Il buon cuore - Anno XI, n. 02 - 13 gennaio 1912/Educazione ed Istruzione

Educazione ed Istruzione

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Il buon cuore - Anno XI, n. 02 - 13 gennaio 1912 Religione

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Alla Porta del Paradiso

E l’anima si presentò sorridente e franca alla Porta per varcarla, come fosse sicura del fatto suo. Ma San Pietro vegliava, e:

— Adagio, figliola — disse — c’è del guaio!

— Come! — esclamò l’Anima un po’ impaurita, e che giù in Terra avveva avvivato il corpo di una bella ricca signora — come! non sarei forse degna d’entrare?... Eppure, passai di vita assolta e benedetta, ebbi tutti i Sacramenti della Chiesa; per testamento mi sono lasciata 1000 Messe; da viva feci molte limosine, e lasciai anche 300 lire da distribuirsi ai poveri nel giorno dei miei funerali....

— Eh di certo! — fece S. Pietro — tutte cose belle e buone codeste, ma....

Oh Dio! gridò l’Anima; che sarà di me!... Ho paura!

Ma S. Pietro, un po’ burbero, la scrutava, e pareva fosse lì lì per pronunziare una sentenza di chissà quante migliaia d’anni di Purgatorio. E l’anima si riconcentrava, ricordava tutto il suo passato.... Non le pareva di dover esser trattata male... In fin dei conti, era sempre stata una ragazza onesta, una moglie fedele, aveva avuto divozione alla Madonna, di cui portava una minuscola medaglia d’oro per ciondolo a un braccialetto che non lasciava mai. Portarla al collo non poteva; come fare quando doveva mostrarsi alle feste in gran decolleté!.. Sì, veramente, pensava l’Anima, quei decolletés erano stati un po’ troppo arrischiati, un po’ troppo provocanti, ma come fare... se tutte facevano così! Anzi, appunto per far pari — diremo così — s’era lasciata quelle 1000 Messe a 2,50 l’una!

E si ricordò ancora che era stata fanatica di S. Francesco, un po’ per moda è vero, ma un po’ anche per sentimento, per ammirazione sincera, specie dopo aver letto «Amor che spira!» Già, guardate che onore toccò a questo povero scribacchino sottoscritto! proprio sulla soglia del Paradiso, un’Anima ripensò a quel libro di lui, nel rammentare che aveva voluto bene a S. Francesco!

Direte che c’è poca modestia da parte mia: dite un po’ come volete, io devo raccontare le cose come andarono.

E l’Anima della Contessa — perchè proprio giù, in questo basso mondo, era stata una Contessa autentica, non apocrifa come ce ne sono tante da cui magari si lasciano imbrogliare anche i frati — ripensò che aveva voluto tanto bene alle bestie, come S. Francesco... e in uno slancio di tenerezza e anche per la paura di cascare nel Purgatorio, — San Francesco mio, aiutami! — gridò tutta disperata.

E subito San Francesco Poverino, che sempre risponde a chi lo invoca con fede, apparve sulla Porta del Paradiso. Era splendente nel viso Santo Francesco, e sorrideva; e la tonaca, bigia e sfilacciata in fondo come l’usava in vita, luceva però come se tessuta fosse di fili d’oro; una stella brillava su ciascuna delle Stimmate Sante, sulle mani stese e aperte, sui piedi nudi e sul costato.

Su la spalla destra se ne stava accovacciata una lodoletta, e guardava il santo come aspettando da lui una parola.

— Anima, sirocchia mia, che vuoi tu da me? — disse Santo Francesco alla meschina che stava trepidante innanzi a tanto fulgore.

— Padre mio santo, disse questa alla fine — accoglimi nel tuo paradiso con Te! Al pari di te ho amato tanto le bestiole sorelline nostre, come le chiamavi Tu, Padre Santo; e le gioiose lodole ho tanto amato, e le tortorelle miti e carezzevoli, e gli usignoli e i cani...

— Eh lo so bene — interruppe S. Francesco — questi li ho veduti tante volte nella tua carrozza, al posto dove avrebbero dovuto stare i figlioletti tuoi!

[p. 10 modifica] — Ma li lasciavo al sicuro, con le bambinaie!

— Già, ma chi può supplire una madre? E le carezze d’una mamma chi le sostituisce?...

— Ho peccato! — gemette l’Anima.

— Sì, figliola, e molto, mormorò Santo Francesco, quasi compassionando la Poverella. Poi riprese:

— Ho visto le belle monete che spendevi ogni giorno per mantenere a biscotti, e dei migliori, i tuoi cagnolini tutti infiocchettati e profumati come, a’ miei tempi, i paggetti delle Castellane. Ed ecco, a tanti poveri bimbetti manca il pane, e a tante povere madri manca il latte per alimentare i loro piccini, pensavo allora! Ho visto i tuoi levrieri coperti, d’inverno, di mantelletti e giubboncelli tagliati in panno costoso, in ricco velluto e tutti trapunti a filo d’oro fino nello stemma gentilizio, nelle cifre, e in ricamo di perle vere scrittovi il nome tuo o delle bestiole, non sapendo in verità se più valessero, queste o la Dama; e non solo davanti a Dio ma davanti agli uomini altresì. Ho visto i collari d’oro massiccio, fioriti di gemme girare, come un monile prezioso del costo di migliaia di lire, attorno al collo di esse, e tu gareggiare in ciò di splendidezza con altre dame, che pure vogliono dirsi cristiane, e con le svergognate femmine ancora alle quali e principi e patrizi, ed uomini che con brogli e truffe s’acquistarono tesori, sacrificano e l’onore della stirpe illustre, non il proprio che già l’hanno perduto, e il patrimonio dei figli. Questo ho veduto, e questo vedo di continuo farsi laggiù su la Terra, dove pure tanti infelici o nel fiore degli anni o cadenti per età, cercano un pane da sfamarsi, un cencio da coprirsi mentre vanno tremando di freddo e non lo trovano; — cercano un tetto per ricoverarsi e sdraiarsi sul terreno, al coperto almeno, e non lo trovano, come non trovano lavoro con che pagarlo.

Ma i tuoi cani, dormivano in cuccette dorate, su soffici cuscini, al calduccio, e perfino tra lini di batista, dopo essere stati spogliati con le tue mani aristocratiche dei giubbetti, dei fiocchi, dei gioielli... Questo ho veduto, e anche quassù me ne sono rattristato, capisci! Eppure tu lo sai di quanto amore amassi le creature e come non patissi che si recasse danno anche lieve a questi fratellini nostri!... Anche i più miserrimi, come i vermiciattoli, protessi e carezzai e benedissi sempre!

L’Anima gemeva accorata, ma pure si fece coraggio, e:

— Padre mio Santo — disse — Tu sai pure che ho dato anche ai poveri! ho dato per i bambini, e per i vecchi, per gli Asili, e per le Scuole, per i malati, per gli orfani: ho contribuito ad ogni sorta di beneficenza...

— Eh lo so — interruppe mestamente ma dolcemente San Francesco — lo so che hai ballato tanto per i poveri!... So che hai dato del danaro, ma non hai dato il cuore; hai fatto elemosine, ma non hai fatto la carità! E che cosa è mai dare del denaro quando se ne ha tanto! Con quei biscottini costosi per i tuoi cani quanti bimbi avresti rallegrato, ma distribuiti da mano a mano, da cuore a cuore; e non nei ricoveri, negli asili, tra la folla spettatrice e plaudente, che ne avrebbe poi divulgata e decantata la profusione, ma nelle casette degli umili, visitatrice benedetta, sotto l’occhio di Dio, delle mamme buone, del babbo, l’operaio onesto che vedrebbe in quest’atto non solo la generosità, che qualche volta può offendere, ma l’amicizia, la fratellanza vera che eleva, nobilita, e spesso redime! Hai dato del denaro sì; ma quello sprecato nei collari d’oro e diamanti de’ tuoi cani, nei gioielli fissati su i fiocchi serici de’ tuoi gattini d’Angora non poteva far la fortuna di una famigliola, salvare dalla rovina materiale e morale una creatura umana? Forse poteva evitare il disonore a una fanciulla, un suicidio, un delitto!...

Pensaci, Anima, sorella mia, pensaci al male che hai fatto!

l’Anima s’accasciò profondamente in un muto dolore; riconobbe la stoltezza sua, e si pentì!

Santo Francesco stava immobile su la soglia del Paradiso, guardando amorevolmente la Pentita; poi, congiunse le mani stellate, come a pregare: «Signore, perdonate perchè non sapeva quello che si facesse!»

Il commento è mio però, non di S. Francesco, s’intende.

— Lo so quel che vuoi dire! — soggiunse poi — le 1000 Messe!... una santa cosa questa, di certo; e anche tu ne avrai la tua parte di merito; ma se quassù si badasse soltanto alle Messe di Requiem, i Morti ricchi entrerebbero subito in Paradiso! Le tue Messe arderanno anche in suffragio a tanti meschinelli che non poterono lasciare nemmeno un centesimo per farsi fare un po’ di bene.

― Ma allora sarò dannata in eterno? — gemette l’Anima terrorizzata.

― No — rispose San Francesco. — La misericordia di Dio è infinita, e Dio tien conto di tutto. Ciò che tu hai dato è stato più per impulso di vanità che di carità, e a te non è costato nessun sacrifizio nè personale nè pecuniario; e senza sacrifizio virtù vera non c’è. Fu preferito da Gesù l’obolo della vedova alle grandi offerte del ricco, appunto perchè quella, dando l’unico obolo suo, si privava di tutto, affrontava forse la fame, mentre il ricco, anche dando largamente, poteva scialarla lo stesso. Gli animali sì, sta bene, sorella mia; ma prima le creature umane. Un bocconcino buono anche ai cani fedeli, ai micini ghiottoncelli e graziosi, e briciole di pane e panico agli uccellini dell’aria; ma, prima di tutto, pane e carezze e conforto di parole buone, e amore, amore, amore per gli uomini redenti da Cristo Signore.

Misericordia dunque anche per te, Animuccia, sirocchia mia; ma giustizia anche: se no, con due lacrimuccie, tutti pari, buoni e cattivi; chi ha patito tanto nel mondo e chi ha goduto sempre e di tutto. Ecco, Gesù Signore mi fa conoscere la tua sentenza. Umiliati sirocchia mia, e ascolta.

In questo mondo degli Spiriti tu, rimanendo spirito incorporeo, tornerai sulla Terra e conserverai sensazioni, sentimenti, desiderî, necessità perfino come se tu fossi di un corpo rivestita e fossi ritornata sulla Terra. Avrai la visione del tuo presente e del tuo passato. Proverai la fame ed il freddo, e sospirerai le ghiottonerie distribuite ai tuoi cani, i ricchi mantelletti ricamati d’oro e stemmati che li tenevano ben caldi. Errerai la notte senza un tetto dove stare al coperto, e [p. 11 modifica] vedrai i giacigli con le soffici pellicce che tu a loro preparavi.

Avrai la sensazione di portare attorno al collo un monile di un peso enorme; sarà l’espiazione per i collari d’oro e di gemme che compravi ai tuoi danesi, ai tuoi levrieri: piangerai, e nessuno asciugherà le tue lagrime! E ciò per 500 anni! Questo dice la Giustizia di Dio!

Frate Santo Francesco era commosso nel rivelare all’Anima la terribile ma giusta sentenza; e però non potè trattenersi dal soggiungere:

― Confortati, poverella mia! Abbi fede e speranza! Forse Dio se ti vedrà contrita accettare la prova che da te stessa ti sei preparata, può abbreviarla; i suffragi dei viventi ti aiuteranno; e sopratutto abbi carità per il tuo prossimo. Anche nel tuo misero stato puoi amare, puoi aiutare il prossimo tuo!

― Santo Francesco — gemette quella infelice Anima singhiozzando — sia fatta la volontà di Dio! Espierò; ma voi Padre Santo abbiate pietà di me: fui sempre francescana, ebbi tanta venerazione per Voi!

― E già — mormorò sorridendo il mite Poverello d’Assisi — lo so che adesso io sono di moda laggiù!

— Ma io vorrei un po’ di francescanesimo di quello vero in tutti! Le cose anderebbero meglio nel mondo! Addio, sirocchia mia. Pax et bonum!

E in così dire, Santo Francesco alzò la destra scarna e bianca dove una stella brillava su le Stimmate Sante, col segno della Croce benedisse l’Anima e poi disparve.

L’Anima della Contessa riprese la parvenza del suo corpo e in un baleno fu di nuovo sulla Terra, a Parigi, davanti al suo palazzo, mentre proprio usciva dal portone il ricco feretro che ne chiudeva il cadavere, e un lungo stuolo di preti intonava: Requiem aeternam dona ei, Domine, non sapendo che questa requie doveva aspettarla per un bel pezzo la povera Morta! Dietro il carro funebre, subito dopo i parenti più stretti, un servo conduceva a mano un magnifico levriere, il favorito della Contessa, sul quale aveva gettato un velo di crespo nero sotto cui mandava iridescenze e bagliori il collare d’oro e diamanti dei giorni di gran gala. Avevano voluto scimiottare i funerali di Re Edoardo VII d’Inghilterra, dove oltre al solito cavallo di battaglia bardato a lutto, un lacchè reale e imperiale guidava pure un cagnolino che sgambettava dietro la regia salma del suo Sovrano ed amico!

L’infelice Anima, invisibile a tutti nella sua parvenza umana, fremette; lacrime cocenti di pentimento le caddero dagli occhi, e sentì tosto, intorno al collo, come un peso enorme di un monile di piombo che glielo cingesse! La via dolorosa dell’espiazione cominciava così!

Firenze.

Il Municipio di Milano ha ordinato 200 abbonamenti per distribuire in tutte le scuole i fascicoli dell’ENCICLOPEDIA DEI RAGAZZI.

La Capanna dello Zio Tom

Questo lavoro insuperato e insuperabile ci si presenta in veste novissima e splendida tanto da affascinare coloro che rivedono in esso una cara, vecchia conoscenza trasformata e ringiovanita, come i pochi che non hanno avuto mai la ventura di vederlo.

Ma ci può esser qualcuno che non abbia letto La capanna dello Zio Tom? Forse. La passata e la presente generazione hanno versato lacrime su quelle pagine, ed i pochi che ancora non conoscono quel poema di dolori indicibili, saranno grati a chi loro presenta un lavoro veramente incomparabile.

L’autrice, Harriet Beecher, fu davvero un genio del bene, e lo fu quasi senz’avvedersene, come avviene ai grandi ingegni che studiano e producono con semplicità, mirando ai più nobili obbiettivi, e riuscendo ad ottenere successi impreveduti.

Il risultato ottenuto da Harriet Beecher fu grande sotto diversi aspetti. Ella si proponeva di segnalare colla semplice efficacia dell’affetto alcune scene strazianti della schiavitù per elevare il sentimento dei buoni alla capacità comprensiva dei doveri imposti dalla dignità umana, e offriva il suo lavoro ad un editore come un semplice prodotto del suo cuore gentile; e quel lavoro, accettato come opera comune, s’imponeva tanto in tutto il mondo civile, da centuplicarne le edizioni e da arricchire l’editore, nonchè la benefica autrice; più ancora, quel semplice lavoro riusciva un colpo formidabile alla più grande barbarie, e così si avverava il voto espresso con queste parole: «È con solante il pensare che, un giorno, il ricordo della schiavitù si perderà nel tempo insieme a quello di altre iniquità; allora i racconti simili al nostro non avranno altro pregio che l’evocazione di cose fortunatamente trascorse».

L’edizione attuale, ideata dall’Hoepli, è qualcosa di veramente distinto come lavoro d’arte per splendide, parlanti tavole e illustrazioni, che presentano le scene più toccanti e drammatiche; come lavoro letterario, ha il pregio inestimabile di essere tradotta nel nostro idioma da una penna veramente italiana, la penna di Fulvia, che ci ha dato lavori smaglianti come Troppo fiera, Realtà, Tempeste dell’anima e una grande quantità di giojelli letterari, sparsi nelle più accreditate riviste. Così La capanna dello Zio Tom,interessantissima per sè stessa, levandosi ogni asperità, si è resa ancor più meritevole di entrare nelle famiglie che comprendono l’importanza dei libri educativi in buona lingua, e Fulvia, compiendo fedelmente il faticoso lavoro con quell’entusiasmo che trapela dalla sua magnifica introduzione, si è resa per fermo benemerita.

«Possa l’eterea Evangelina, la più luminosa figura che a queste pagine sorviva, l’angelo di bellezza e di pietà, che si spense perchè l’ombra del male la raggiunse, la bimba soave — petalo di rosa bianca, troppo rara per sbocciare in terra — dire ai figli dell’Africa nostra, ai piccoli fratelli dispersi e sofferenti, la buona parola di speranza e di salvezza».

Così Fulvia conclude la sua introduzione, e noi non aggiungiamo parola.

A. M. Cornelio.

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La Mezzaluna

Siamo in pieno argomento turco. Non credo che neppure alla caduta di Costantinopoli nel 1453, neppure nel lungo periodo delle Crociate per la liberazione del Santo Sepolcro, o all’epoca delle grandi spedizioni militari turche in Europa e relative vittorie e sconfitte, risuonò più frequente nè si scrisse di più il nome dei padroni dell’impero ottomano. Immaginate voi quanti, avidi di notizie sensazionali in materia di guerra, quanti realmente interessati per motivi politici, quante famiglie, quante madri, quante spose trepidanti sulla sorte dei loro cari combattenti sulle coste africane, pronunciano e quante volte, quel nome esecrato dalla civiltà e dalla religione?

Però, chi parla o scrive, in più nobile stile sublime, a designare il turco, si vale di una parola sinonima «Mezzaluna». E sentirete o leggerete spesso che la Mezzaluna impazzisce, fa gli estremi sforzi disperati ma folli ecc. La «Mezzaluna» è il simbolo araldico della potenza turca, è l’espressione della religione maomettana, è un segno d’onore a chi si distinse per atti e virtù militari, campeggiando essa nella bandiera turca, nelle onorificenze, sugli edifizii, ovunque.

Donde ebbe origine — giacche qualsiasi figura che forma la parte predominante d’uno stemma o d’una bandiera è sempre la sintesi, il simbolo di fatti, di virtù realizzate in un momento storico glorioso per una persona singola o per una collettività sociale — ?

La leggenda, così di casa per popoli orientali, direbbe che al Profeta, in una certa visione, era stata mostrata appunto la figura della luna crescente, augurio e promessa del prosperare che avrebbe fatto l’opera sua; e che la «Mezzaluna» d’allora divenne il segno araldico del Maomettismo.

Confesso però di trovare superflua questa spiegazione leggendaria, dal momento che n’abbiamo un’altra, storica, e quindi senza confronti più consistente. Giacchè nel 1520 Solimano II, Sultano di Costantinopoli, istituiva un Ordine equestre per rimunerare nell’Impero le virtù militari, e per decorazione stabilì una collana avente una «mezzaluna» pendente colle punte rivolte al basso.

Uno storico narrando della presa di Costantinopoli dice che i Turchi entrati vittoriosi in città «vi rizzarono la Mezzaluna dell’Islamismo». Il che può intendersi, non solo che a quell’epoca il turco aveva già adottato come stemma la «mezzaluna» per se, ma anche che vi fosse una «mezzaluna» non dell’Islamismo. Lo stemma dell’antica Bisanzio che colla traslazione della sede imperiale ivi fatta da Costantino Magno mutò nome in quello di Costantinopoli, essendo appunto la figura della luna falcata o crescente, suffraga questa seconda interpretazione. Parrebbe adunque più naturale il supporre che i turchi prendendo Costantinopoli, abbiano accettato anche il suo stemma, passandolo poi nella bandiera nazionale e su tutto quello a cui lo stato aveva dei diritti. Gli stemmi della città non è detto che cambino col cambiar di padroni. Roma conserva tutt’ora il suo simbolo della Lupa che allatta Romolo e Remo, nonostante che sia stata retta a monarchia, a repubblica, a impero, poi passata ai barbari, poi ai Papi, poi agli Italiani. Benchè, a rigore, possa darsi il caso che le due versioni non si escludano nel senso che i maomettani abbiano vestito della sacra poesia di celeste visione il proposito già formato di adottare lo stemma della conquistata Bisanzio. Erano tanto furbi quei messeri!

Intanto la «Mezzaluna», oggi come oggi, parrà una atroce ironia. Significando essa un progresso, ahi! che i fatti remoti e recenti la smentiscono senza pietà, rinfacciandole anzi, tutto il rovescio; cioè un regresso spaventevole nella continua perdita di sovranità e di provincie. Non sarebbe il caso di rivolgere ad oriente le corna della luna, e dirla mancante anzichè crescente? Sarebbe per Io meno significato di verità. Ai Turchi il decidere non a noi, perchè è più affar loro che nostro.

CASA DI BAMBINI


Le Francescane Missionarie di Maria hanno aperto in Milano, Via Solferino, 24, una Casa di Bambini, destinata ad accogliere e ad educare bambini dai tre ai sette anni.

La Casa si propone di attuare, anche in Milano, mediante l’opera di maestre appositamente formate a questo scopo, l’educazione del bambino, curandone lo sviluppo fisico, intellettuale e morale, non già seguendo i metodi in uso nei comuni asili d’infanzia, bensì seguendo le norme del metodo sperimentale che ha già dato altrove ottime prove.

Sono infatti sorprendenti i risultati ottenuti nella Casa istituita in Roma già da qualche anno.

I lettori sono invitati a visitare la nuova Casa in Milano, dove si possono avere particolareggiate informazioni e conoscere le condizioni alle quali è subordinata la accettazione dei bambini.