Il buon cuore - Anno X, n. 21 - 20 maggio 1911/Beneficenza

Beneficenza

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Il buon cuore - Anno X, n. 21 - 20 maggio 1911 Religione

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LA FESTA DELLE OVA

La sospirata festa si è felicemente compiuta nel fissato giorno 14 corrente.

Se fosse brillato nel cielo un sole splendido, se l’orizzonte fosse stato così puro e sereno, da rimovere ogni piccola nube, allontanando ogni preoccupazione, il concorso certo sarebbe stato maggiore. Ma se si pensa che il cielo ostinatamente plumbeo, poteva, da un momento all’altro, regalarci un acquazzone, e non l’ha fatto, c’è da rallegrarsi: anzi le poche goccioline che di tanto in tanto scendevano ed avvertivano del pericolo, diventavano una ragione di gioia: la poca acqua che veniva giù ci consolava col pensiero della molta che restava su.

Fino a mezza mattina, l’incertezza del tempo aveva tenuto dubbiosi se la festa si potesse fare all’aperto o al coperto: a mezzogiorno ogni dubbio era tolto: la si farà all’aperto, nel giardino, nei campi preparati.

Alle ore 2 già il pubblico comincia ad affluire. Nella prima corte a destra, dopo ricevuto il loro distintivo, i bambini si avviano al posto dei rispettivi colori, e formano i diversi gruppi. Furono formati subito sei gruppi di 25 bambini ciascuno: bisognava attendere prima di partire, che si formassero gli altri due gruppi; ma qualche gocciolina, che cominciò a farsi sentire, acuì il desiderio di recarsi subito nei campi, ed evitare il pericolo che per aspettare gli ultimi, fossero sorpresi dall’acqua anche i primi; e così la prima volata anticipò la sua partenza.

I sopravvenuti, formavano gli ultimi due gruppi della prima volata, mentre si formavano già i gruppi della seconda: l’entrata nel giardino fu quindi nel seguito un po’ saltuaria: fu un piccolo disordine, che non danneggiò l’esito finale: tutti i campi furono invasi successivamente dai bambini, complessivamente quasi cinquecento: quando la venuta di bambini nuovi verso le ore i6 parve cessata, e c’erano ancora molte ova in serbo, i bambini che avevano fatto la prima ricerca, desiderarono di farne una seconda: ciò che fu loro concesso pagando una piccola offerta di complemento. E così tutti i bambini poterono essere completamente soddisfatti.

Sfollati i campi, fu la gara di recarsi ai diversi divertimenti: la baracca dei burattini, attrasse e divertì moltissimo il pubblico piccolo e il pubblico grande.

Sull’enorme elefante, in grande gualdrappa, strascinato sotto i portici, si assidevano alternativamente diverse coppie di bambini, seguiti intorno intorno da numerose torme di aspiranti a succedere nel giro successivo. Fu un diversivo divertentissimo.

Pure divertente il gioco delle pignatte sospese, ripiene di dolci. Con un fazzoletto si bendavano gli occhi ai bambini, i quali, con un bastone in mano, dovevano indovinare a percotere una pignatta; e la pignatta battuta compensava il vincitore col versare i suoi doni. Alle volte il bastone batteva nel voto, e il compenso erano le risa degli astanti.

Gioco consimile era quello dei testoni. Percossi con una palla, piegavano il capo, e versavano dolci: non colpiti, stavano fissi, quasi a deridere il poco esperto giocatore.

Ma il divertimento che attrasse un Numero maggiore non solo di piccoli ma anche di grandi, fu il gioco dello skating. Fu eseguito nel grande salone. Isolati, a coppie, volavano i giocatori, si intrecciavano, si rincorrevano; era una ridda vertiginosa. I pattinatori erano stimolati a mostrare la loro bravura al pubblico che li stava ad osservare.

Intanto nel giardino una banda militare del VII Reggimento allietava colle sue armonie il pubblico accorso [p. 162 modifica]dal di fuori e il pubblico del di dentro, i ciechi: i ciechi, allontanati dal piano terreno, si erano ritirati al primo e secondo piano, e sporgevano le loro testoline dal vano delle finestre, pigiati come un grappolo di ciliegie. E quando il pezzo della banda era finito, col battere delle mani, coi loro evviva, prevenivano il pubblico, che, guardando in alto, restava a un tempo sorpreso e lieto di questa aggiunta di inaspettati spettatori.

Sotto i portici facevano intanto buoni affari il banco di vendita di ova speciali, di borsette; il banco delle cartoline postali, la lotteria di alcune ova di singolare pregio e bellezza, e una lotteria di una splendida bambola, dagli occhi moventi, regalo della marchesa Trotti, presidente del Comitato, che invano aveva desiderato di intervenire, impedita dalla salute ancor non ferma.

La buvette, a cui pensò la baronessa Leonino, largamente provveduta di dolci e bevande squisite, the, caffè, vini, conserve, fece un ottimo servizio.

Il gruppo presieduto dalla signora Denti, che attendeva alla lotteria, donò n. 3 belle ova a bomboniera, che facevano parte degli oggetti da guadagnarsi dalla lotteria stessa.

La signora contessa Giulini e le signore aderenti offersero le cartoline messe in vendita all’ufficio postale.

Tutte le signore capi-gruppo, colle loro numerose aderenti, si adoperarono colla maggior attenzione e diligenza, perchè tutto riuscisse bene, e la comunione del merito le avvolge tutte in un comune plauso di lode. Così pure ringraziamenti speciali meritano i signori preposti in diversi divertimenti, il principe Belgioioso, il conte Morlacchi, l’avv. Maggi.

Due persone vanno però particolarmente ricordate per l’opera importante da esse compiuta; l’una nel preparare la festa in tutti i suoi antecedenti, la Segretaria del Comitato, signorina Matelda Cajrati; l’altra nel preparare quanto era necessario pel giorno della festa nel giardino, e sotto i portici, nella doppia eventualità che la festa avesse luogo all’aperto o al coperto; eventualità che obbligò a numerosi ripieghi, mutabili ad ogni istante, ed è l’economo cassiere cav. Ghisi.

L’introito netto, non ancora precisato, supera le L. 4000.


L’estrazione dei biglietti vincenti alla lotteria delle ova più belle e della bambola offerta dalla marchesa Trotti, verrà fatta domenica, 21 corrente, alle ore 14, in una sala dell’Istituto dei Ciechi.

Chi desidera, può intervenire.

Finita l’estrazione, nel giardino dell’Asilo Infantile, avrà luogo la ricerca delle ova fatta dagli stessi bambini ciechi. Alcune signore vollero mettere da parte alcune ova del loro gruppo per farne dono ai bambini; e sarà;spettacolo commovente e gradito il vedere i piccoli bambini, quando, dopo breve ricerca in un piccolo spazio determinato, troveranno colle loro manine, l’ovo cercato, lo solleveranno in aria di trionfo, e aprendolo troveranno i dolci da confidare alla loro boccuccia.


Per l’Asilo Convitto Luigi Vitali poi bambini ciechi


Per la festa delle ova di Pasqua


Offerte in ova ed in oggetti.

Signora Rosa Da Vicini |||
 L. 50 —
Avv. Giuseppe Cesaris |||
   » 10 —
Augusto Braschi |||
   » 10 —
Carlo Sala |||
   » 10 —

Per la lotteria hanno offerto n. 3 ricchi vasi a bomboniera le signore: Denti Augusta, Magni Ester, Cesaris Adele, Allemanini Rosa, Maderna Giannina, Ghisi Iginia, Clerici Marina, Bussi Luigina.

CASA FAMIGLIA PER IMPIEGATE

Per merito della Presidente, marchesa Anna Visconti Casati, e della Direttrice signorina Maria Ghislandi, la Casa Famiglia per impiegate è passata in breve tempo dall’iniziativa ad uno sviluppo che può dirsi compiuto.

A tanto possono giungere i cuori generosi, sostenuti da una mente dotata di capacità comprensiva.

Cosi la Casa famiglia, per effettuare il suo programma, traslocherà in settembre, da via Moscova 70 a via Guerrazzi 3, dove i posti aumenteranno da 12 a 30, in locali prospicienti il Parco, con tutti i comodi moderni, bagni, doccie, ecc., e trattamento veramente famigliare, con pensioni a seconda delle camere a un letto, a due o a tre.

Si va incontro a non indifferenti spese per l’impianto; ma la Presidente, incoraggiata dall’ottima prova, affronta tutto serenamente, tanto più in questi giorni, avendo ricevuto offerte spontanee, tra le quali una di lire trecento da ignoti benefattori.

Ecco l’ultimo elenco delle elargizioni:

Somma retro L. 8656 16

N. N. N |||
   » 300 ―
Monte di Pietà |||
   » 200 ―
Rachele Magister |||
   » 10 ―
Prof. rag. P. Pavesi |||
   » 10 ―
Ida Luraschi |||
   » 5 ―
Avanzo esercizio aprile |||
   » 150 84
Totale L. 9332 00


DON PAOLO ALBERA

Domenica 7 nel pomeriggio, mi sono recato per visitare il nuovo tempio, dedicato a S. Agostino, che è come il prolungamento finale della prodigiosa attività dei salesiani. Debbo alla squisita gentilezza di don Saluzzo la presentazione a monsignor Brioschi, arcivescovo di Cartagena, il quale, in una conversazione interessantissima, mi tracciò un quadro fedelissimo delle minuscole repubbliche sud americane, non omettendo di descrivere le vicende poco liete che gli occorsero recentemente nel suo apostolato. Non mi soffermo alla narrazione dell’intrepido prelato, narrazione che pure interesserebbe per molti lati i nostri lettori. Noto [p. 163 modifica]soltanto, che il mio occhio andava cercando, tra lo stuolo di sacerdoti che pendevano dal labbro dell’arcivescovo di Cartagena, il successore di don Rua e di don Bosco, colui che presiede all’opera dei salesiani, diffusi ormai dall’uno all’altro mare. Mi si era detto che don Paolo Albera era del bel numero uno, e la fantasia se lo immaginava aitante della persona, sostenuto, all’altezza, anche fisicamente, della situazione. Siamo così fatti che abbiamo sempre bisogno di prestare a qualche personalità le phisique de son role. Don Paolo Albera è invece di statura media, nel pieno vigore delle sue forze, d’aspetto umile, modesto, che tradisce subito la scuola alla quale venne allevato. Ha poi un sorriso dolcissimo che attrae, che invita ad aver fiducia in lui. Me lo raffiguravo diversamente, ma mentre egli mi parla e mi seduce con una nota di dolcezza squisita, sento che il successore di don Rua è superiore a quanto io m’era immaginato, e che la sua grandezza è fatta di umiltà cristiana. Nessun gesto, nessuna posa, nessun parolone altisonante atto ad impressionare le persone che per la prima volta si avvicinano, ma un’aura di santità che vi avvince, una parola serena, senza pretese, che va a ricercarvi le più recondite fibre del cuore. Incomincia con un elogio a Milano, alla generosità dei milanesi, alla quale non si fa mai appello indarno. Da sedici anni i salesiani hanno portato le loro tende nella nostra città e l’immenso fabbricato, tutto attesta il magnifico cuore dei milanesi. Mancava un tempio, dedicato a S. Agostino, ed ecco che questo pure è sorto in quartiere popolare. S. Ambrogio chiama Agostino, e tutti e due questi santi sono conquistatori. Noi abbiamo bisogno di nuove conquiste. Sono le piccole offerte, dei poveri, degli umili, quelle che hanno permesso che la chiesa di S. Agostino venisse aperta al pubblico. Se non si fosse posto mente ai vantaggi del quartiere, sarebbe stato miglior consiglio attendere qualche tempo ancora prima di aprirla al pubblico. Non si dirà adesso: Vi si celebrano gli uffici divini, dunque è finita? Lo sforzo ultimo è stato fatto? No, la chiesa non è finita. Noi abbiamo bisogno di far nuovamente appello alla generosità dei fedeli, agli umili, come ai più facoltosi. Sono pienamente persuaso che le nostre speranze non saranno deluse. E passiamo ad altro argomento. Don Paolo Albera ha esercitato il suo apostolato in Liguria, in Francia per ben undici anni, nel Belgio, nell’Inghilterra, nelle due Americhe, in dodici repubbliche, apostolo d’educazione popolare, in mezzo ai nostri emigranti, in Argentina, nel Brasile. Il pretino modesto che ascoltava, senza batter palpebra, l’arcivescovo di Cartagena, ha vissuto sotto altri cieli, ha viste le situazioni più opposte, ha un’idea larga del mondo, non è circoscritto a un quartiere, a una frontiera, a una nazione, è un’aquila che spazia liberamente ed abbraccia la realtà multiforme. L’aquila del pensiero rimane sempre la colomba per quel non so che di umile che si rivela anche nei più alti voli.

Faccio cadere il discorso sulle opere dei salesiani in Oriente. Il mio interlocutore mi fa tosto con rispetto ed onore due nomi: quello dello Schiaparelli e del nobile Carlo Bassi. S’accalora parlandomi dell’Associazione nazionale per la protezione dei missionari cattolici. Comprendo perfettamente che il cuore di un apostolo batte più forte quando il pensiero corre là dove possiamo recare la bandiera di conquista. L’Oriente suscita sempre delle emozioni profonde, dolcissime. Don Paolo Albera mi parla con vero entusiasmo delle scuole commerciali che i salesiani hanno fondate a Smirne, scuole che hanno valore legale, conferiscono titoli riconosciuti. E da Smirne a Giaffa, a Gerusalemme, Betlemme, Alessandria d’Egitto, voi trovate ovunque le vestigia dell’attività dei salesiani. Si andrà in Mesopotamia. Il mondo è largo e l’ardore dei figli di don Bosco non è meno grande. Mentre prendo qualche nota, penso che l’umile sacerdote, col quale converso, è in relazione diretta, presiede a questo movimento universale, abbandonato alle sole risorsi della Divina Provvidenza. Siamo abituati a contemplare questo fenomeno del sopranaturale in atto, ma ci sono dei momenti in cui si resta abbacinati. Un’intuizione più profonda dà delle sensazioni che si possono provare, ma non descrivere.

Parlando con uomini di fede, che non vivono se non in un’atmosfera di sopranaturale, una scorreria attraverso il campo politico ci può sembrare una profanazione. E tuttavia questi mistici sono anche i più realisti. Guardando al cielo non dimenticano il pianeta nel quale si svolge il loro apostolato.

— Le vostre Case in Oriente sotto quale bandiera sono poste?

— Sotto la bandiera nazionale italiana. Noi dipendiamo dall’Associazione nazionale per la protezione dei missionari cattolici. I francesi hanno molti mezzi. Essi vanno fieri del loro protettorato ormai tradizionale, e fanno bene; ma noi ci occupiamo dei nostri connazionali, cercando il loro maggior bene.

E nell’accento del successore di don Bosco non traspira alcun sentimento che non sia elevato. Rende omaggio all’apostolato dei francesi, ma corre là dove ci sono i nostri connazionali. L’amor patrio si confonde, s’integra col dovere religioso a vantaggio di coloro che parlano la nostra favella. E nessuna declamazione a questo riguardo. Il patriottismo vero non è un fiore che presupponga il male del patriottismo altrui. Fanno bene i francesi, ad onta di tutto ciò che avviene in patria, a tener alto il protettorato in Oriente, ed in Estremo Oriente, per quanto sta da loro. Dal canto loro i figli d’Italia non possono dimenticare la patria diletta.

Don Paolo Albera è partito per Genova. Da Genova a Trieste, da Trieste a Barcellona, ovunque aspettato come s’aspetta un padre, ovunque ridestando delle energie nuove, suscitando ammirazione ed affetto come a Milano che non vuol essere dimenticata.

(e. v.)

Lunedì 8, alle 15, il rettore maggiore dei Salesiani don Albera tenne, nella grande sala a pianterreno delle Suore del Cenacolo, l’annunciata conferenza alle cooperatrici. Nonostante il tempo inclemente, il concorso fu grande, di una folla veramente eletta. Don Albera ringraziò sentitamente delle prove continue di generoso [p. 164 modifica]affetto che Milano dà verso le opere salesiane, e raccomandò vivamente il compimento del tempio di S. Agostino che tanto stava a cuore già del venerato suo predecessore don Rua.

La sera alle 18,30 nell’istituto di S. Ambrogio attorno a don Albera si raccoglievano in agape fraterna i rappresentanti dei cooperatori milanesi: una splendida manifestazione in onore del secondo successore di don Bosco. Presero la parola, ricordando le benemerenze dei figli di don Bosco ed esprimendo i più profondi e fervidi auguri, mons. Balconi presidente del comitato salesiano cittadino, mons. Locatelli, prevosto di S. Stefano, mons. Montonati, il consigliere comunale Cavazzoni, mons. Brioschi vescovo di Cartagena; don Albera rispose a tutti assicurando di gratitudine perenne ed anche in questa circostanza auspicando al giorno in cui la chiesa di S. Agostino sia condotta a termine.