflettere su le condizioni della resa.

Ma Solimano sempre più impensierito da questa richiesta rinnovò le ostilità deciso a finirla, non potendo immaginare che la cristianità abbandonasse un ordine che l’aveva difesa per cinque secoli.

Ultimo viaggio della «Gran Caracca»

La capitolazione venne dunque decisa a queste condizioni: i) rispetto delle Chiese cristiane; 2) i figli dei rodesi non sarebbero stati aggregati ai giannizzeri; 3) si lasciava libertà di religione ai cristiani; 4) il popolo sarebbe stato esentato da tasse per lo spazio di cinque anni; 5) a tutti fosse permesso di abbandonare l’isola; 6) se le navi dell’Ordine non fossero state bastanti a trasportare almeno sino a Candia guarnigione e cittadini, le galee di Solimano si sarebbero occupate della bisogna; 7) dodici giorni venivano concessi ai cittadini per raccogliere i loro averi; 8) l’Ordine era libero di portare via le reliquie dei Santi, i vasi sacri della Chiesa di S. Giovanni, i mobili e gli attrezzi delle navi; 9) la castella e le isole sarebbero state consegnate dai cavalieri agli ufficiali turchi mentre l’esercito del Sultano si sarebbe allontanato; 10) il capo dei giannizzeri avrebbe preso possesso della piazza di Rodi.

Stabilito tutto ciò e cambiati gli ostaggi, si iniziarono i lavori per lasciare l’isola. Durante la tregua Solimano volle conoscere Villiers de l’Isle Adam e gli fu largo di gentilezze e di premure. Il 1° gennaio 1523 intanto il Gran Maestro e tutti i cavalieri superstiti si imbarcavano su la Gran Caracca, che, salutata dalle salve e con i vessilli al vento, lasciava il porto di Rodi, diretta a Candia, seguita dalla flotta, recante a bordo 5 mila rodesi, per compiere l’ultimo viaggio dalla sede dell’Ordine dei Cavalieri di San Giovanni, verso una nuova sede da ottenere dalla munificenza dell’imperatore della cristianità.

E’ fama che nel punto in cui la Gran Caracca abbandonava il porto di Rodi, Solimano abbia espresso all’eroico Villiers de l’Isle Adam il suo profondo stupore per l’abbandono in cui l’avevano lasciato i re cristiani. «Messere, egli disse, meritavate altra fortuna! Ma voi avete tutta la mia ammirazione e se volete potete ancora rimanere nell’isola!». Ma Villiers, che conosceva la fede turca, non volle profittare oltre della benevolenza di Solimano il Magnifico!

E l’ultimo viaggio della Gran Caracca non fu nemmeno felice perchè fu accompagnato dalla tempesta! Ma se l’Ordine abbandonò Rodi, non per questo la isola si spogliò dei suoi ricordi e anche oggi, mentre i nostri soldati e i nostri marinai percorrono vittoriosi le vie della capitale dell’isola riconquistata, possono, pieni di ammirazione e di stupore, vedere sui palazzi degli stemmi che essi hanno già visto a Napoli, a Roma, a Genova e a Venezia!

A. Giacomantonio.

Proposte di pace d’un cannoniere


Giulio De Franzi, reduce dall’Egeo sul Duca degli Abruzzi coi prigionieri turchi, narra il seguente gustoso episodio, che dà un’idea dello spirito dei nostri soldati:

«A un dato momento, qualcuno dei captivi vuol sapere da un cannoniere quando avremo freni; e il cannoniere, napoletano schietto, dichiara sdegnosamente di non conoscere chista mala femmena; allora io spiego, in grazia delle solite vaghe reminiscenze liceali, che ireni vorrebbe significare la pace.

Ne’, vulite sapè overamente quanno facimmo ’a pace cu’ vuie?.... — esclama il cannoniere, in mezzo a un capannello intento di prigionieri. — Stateve attiente, mo’ v"o faccio capac’i....

E incomincia, col gesto di chi afferra qualche cosa altrui e se l’appropria:

Tripoli, a nuie... Va buono?

I prigionieri assentono rassegnati.

Bengasi, a nuie.... Va buono?

E gli altri chinano il capo senza protestare. L’enumerazione prosegue lentamente, con la stessa formula:

Derna, a nuie... Homs, a nuie Tobruk, a nuie... Bu-Charnez, a nuie....

Il cannoniere, per aumentare il prezzo morale della pace, comprende nella lista anche Ain-Zara, Tagiura, Gargaresch.... Poi in tono più imperioso, principia un’altra serie.

Stampalia, a nuie....

Mormorio di sorpresa, assentimento un po’ languido.

Rodi a nuie.... Un attimo di silenzio e di imbarazzo. Il cannoniere ripete, con voce alta di minaccia:

Rodi, a nuie.... Ci ’a vulite dà?

I prigionieri intimoriti si affrettano a cedere anche Rodi. Allora il cannoniere, incrociando le braccia e fissandoli a uno a uno negli occhi, spiccica le sillabe:

Custantinopule, a nuie....

Un moto di sgomento corre nella folla degli uditori.... Questi italiani sono diventati davvero incontentabili!.... Taluno dei turchi fa per opporre qualche obiezione, conseguendo il solo risultato di fare arrabbiare il cannoniere.

Ne’, che ve credite che ’u Duca dell’Abruzze nun ’nce sape trasì a Custantinopule?.... Managgia all’anema ’e Maomette!...

E lì una discreta serqua di insolenze prette di S. Lucia. Sopraggiunge un ufficiale, e il cannoniere è consegnato. Ma se le trattative fossero potute continuare indisturbate, l’energico negoziatore della pace avrebbe ottenuto dai soldati dell’Islam anche la cessione di Stambul all’Italia.

  1. Il Giornale d’Italia di Roma, commentando l’origine di questo motto fatidico, ne fa una moderna applicazione: Fortitudo Emanuelis Rodum Teneat.