Il buon cuore - Anno X, n. 44 - 28 ottobre 1911/Religione

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Vangelo della domenica seconda dopo la Dedicazione


Testo del Vangelo.

I Farisei ritiratisi, tennero consiglio per cogliere Gesù in parole. E mandarono da lui i loro discepoli con degli Erodiani, i quali dissero: Maestro, noi sappiamo che tu sei verace, e insegni la via di Dio secondo la verità, senza badare a chicchessia; imperocchè non guardi in faccia agli uomini. Dinne dunque il tuo parere: È egli lecito, o no, di pagare il tributo a Cesare? Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, disse: Ipocriti, perchè mi tentate? Mostratemi la moneta del tributo. Ed essi gli presentarono un denaro. E Gesù disse loro: Di chi è questa immagine e questa iscrizione? Gli risposero: Di Cesare. Allora egli disse loro: Rendete dunque a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio.

S. GIOVANNI, Cap. 22.


Pensieri.

I Farisei, ritiratisi, tennero consiglio per coglierlo in parole. La guerra contro Gesù è organizzata: non è l’odio di alcuni accieccati, di qualche invidioso, no, è una lotta metodicamente, costantemente condotta da tutto un partito che si vede minacciato, che prevede finita la propria potenza, scossa la propria autorità, caduti i propri privilegi se la parola di verità e di libertà, predicata da Gesù, riesce a ottenere la fede delle moltitudini.

La condotta di Gesù era irreprensibile: da questo lato i nemici non potevan tentare, inventar nulla; nessun arzigogolo avrebbe potuto trarre in inganno le moltitudini! Tentarono, è vero, dire potenza diabolica quella di Gesù: non potendo negare le opere, cercarono ottenebrarne le origini... ma la potenza dei fatti non è facilmente oppugnabile.

Si può vedere con dolore la santità di un avversario, menomarla, non annientarla.... I Farisei son costretti a trovare altra via, per perder Gesù, e si radunano a consiglio per vedere il modo di coglierlo in parole.

Oh, tenebroso consiglio... di tristi adunati per tendere insidie al Maestro!

Che spettacolo orrendo!

Spettacolo che la genia dei Farisei ripresenta all’occhio addolorato dei buoni, dei semplici, ogni voltai che torna ad essi opportuno! Ma si consocino quelli che soffrono persecuzione e quelli che se ne rattristano: gli uni somigliano a Gesù e gli altri a’ suoi pochi discepoli fedeli.

E per coglierlo in parole non si presentano a Cristo personalmente, no, mandano i loro discepoli ai quali hanno insegnato la loro arte di male, e li mandano con una domanda sottilmente cercata, astutamente trovata. Una domanda che eccitava le passioni politiche religiose che, allora come oggi, son quelle che più dividono e acciecano.

Ma Gesù ha una risposta così semplice, così sapiente, così evidente che gli inviati a Lui per coglierlo e farlo cadere restan meravigliati e stupiti... e se ne vanno. Se ne vanno dolenti, attendendo altra occasione per perderlo.

L’arte dei Farisei non muta: dal principio alla fine del Vangelo la ritroviam sempre quella; di secolo in secolo si mantiene sempre identica a se stessa.

La parola di Gesù che ha meravigliato i suoi nemici sia a noi parola di ammaestramento e di luce. C’insegni che nessuna preoccupazione terrena deve unirsi alla nostra fede religiosa: ci salvi dal confondere le nostre passioni politiche con la causa della verità e del bene; ci inculchi che indipendentemente da ogni potenza terrena, da ogni forma di reggimento, si compiono i misteriosi commerci fra le anime e Dio.

Che vale ciò che oggi è e domani non e più in confronto alle realtà eterne, alle supreme realtà spirituali?...

Oh, che tentativo folle e quello di alcuni che vorrebbero impicciolire, limitare una causa universale, che non conosce costituzioni di nessun genere.... E certi atteggiamenti come contristano le anime pie!

Ma ad esse risuoni dentro la voce interiore che divinamente ammonisce: lasciate che i morti seppelliscano i loro morti. [p. 351 modifica]

Marchese EMANUELE D’ADDA

Senatore del Regno

Sabato, 21 corrente, vennero fatti ad Arcore di Brianza, solenni funerali al marchese Emanuele D’Adda, ivi morto a 64 anni, nella sua magnifica villa.

Nel sentimento della sua innata modestia, egli ha ben potuto ordinare che non si pronunciassero discorsi sulla sua tomba, ma non potrà vietarsi che si ricordi collo scritto quanto si sarebbe detto colla parola.

Il marchese Emanuele D’Adda ha riunite in se due grandezze, la grandezza del passato, la grandezza del presente. Alcuni membri del patriziato, all’avvento dei nuovi tempi, si restrinsero nel cerchio delle antiche idee; altri, attratti, sospinti dal soffio delle idee nuove, dimenticarono le antiche tradizioni: don Emanuele D’Adda fu insieme l’uomo fedele ai sentimenti buoni antichi, e pronto a tutte le feconde iniziative del presente.

Educato cristianamente, egli sempre professò i principi e le direzioni della fede, una fede; che prendeva maggior valore dall’essere consciente, mantenuta ferma in mezzo ai contrasti di idee e di pratiche opposte, ferma dinnanzi al dissidio tra la religione e la patria che traviò tanti spiriti, meno equilibrati del suo: cristianamente visse, cristianamente morì, disse giustamente il cartello posto sopra la porta della Chiesa ad Arcore.

Lo spirito che univa le famiglie in un sol gruppo, spirito formato di rispetto e di amore, di soggezione e di benevolenza, caratteristico dei tempi antichi, fu lo spirito che animò sempre il suo cuore: privato di figli; egli raccolse le sue affezioni sulla sposa e sulla schiera di tutti gli altri parenti: in un’epoca speciale dell’anno, la sua villa ad Arcore, diventava il convegno di tutti i suoi cari, e di numerosi e illustri amici.

La dignità del carattere, l’essere sempre insieme coerente nelle proprie opinioni, il non cercare lodi, il non temere imposizioni di partiti, fu pure un altro de’ suoi meriti: egli fu sempre eguale a se stesso, merito rimarchevole in un’epoca in cui non fu raro l’esempio di abdicazioni al proprio modo di sentire dinnanzi alle blandizie di chi è al potere, o dinnanzi alle niinaccie del volgo.

Giovine nel momento in cui si iniziava il movimento dell’indipendenza nazionale, egli ne risentì la scossa e ne divise gli slanci: gli esempi gli venivano dalla sua stessa casa, in modo particolare dallo zio Don Carlo D’Adda, uno dei rappresentanti più ardenti e tenaci del pratriottismo lombardo: si ascrisse all’esercito: prese parte alla guerra del 1866, e rimase anche in seguito addetto alla milizia territoriale: anzi è la rappresentanza del corpo, di cui era capitano, che egli desiderò presente ai suoi funerali. Egli prestò poi l’opera sua in bene del paese come Deputato e Senatore, e il suo voto fu sempre in appoggio delle cause oneste e conservatrici.

Avvolto nella questione sociale, la prevenne e l’affrontò: non aspettò di essere spinto a migliorare le condizioni de’ suoi contadini: seguace in ciò anche degli esempi dello zio Don Carlo, egli pensò subito a migliorare le loro abitazioni inspirandosi alle più illuminate norme della igiene e della comodità: le case coloniche di Casa D’Adda possono essere mostrate a modello. Queste cure previdenti non valsero a salvarlo dall’ingratitudine: in una sua tenuta fu organizzata una imposizione socialista: non volendo cedere a ingiuste pretese, e non volendo ricorrere a misure di rappresaglie, alienò il fondo. I contadini, accortisi troppo tardi di essere stati tratti in inganno dai sobillatori, piansero. Quelle lacrime erano il più bel elogio dell’antico padrone.

La beneficenza è un’altra delle caratteristiche del patriziato milanese: provveduto di mezzi e senza figli, il marchese D’Adda la esercitò largamente, unendo alla generosità dei doni l’applicazione illuminata. I bisogni più urgenti delle classi popolari attrassero maggiormente le sue cure, come gli ospedali, gli asili infantili: egli diede un largo contributo per la fondazione del Sanatorio di Ornago, e fece un lascito di L. 60.000 per l’Ospedale mandamentale di Vimercate. Gli asili infantili da lui beneficati sono legione. Più di quattro cento mila lire in beneficenza dispose nel suo testamento.

L’italiano è artista, e porta questa nota in tutte le manifestazioni della sua vita. Il marchese D’Adda aveva già in famiglia una prova di questo eminente gusto per le belle arti, nella monumentale cappella mortuaria, ricca di due superbi lavori di Vincenzo Vela: il primo è il ritratto della di lui madre morente, in proporzioni grandi al naturale, sotto uno sfarzoso padiglione di marmo di Carrara; il secondo la statua della Madonna Addolorata, posta in una nicchia sopra l’altare. Espressione di questo amore all’arte nel suo testamento ebbe uno speciale ricordo con un legato di L. 50.000, pei ristauri dello Castello Sforzesco, e aggiunse il dono di un quadro pregevole del Boltraffio.

E tutte queste doti armonizzanti nell’unione dell’antico e del moderno, erano nel marchese D’Adda abbellite da una qualità predominante e in lui non mai deficente, la bontà: il titolo di buono, credo fosse quello che istintivamente sorgesse sul labbro di tutti per caratterizzarlo.

Buono, tutti gli volevano bene: avrà avuto avversari; credo che nessuno gli fosse nemico. Il numeroso intervento di persone di ogni classe a’ suoi funerali fu una prova del largo consenso di stima e di affetto che godeva presso di tutti: tutto il patriziato milanese con qualcuno dei suoi membri era presente: tutta l’alta società di Milano in quel giorno era ad Arcore.

Egli si ricordò con un legato di L. 50.000, a favore dei dell’Istituto Ciechi di Milano, ben predisposto a ciò anche dalla tradizione di un affetto speciale già esistente a loro riguardo in famiglia: la marchesa Trotti; sua suocera, è presidente del Comitato per l’Asilo Infantile dei Ciechi, e all’opera sua autorevole e benefica si deve in gran parte l’incremento di tanto utile e simpatica istituzione.

La preghiera dei bambini ciechi riconoscenti, insieme a quella degli altri beneficati, affretti presso Dio il premio al generoso benefattore, e faccia scendere sulla vedova desolata il conforto della rassegnazione, della speranza e della pace.



Il Municipio di Milano ha ordinato 150 abbonamenti per distribuire in tutte le scuole i fascicoli dell’ENCICLOPEDIA DEI RAGAZZI.