Il buon cuore - Anno XI, n. 08 - 24 febbraio 1912/Educazione ed Istruzione

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Il buon cuore - Anno XI, n. 08 - 24 febbraio 1912 Religione
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L’opera di Assistenza degli operai italiani emigrati

Un discorso di Mons. BONOMELLI ed una conferenza di Mons. MONTI in Sant’Alessandro.


Atteso dalla Milano benefica, rappresentata ufficialmente dall’aristocrazia femminile, è giunto tra noi l’illustre vescovo mons. Bonomelli, il protettore degli emigrati italiani.

Monsignor Geremia Bonomelli. La sua venuta assumeva una eccezionale importanza, perchè tendeva a suscitare interessamento ad una istituzione che ha già incontrato generali simpatie.


Un colloquio con mon. Bonomelli.

Abbiamo potuto interrogare il venerando Presule, che porta giovanilmente i suoi ottant’anni e si presenta con quella caratteristica bonomia che è l’espressione delle anime intelligenti, sincere e generose.

― Sempre pronto, monsignore ― domandiamo noi ― per i suoi emigranti?

― Sì, sempre, finchè avrò vita, perchè i centri della nostra emigrazione sono come grandi focolari accesi dovunque dalla patria nostra, e si tratta di focolari che, curati amorevolmente, possono produrre immensi beneficî, mentre trascurati potrebbero cagionare mali insanabili.

― Dunque ― insistevamo noi per conoscere l’intimo pensiero dell’esimio Prelato ― V. E. ritiene indispensabile e doverosa una costante vigilanza protezionista della emigrazione specialmente temporanea?

― Certamente! L’emigrazione temporanea è quella che porta all’estero i pregi e i difetti degli italiani per ritornare poi in patria colle lezioni d’oltr’Alpe; è quell’elemento fluttuante che, per forza d’eventi e di circostanze, lascia il paese nativo per ritornarvi: è quindi un elemento sempre nostro, che ci può far onore o disonore e richiede le cure delle classi dirigenti. Guai se si abbandonasse a sè stesso!

― E sembra a V. E. che questa verità sia ora generalmente compresa?

― Molto più che nel passato. L’Italia, nazione ancor giovine, non è stata la prima a riconoscere la gravità del problema, ma poi non poteva abbandonare migliaia e migliaia de’ suoi figli a sè stessi e se ne è interessata, seguendo gli esempi delle nazioni sorelle; sicchè ora vediamo le autorità, i privati, la stampa onesta e tutte le persone d’ingegno e di cuore, portare il proprio contributo all’Opera di Assistenza degli emigranti, che tende ad alti obbiettivi intessuti di nobili amori, l’amore alla religione frenatrice delle passioni, l’amore alla patria, l’amore all’umanità sofferente, l’amore alla famiglia.

― E il sunto della sua conferenza d’oggi?

― Dio buono! È un argomento da me già messo [p. 58 modifica] a lesso, ad arrosto, in umido, ecc., ecc., nei tanti luoghi dove tenni conferenze sotto aspetti si vari! Che dirò ai milanesi, non mai secondi anche nel soccorrere i nostri emigranti? Comincerò coll’esporre alla buona come nacque l’Opera di Assistenza: la pura e semplice verità. Poi se avrò forza e lena, dirò qualcosa a modo di esortazione.... La vera conferenza non la farò io.... Ho con me il mio violino di spalla, il prof. monsignor Angelo Monti, che mi fu compagno in vari viaggi tra gli emigrati, e vi assicuro che udrete un lavoro degno di Milano e dell’occasione, perchè Monti sa fare dieci volte più di me.

— Modestia vostra, Eccellenza!

— No, no, è così. Mons. Monti è uno studioso ed ha scritto importanti lavori di storia attraverso a profonde osservazioni, considerando il problema dell’emigrazione come uno dei più ardui della vita sociale in tutti i suoi aspetti.... Ma l’ora stringe!


In Sant’Alessandro.

C’innoltriamo nella severa basilica di S. Alessandro che presenta un aspetto insolito. Centinaia di invitati, specialmente signore, accedono dall’entrata di via Zebedia, mentre il popolo accede liberamente dalle porte prospicienti la piazza.

Prendiamo a stento il nostro posto tra una folla signorile, e ammiriamo il vasto, artistico tempio rigurgitante fino alle porte.


Il discorso di Monsignor Bonomelli

L’origine dell’Opera di Assistenza.

Alle ore 16 si presenta sul pulpito Mons. Bonomelli, e la sua apparizione è accolta con un sommesso mormorio di ammirazione.

Egli prende subito la parola e qualifica «imprudenza» l’aver accettato con ottant’anni, in questa stagione, il peso d’un viaggio e di una conferenza. Ma, soggiunge, la conferenza l’ho affidata a un giovane e valente mio collaboratore: io sono qui solo per una breve conversazione famigliare sull’origine dell’Opera.

Ricordo! Una domenica, un pomeriggio di luglio a Cremona. Il domestico mi annuncia la visita di un contadino che dal Brasile era sbarcato a Genova ed era a me venuto direttamente per una missione affidatagli da confratelli italiani assai sventurati nella loro emigrazione. Egli mi si presenta francamente, ma con espressione supplichevole, e chinando la sua testa brizzolata, mi dice: — Vengo a nome de’ miei compagni a chiedere a V. E. un sacerdote, un missionario che venga là dove siamo noi a confortare le nostre famiglie senza alcun conforto, senza assistenza di nessun genere. Io ho promesso di ritornare colà con un nostro sacerdote; ci siamo tutti tassati e siamo pronti a pagare, se occorre; ma se V. E. non potesse assecondare la mia domanda, io al Brasile non tornerei più. — Che fare?... — chiede mons. Bonomelli. — La Provvidenza mi presentava in quei giorni un sacerdote coi requisiti voluti per iniziare una missione in pro degli emigranti, e che accettava il sacrificio e partiva poco dopo alla volta del Brasile con quel contadino, orgoglioso, felice di poter portare colà tra gli italiani un prete italiano. E quanto bene fece quel prete! Mi capitò poi una contadina che mi parlava di luoghi pieni di serpenti, di inenarrabili melanconie, di profonda nostalgia, di desiderio penoso d’un’eco della patria lontana, delle campane della chiesetta; mi parlava della confusione delle stagioni e di un giorno in cui suo marito, fermandosi ad un tratto pensoso dinanzi all’aratro sulla dura zolla, esclamava: «Ma oggi al nostro paese è Natale!» E quegli sventurati si ritiravano nella capanna e pensavano a rimpatriare.

Ebbi poi dalla Svizzera notizie strazianti. Nulla si era ancor fatto allora per i nostri emigranti, e persone autorevoli mi dicevano: «Se vedesse lo stato degli emigrati italiani! Sono là abbandonati, ludibrio delle genti!»

Monsignore accenna poi all’inizio dell’Opera e ai suggerimenti e agli appoggi di Augusto Conti e di Fedele Lampertico, che sempre ricorda con riconoscenza. Si trovò quasi senza saperlo alla testa d’un’opera nuova, sorella di quella per i Missionari italiani, e subito venne attivato un programma largo, sereno, senza restrizioni, ispirato solo a fratellanza, a carità. Ai consolati, disse, s’incontrarono tosto vive simpatie, perchè vi ha dovunque un terreno sul quale tutti si può essere d’accordo.

L’oratore fece poi una breve ma efficace descrizione delle miserie constatate durante le sue visite nei centri principali d’emigrazione, e commosse parlando d’incontri strazianti, di ricordi, di memorie rievocate con effusione di lacrime.

«Rispetto i miei ottant’anni — concluse Monsignore e cedo la parola al mio compagno, che con me ha veduto quadri impressionanti della nostra emigrazione».


La conferenza di Monsignor Monti.

Monsignor Monti così esordisce:

Quando Monsignor Bonomelli mi chiamò e mi disse: Voi verrete con me a Milano e vi farete una conferenza sull’emigrazione in vece mia — io divenni — dirò con Dante — gelato e fioco, pensando all’ingrata sorpresa, che avrei cagionato nel mio uditorio. Ma dovetti cedere ed eccomi qua. Nessuno — del resto — è colpevole di questa inattesa sostituzione. Monsignore è protetto dalla sua età e dalla lunga opera già data alla causa del bene; io sono difeso dalla mia obbedienza. D’altra parte siamo qui tutti per un’opera di carità; e la carità, come dice S. Paolo, è paziente e benigna. E questo io dico, o Signori, perchè mi sia perdonato l’ardire e conceduta la vostra benevolenza.

L’oratore fa quindi una rapida storia dell’Opera:

Il 19 maggio 1900 un’eletta schiera di signori e signore s’accoglieva, come a una festa, nel palazzo dei marchesi Stanga in Cremona. Il palazzo, che certo aveva aperte chi sa quante volte le sue sale a usi aristocratici, s’apriva questa volta a convegni devoti alla beneficenza. Il geniale cavaliere dello spirito, Antonio Fogazzaro prese la parola. Disse che l’inverno innanzi, a Venezia, s’era tenuta una numerosa assemblea per [p. 59 modifica] soccorrere i missionari cattolici italiani e che là appunto s’era proposto di fondare un’opera nuova di carità religiosa e patria e che Monsignor Bonomelli ne fosse acclamato capo. Così, sotto gli auspici dell’Associazione nazionale per soccorrere i missionari cattolici italiani, fu istituita l’Opera di Assistenza degli operai italiani emigrati nell’Europa e nel Levante. Salutiamo con gioia l’apparire di questa verga gentile creata dal soffio di quello spirito

che fa nascere i fiori e i frutti santi.

Ma è una debole verghetta, o Signori. Troverà essa buon terreno? Ardua impresa era quella a cui ponevasi mano; ma le opere della carità difficilmente falliscono; e l’Opera di Assistenza, vinte le prime diffiColta, si diffuse rapidamente nella Svizzera, in Francia, in Germania, nel Lussemburgo, in Austria; creò segretariati, ospizi, infermerie, scuole, società di mutuo soccorso, casse di risparmio, ecc.; trovò simpatia e aiuto nel fior fiore della cittadinanza italiana e nei poteri pubblici, ed ebbe anche all’estero, protettori e amici nei governi e nelle istituzioni, nei personaggi del laicato e del clero.

Noi non dobbiamo disconoscere in questo rapido diffondersi e ingrandire dell’Opera di Assistenza la mano di un’altra Provvidenza governatrice. Riconosciamo però che molto si deve anche ad altre ragioni, cioè al pregio intimo inestimabile dell’Opera stessa. Innanzi tutto l’assenza di ogni intento politico. La politica divide gli animi e guasta le più belle e generose imprese. Qui nulla. L’Opera di Assistenza è il buon Samaritano, che porge il suo soccorso all’uomo morente sulla via di Gerico, senza chiedergli se egli sia pubblicano o fariseo, se parteggi per Samaria o per Gerusalemme. Aggiungiamo l’opportunità dell’Opera. Il fenomeno tutto moderno dell’emigrazione temporanea, sempre crescente, fenomeno che non si può, nè si deve impedire, crea dei pericoli e dei bisogni negli emigranti, e dei doveri speciali nella nazione, che è loro madre. Perciò l’Opera di Assistenza si sovrappone a un bisogno grande dei tempi, e particolarmente grande per l’Italia.

Da ultimo osserviamo che l’Opera di Assistenza è bella di tutta la perfezione, che suol brillare nell’opere della carità cristiana. È debito di giustizia riconoscere che un soffio generoso e fecondo d’opere benefiche agita l’età nostra; ma vuolsi notare che esso tende quasi esclusivamente alla pratica della carità corporale; colpa principalmente le dottrine positiviste e il socialismo materialista. Anche la carità corporale è certamente un gran bene; e Cristo l’ha benedetta e insegnata al mondo. Ma essa non è tutto, perchè il corpo non è tutto l’uomo. Vuolsi curare anche lo spirito e salvarlo dal vario contagio che la lontananza dalla famiglia, la libertà senza limiti, la malvagia compagnia, l’opera delle sette può inoculare nell’emigrato. Infatti avviene spesso che egli parta buono e torni deformato dal vizio e dalle più detestabili tendenze. L’Opera di Assistenza provvede anche a questo: e mentre si adopra di tutta forza al bene materiale degli emigrati, non lascia loro mancare la parola dello spirito, e li circonda di tali cure affettuose e sapienti, da renderli quasi impermeabili al contagio della depravazione.

Voi lo sapete, o Signori, nè io ridirò quello che fu già detto più volte da voce ben più solenne, ben più autorevole della mia. Mi si conceda invece di por fine al mio breve discorso con alcune note di viaggio, che mostrano l’Opera di Assistenza nell’atto del suo ufficio e permettono di toccarne, per così dire, con mano la opportunità e il valore.

Qui l’oratore ci presenta cinque o sei rapidi schizzi colti dal vero quand’egli ebbe occasione di viaggiare all’estero con Mons. Bonomelli, e conchiude con queste parole, che riportiamo per intero: «Santa, santa, santa, o Signori, è quest’Opera di Assistenza; e chi s’adopera a favorirla e a sostenerla non potrebbe volgere a termine più degno la sua generosità. Essa è la Religione, la Famiglia, la Patria, che seguono invisibili i passi amari dell’operaio italiano esule in cerca di pane; lo seguono con la materna voce consigliera del vivere onesto, maestre di verità e di pace, dispensatrici di aiuto nell’ora della distretta. Quando il giovane Tobia partì per la città dei Medii, la madre cominciò a piangere e diceva al marito: — Tu hai tolto e mandato lungi da noi il bastone della nostra vecchiezza. Oh, non fosse mai stato al mondo quel denaro, per cagione del quale tu l’hai mandato! Perocchè noi ci stavamo contenti alla nostra povertà, e tenevamo per ricchezza il vedere il nostro figliuolo. — E il marito le disse: — Non piangere, il nostro figliuolo andrà salvo e tornerà salvo a noi; e gli occhi tuoi lo vedranno. Perocchè io credo che il buon angelo di Dio lo accompagni, e provveda a tutto quello che gli occorra, finch’egli non ritorni a noi con gaudio.

«Il quadretto biblico, mirabile di semplicità e di affetto, mi fa rivivere nell’anima una lontana immagine di dolore. Da una delle nostre stazioni partiva un treno carico di emigranti. S’incrociavano nell’aria gli estremi saluti, come anime che corressero ancora una volta all’abbraccio; sventolavan fazzoletti, s’agitavano cappelli dai finestrini; e cento mani tremanti, convulse si sporgevano come a un’ultima stretta. Tra la folla dei salutanti e dei curiosi vidi, e veggo ancora, sotto la tettoia della stazione una povera donna dal crine disperso e bianco, levare le braccia scarne e tremolanti verso il cielo con un gesto quasi sacerdotale di implorazione, e l’udii esclamare in voce di pianto: — Sono nelle mani di Dio! — Il treno fischiava già lontano. — Sì, sì, povera madre, sì, sono nelle mani di Dio; e l’Opera di Assistenza è l’angiolo che Egli manda a tutela dei tuoi figliuoli e di tutti i nostri fratelli emigranti».

Mons. Monti suscitò commozione e anche entusiasmo nei punti salienti, quando, con voce vibrata, inneggiava all’Italia e agli italiani. La sua conferenza fu per ogni rispetto un lavoro riuscitissimo.


Monsignor Bonomelli ringrazia.

Alla chiusa Mons. Bonomelli, che non aveva lasciato il pulpito, manifestando il suo compiacimento per il [p. 60 modifica] quadro veritiero presentato dal suo valente collaboratore, aggiunse calde parole di ringraziamento ai numerosissimi intervenuti e di augurio per i poveri emigrati.

Alcune signore e signorine del Comitato circolavano per la raccolta delle offerte che ascesero a circa L. 3,200.

Ma l’omaggio più eloquente, più gradito al cuore del fondatore dell’Opera, al benemerito Mons. Bonomelli, fu la presentazione di un rinnovato elenco portante i nomi delle cooperatrici, le quali, auspice la presidente contessa Carla Visconti di Modrone, si sono moltiplicate da settanta a trecento.

È un gentile e possente drappello, che all’opera prediletta dal venerando Vescovo ottantenne darà con amorevole perseveranza efficace impulso e generoso appoggio.

A. M. Cornelio.


Impressioni musicali1

È stato un Concerto delizioso, e, mentre intoniamo il consueto inno di lode a Beethoven, mandiamo un plauso al Comitato che ne ebbe la luminosa idea ed al valente Direttore d’Orchestra che seppe attuarla così felicemente.

Dopo le ore paradisiache procurateci dalla sublime Passione di Bach, eravamo stati privi di Musica vera, di quella musica che ritempra e ci rende migliori, come dice il d’Azeglio.

Mentre troviamo giusto di seguire lo svolgimento ed i tentativi dei novatori, è però assolutamente necessario di assorgere sovente a quei vasti e luminosi orizzonti del bello, del vero, del grande, onde evitare il pericolo di smarrire «la dritta via», Dante, Beethoven, Leonardo da Vinci dovrebbero rivivere più sovente fra noi per impedire l’influenza malsana di indirizzi perniciosi che, con insinuazioni sottilissime, tentano insistentemente condurci dove l’arte perde la luce sublime della divinità.

«La vera produzione artistica (scrive Beethoven) è più potente dell’artista che l’ha creata, essa ritorna alla Divinità che ne è la fonte, e non ha altra misa sione per l’uomo che quella di ricondurlo a Colui di cui essa ci prova l’adorabile intervento».

Ecco perchè ascoltando la musica di questo grande ci sembra navigare in un mare di luce che viene da Dio e ritorna a Dio illuminando accendendo tutto quanto vi è di buono, di bello, di generoso in noi, e spegnendo tutte le misere insane volgari passioni umane.

Mentre ascoltavamo la potente, sublime quinta sinfonia, scolpita dal La Villa con uno scalpello non certo indegno di Beethoven, il pensiero, sentimento della Patria, della Carità, della Religione che, attraverso l’anima santa di un Bonomelli, compie miracoli, c’invadeva in tal modo da spingerci a correre accanto ai nostri emigrati, ai nostri poveri feriti dedicando loro tutto il nostro avere, tutte le nostre energie.

Oh, perchè l’animo nostro non potrebbe ritemprarsi più sovente con queste sane emozioni!

Leggendo il Lenz dobbiamo constatare che forse la maggior parte della musica di Beethoven c’è ignota! Si è creata una pro Dante, perchè non si potrebbe creare una pro Beethoven?

Facciamo voti perchè il nostro desiderio diventi presto realtà.

Maria V. P.

I restauri della Chiesa

di San Pietro in Gessate


Raccomandiamo all’attenzione del lettore il seguente appello dell’egregio ing. architetto Diego Brioschi:


Una eletta accolta di cittadini si è da tempo costituita in Comitato promotore per mandar ad esecuzione il restauro della fronte della Chiesa quattrocentesca di S. Pietro in Gessate a Porta Vittoria e per provvedere ai mezzi necessari per il nobilissimo scopo. Il Comitato che fu l’emanazione di diverse iniziative che l’istituzione cittadina «La Letteraria e gli amici dei monumenti» collegò (Società internazionale femminile per l’arte e giornale La Sera), aggregandosi la rappresentanza del quartiere di P. Vittoria, insieme ad una schiera volonterosa di cultori d’arte, potè facilmente intuire l’importanza di questo restauro, per la documentazione della storia dell’arte milanese e per la rievocazione di una architettura di fama meritata e che fiorì per il valore di artisti insigni i quali illustrarono in patria la loro arte e andarono poi diffondendo in tutta Europa la gentilezza semplice ed ingenua della maniera lombarda.

Più tardi l’epoca delle deturpazioni passò su questa Chiesa con tutto il suo vandalismo e con il gretto strato di calce all’interno, coprendo le linee originarie e le decorazioni pittoriche del Tempio.

La Chiesa di S. Pietro in Gessate presentava in questi ultimi anni le tracce degli assaggi fatti sulla fronte dalla R. Soprintendenza ai monumenti di Lombardia, assaggi che poterono dare inizio agli studi di restauro, in attesa che lo scrostamento generale della fronte rivelasse una precisa e sicura via per l’attuazione di un ripristino fedele. Fu eseguito lo scrostamento, furono completati gli studi anche con il benevole consentimento dell’on. Soprintendente e furono iniziati ì lavori che al giorno d’oggi continuano, nella speranza che sta in cuore a tutti, di poter presto ridonare a Milano nelle sue forme originarie la semplice e bella Chiesa dalle cornici a dentelli, dalle modanature in terra cotta rilevate sulla muratura in laterizi, dalle fasce bianche profilate in rosso.

La Chiesa di S.Pietro in Gessate, sorta intorno al 1429 [p. 61 modifica] per opera di Guiniforte Solari, se non presenta all’esterno un’architettura ricercata, è però fra quelle di grandissimo interesse che segnano un caratteristico periodo d’arte; essa viene ad aggiungere un anello di più alla preziosa collana di monumenti che ai giorni nostri ci parlano ancora della grandezza del passato e della nostra cara arte lombarda. Ma se la fronte della Chiesa non sarà fra le più ricche, essa però si collegherà nuovamente alle linee del fianco a cappelle e si armonizzerà con le pitture che a poco a poco si vengono a scoprire nell’interno.

L’inizio delle opere di restauro della fronte ha messo in evidenza la necessità di restaurare ancora altre parti pregievoli del monumento, quale il fianco che reclama lavori urgenti di conservazione; ha richiamato l’attenzione sulle bellissime decorazioni pittoriche delle volte quasi totalmente coperte dalla calce e deteriorate dalle infiltrazioni pluviali: ha fatto meglio apprezzare le originarie forme della Chiesa, ora in parte nascoste da ripieghi necessari all’esercizio del culto; ha mostrato infine non solo la necessità di un restauro della fronte, ma di un’opera lenta e completa di conservazione prima ancora che di restauro, perchè con la Chiesa note si abbiano a perdere i tesori d’arte ancora nascosti all’ammirazione degli studiosi, ora sopratutto che le sagge disposizioni comunali verranno a modificare e migliorare le adiacenze della Chiesa.

Ed a tutto questo ancora intende l’opera perseverante del Comitato, lusingato dal favore che la sua iniziativa ha incontrato, sorretto dagli appoggi morali e materiali che gli furono benevolmente concessi, conscio delle responsabilità artistiche e finanziarie dell’opera sua. Sorto per il semplice restauro della fronte, il Comitato non ha esitato ad abbracciare il più vasto orizzonte. E subito ha creduto suo obbligo di provvedere alla conservazione del Tempio col rifacimento completo dei tetti che il tempo aveva deteriorati in modo impressionante. Ora mentre per la nobilissima munificenza del Sen. Luca Beltrami si stanno sottraendo dall’obblio e dallo sfacelo pregievoli pitture (rappresentanti la vita e la morte di S. Giovanni Battista) di una delle cappelle (quella attigua all’altra detta del Grifo già in parte restaurata per cura del Nob Guido Cagnola), il Comitato sta provvedendo agli studi per il restauro esterno delle cappelle, completando la fronte con il fianco della Chiesa: e dopo il fianco verso la strada sarà il fianco verso il cortile dell’Orfanotrofio Maschile: ed ancora, la ricerca delle decorazioni pittoriche delle volte s’impone con la suggestione di un sogno vagheggiato.

E chi non potrebbe immaginare la visione di questa Chiesa semplice ed ingenua all’esterno, come i frati che l’hanno edificata — e radiosa per le pitture delle crocere e cappelle — come la fede che le ha ispirate!

Il restauro di S. Marta della Pace, teste ridonata al suo antico splendore, può dare un’idea luminosa di quello che potrà divenire anche S. Pietro in Gessate.

Ma a questo vasto programma, a questo nobilissimo compito di conservare e rievocare tanti tesori d’arte, è necessario che vengano in aiuto autorità e cittadinanza. Già il Governo a mezzo della R. Soprintendenza e del R. Economato dei B. V., già il Municipio ed il Cardinale Arcivescovo di Milano, già benefattori (col legato Belloni con sottoscrizioni — e col concorso alla pesca di beneficenza dello scorso anno) mostrarono di apprezzare l’opera del Comitato offrendo i mezzi efficaci allo scopo; ma ancora molto si deve aspettare dagli Enti costituiti e dall’iniziativa privata per dare compimento ad un lavoro paziente ma continuo, con l’unico scopo di ridare alla città un insigne monumento strappato all’ingiurie del tempo ed a quelle degli uomini. Il Comitato ha fede in questa sua opera: e la fede ha sempre dato la forza magnanima dell’ardimento, la soddisfazione ineffabile della riuscita.

Per tutto questo il Comitato promotore dei restauri della Chiesa di San Pietro in Gessate, fidente nell’aiuto di tutti coloro che si interessano del culto, dell’arte e dei monumenti di Milano, si rivolge alle loro provate benemerenze per essere in grado di presto condurre a termine la bella, la nobile impresa.

N. B. — Le offerte si possono indirizzare: alla Sede del Comitato, Prof. A. Avancini, Via Vigentina, 17, al Presidente della Commissione finanziaria, Sac. Antonio Pecoroni, Via Bellini, 2, al Cassiere, signor Alessandro Corba,. Corso di P. Vittoria, 53.

Le nostre emigrate

St Rambert en Bugey

(Ain-Francia),


Nella importantissima «Filatura de chape de Lyon», stabilita a S. Rambert en Bugey, si trovano da parecchi anni da settecento a ottocento operaie italiane quasi tutte piemontesi. È stata costituita fra di esse, or sono quattro anni, una Associazione cattolica, intitolata «La Bella Italia» che ha per iscopo il mutuo soccorso ed il miglioramento morale dei suoi membri. Il zelantissimo e molto reverendo Adolfo Gamet, parroco del luogo, tiene a disposizione delle socie una magnifica e spaziosa sala, dove esse si radunano tre sere della settimana per sane ricreazioni ed utili lavori. Al presente le socie sono in numero di 150 circa. Ed è ovvio dire quale bene materiale e spirituale ne venga alle nostre sorelle emigrate. Lo stesso benemerito reverendo parroco fa venire a sue spese, due volte all’anno, dei sacerdoti italiani a tener loro degli esercizi spirituali che durano tre giorni e che sono per quelle povere creature lontane una vera sorgente di benedizione di conforto.

Patrona della «Bella Italia» è Sant’Agnese. Nella ricorrenza della cui festa ebbero luogo di questi giorni i suddetti esercizi tenuti in italiano, da un sacerdote valdostano. Fu commovente ed edificante lo spettacolo di quella chiesa affollata dalla colonia italiana numerosissima che assistette a tutte le funzioni con fervore spontaneo e profondo. Quasi quattrocento di quelle buone fanciulle si accostarono alla sacra mensa nel giorno di chiusura degli esercizi. [p. 62 modifica] Nota gentile e pietosa di queste feste fu una messa di suffraggio per il compianto Don Lino Re, che fu il primo missionario bonomelliano residente in Lione e che da molte delle presenti era ancora ricordato con reverente riconoscenza.

L’Associazione cattolica italiana offriva a tutti i loro connazionali una allegra ricreazione di chiusura, esilarando l’uditorio. Le attrici e le persone dirigenti le due farse recitate furono specialmente benemerite; la presidente, signorina Gerino Flavia, così instancabile e disinteressata per il trionfo di quest’opera buona, la vice presidente Sammori Secondina e la tesoriera Pierina Ferrero in modo particolare, colle loro cure e l’abile direzione, coadiuvarono fortemente al buon esito della recita.

Durante questa graziosa serata, la Presidente, con nobili ed elevate parole ricordò i fratelli combattenti laggiù sulle insidiose terre africane, proponendo che ciascuna secondo le proprie forze, desse l’obolo suo per le famiglie dei caduti. La colletta fra quelle operaie, rese lire 45, somma rilevante se si considera le condizioni delle oblatrici.

Il rev. D. Stefano Ravera, attuale missionario bonomelliano del segretariato di Lione, la cui vita è tutta spesa nel bene degli emigranti, traendo argomento dal soggetto della recita, ebbe parole di elevati consigli per le operaie ed un caldo ringraziamento per l’operoso e generoso parroco locale, per il predicatore degli esercizi e per tutte le autorità locali per il valido e costante appoggio che danno alla classe operaia italiana.

Indimenticabile sarà certamente in tutti i presenti il ricordo di quelle ore di fraternità e di spirituale comunanza di idee.

N. N.

  1. Si parla del grande Concerto sinfonico datosi al Conservatorio il 12 febbraio 1912 a beneficio dell’Opera di Assistenza per gli Emigrati.