Il buon cuore - Anno X, n. 35 - 26 agosto 1911/Beneficenza

Beneficenza

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Il buon cuore - Anno X, n. 35 - 26 agosto 1911 Religione

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DALL’ERITREA


Lettera di S. E. il VICARIO APOSTOLICO

Commossi dalla eloquente descrizione delle difficoltà in cui si trovava e trovasi tuttavia la rinnovata Missione all’Eritrea, affidata dal Sommo Pontefice al Vicario Apostolico Camillo Carrara dell’Ordine dei Cappuccini, aprimmo una sottoscrizione facendo appello alla fede e al patriottismo dei nostri lettori. Raccogliemmo quattrocento lire e le inviammo direttamente all’Asmara, ultimo lembo di terra italiana.

Ecco ora la risposta di S. E. Mons. Carrara ai redattori del Buon Cuore:

«Vicariatus Apostolicus, Asmara, 23 luglio 1911.


«Egregi Signori,

«Mi giunge in questo momento la pregiatissima loro assicurata con le acchiuse lire quattrocento, da loro medesimi raccolte a mezzo del caro periodico il Buon Cuore. Sono impotente, egregi signori, ad esprimere tutta la riconoscenza che mi sento in cuore per l’affettuoso loro interessamento a vantaggio della mia povera Missione. Nelle mie attuali strettezze specialmente, la cospicua somma rimessami è veramente un ajuto provvidenziale. Grazie pertanto agli scrittori del Buon Cuore, che vorranno pure ringraziare sentitamente quelle generose persone che ebbero la grande bontà di venire in mio soccorso.

«Alla generosità dei Milanesi non si ricorre mai invano.

«Un ringraziamento speciale per il pensiero della sottoscrizione, so di doverlo all’ottimo sig. A. M. Cornelio, l’amico dei Cappuccini, al quale devo molto, lo scrittore infaticabile della beneficenza, il nipote prediletto del grande Stoppani. A lui il mio ricordo amichevole.

«Aff.mo CAMILLO CARRARA, V. A.»


A questa lettera facciamo seguire una relazione sulle opere della Missione nell’Eritrea, colla speranza che i buoni ci diano presto occasione d’invio d’altro sussidio ancor più degno della riconoscenza di S. E. il Vicario Apostolico.

Le sottoscrizioni si ricevono all’ufficio di amministrazione della Ditta Editrice L. F. Cogliati, Corso Porta Romana, 17.




Missione dei Cappuccini nell’Eritrea.


A chi entrato nell’Asmara si mette sul viale che conduce alla Missione Cattolica, subito si presentano i fabbricati delle scuole. Sorsero questi poco alla volta senza forse un unico disegno, ma tali però da ricevere i figli delle principali famiglie di questa piccola capitale, contenendo il bel numero di circa 200 scolari. Vi viene impartita l’istruzione elementare fino alla sesta classe, tanto per la sezione maschile che per la femminile, più l’insegnamento di lingue straniere con vera soddisfazione e plauso della Commissione esaminatrice, la quale anche quest’anno avendo a presidente il Commissario regionale avv. cav. Cagnassi, ebbe lusinghiere espressioni di lode e di ringraziamento verso le suore di S. Anna che con tanto sacrificio si dedicano all’insegnamento, e verso i missionari a cui ne è affidata la direzione. Affollata è pure la scuola per gli indigeni che vi imparano la loro lingua tigrignà da un deftera (maestro) stipendiato dalla Missione, e vi apprendono la lingua italiana dai Padri e dalle Suore. Non manca il giardino d’infanzia, anzi esso è tale che coi suoi 150 tra bambini e bambine riscuote le simpatie e le compiacenze di tutta Asmara. Anche quest’anno, come sempre, si tenne il così detto saggio finale. Mentre la bandiera tricolore sventola sul piazzale della chiesetta, arrivava S. E. il Governatore dell’Eritrea marchese Salvago Raggi seguito dalla sua scorta d’onore; la sua [p. 274 modifica]presenza e quella di molti altri che tengono i primi posti governativi, come il comm. Del Corso, direttore delle finanze, il cav. Alleri, direttore degli affari civili, il cav. Rombo comandante della nave da guerra Aretusa onoravano lo svolgimento del vastissimo programma, seguito con vero interesse da tutti, e specialmente dai papà e dalle mamme che affollavano il salone improvvisato nel cortile dell’asilo e che troppo manifestamente rivelavano dai loro sorrisi l’intima gioia e soddisfazione nel vedere i loro bimbi fatti oggetti della generale ammirazione.

Era da parecchio tempo che molti giovani indigeni, cattolici e non cattolici, desideravano la scuola serale, perchè, occupati nei lavori e negli uffici, o trattenuti nelle caserme, non potevano frequentare le lezioni diurne. Passarono soli pochi giorni dal nostro arrivo nella città che subito si presentò un piccolo drappello di detti giovani a chiederci la scuola. Il numero dei Missionari all’Asmara era cresciuto e qual difficoltà poteva esservi, perchè non venisse assecondato il leggittimo desiderio manifestato con tanta insistenza? Subito si apri una classe: dopo sole due sere il numero d’iscrizione era arrivato al 40: se ne aprì una seconda che poco dopo fu al completo; una terza finalmente a cui furono iscritti più di 70. In una quindicina di giorni gli ambienti adibiti per le scuole serali contenevano ogni sera circa 150 scolari, in maggior parte adulti, impiegati nei diversi uffici della città.

Fra tanta moltitudine di indigeni si trovavano anche dei giovani italiani: indovinammo il loro desiderio ed aprimmo una quarta scuola esclusivamente per essi, che la frequentano in buon numero e con grande soddisfazione loro e del maestro.

Ecco un’opera nuova che non mancherà di produrre buoni frutti. Il missionario si mette, in questo modo, al contatto di tanta gioventù: la sua gratuita prestazione gli guadagna la stima e la riconoscenza dello scolaro e dei suoi genitori: il cattolico si sente stretto da un vincolo più forte col sacerdote e confermato nella sua religione; il copto ed il mussulmano, così avvicinati ed edificati, oltre la stima, acquistano confidenza ed attraverso colui che lo istruisce, e qualche parola prudente ma persuasiva che sfugge dal labbro del missionario può essere l’origine di riflessioni serie e di sincere conversioni.

Oltre all’educandato maschile e femminile, vi sono nella casa d’Asmara due istituti per gli orfani indigeni, ricoverati circa in 60 tra alunni ed alunne; e la disponibilità dei Padri permise un miglioramento anche verso questi infelici che debbono essere l’oggetto più caro al cuore del missionario. Non si deve credere che l’abissino sia incapace di uno sviluppo intellettuale. Ciò è provato dal fatto che la Missione cattolica per il passato ha potuto dare, ai diversi uffici, dei buoni interpreti ed impiegati, che prestano un servizio prezioso al nostro Governo. Approffittandoci di queste felici disposizioni abbiamo iniziata e prosegue la scuola di Dattilografia e di Telegrafia, e speriamo che presto non pochi dei nostri alunni potranno coprire degli impieghi abbastanza onorifici e lucrosi. La scuola poi di canto e di suono non tarderà a darci una buona schola cantorum ed una piccola banda che rallegreranno la chiesa e l’istituto.

Se la maggior parte di questi ricoverati è di religione cattolica, non mancano gli acattolici, specialmente cofti; e questi ci son ragione di grandi e forze delle più belle soddisfazioni e stanno a confermare che il lavoro dell’apostolato qui in Eritrea, sostenuto dai mezzi indispensabili a mantenere le opere iniziate, non è per nulla sterile e sconfortante. Il sabato Santo, pochi giorni dopo il suo arrivo in Colonia, a Monsignor Vicario era riserbato la bella consolazione di battezzare due giovani abbastanza adulti, un ebreo ed un cofto: ed il giorno di San Camillo, suo onomastico, ebbe nuovamente la gioia di dare alla chiesa due neofiti, cresciuti ed istruiti nella Missione. Uno di essi si chiama Giulio ed ha 17 anni; è figlio di un degiac (capo di provincia) nipote del Ras Ghila Gabor. Dovette sostenere una lunga e forte lotta con se stesso: ma la grazia di Dio trionfava nel suo cuore. L’altro è il piccolo Lorenzo, la cui rara intelligenza, i cui modi schietti e gentili, specchio della più pura innocenza dell’animo suo, lo rendono caro ed amabile a tutti. Il giorno in cui furono battezzati fu veramente per loro un giorno di gioia sentita, indimenticabile. Chiesero subito di ricevere il Sacramento della Cresima e di essere ammessi il più presto possibile al banchetto Eucaristico, a cui si prepararono con tutto il fervore di anime innamorate delle divine cose.

Queste prime soddisfazioni del sacro ministero ci fanno sospirare il giorno in cui, appresa per bene la lingua del paese, potremo spingerci nei luoghi più interni e quasi selvaggi della Colonia, tra i Cunama ed i Mensa, e portare la buona novella a quei popoli che ancora vivono di paganesimo. Saranno allora paghi i nostri più fervidi desiderii, perchè speriamo che il buon Dio vorrà largamente benedire le nostre fatiche.