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IL BUON CUORE 163


tanto, che il mio occhio andava cercando, tra lo stuolo di sacerdoti che pendevano dal labbro dell’arcivescovo di Cartagena, il successore di don Rua e di don Bosco, colui che presiede all’opera dei salesiani, diffusi ormai dall’uno all’altro mare. Mi si era detto che don Paolo Albera era del bel numero uno, e la fantasia se lo immaginava aitante della persona, sostenuto, all’altezza, anche fisicamente, della situazione. Siamo così fatti che abbiamo sempre bisogno di prestare a qualche personalità le phisique de son role. Don Paolo Albera è invece di statura media, nel pieno vigore delle sue forze, d’aspetto umile, modesto, che tradisce subito la scuola alla quale venne allevato. Ha poi un sorriso dolcissimo che attrae, che invita ad aver fiducia in lui. Me lo raffiguravo diversamente, ma mentre egli mi parla e mi seduce con una nota di dolcezza squisita, sento che il successore di don Rua è superiore a quanto io m’era immaginato, e che la sua grandezza è fatta di umiltà cristiana. Nessun gesto, nessuna posa, nessun parolone altisonante atto ad impressionare le persone che per la prima volta si avvicinano, ma un’aura di santità che vi avvince, una parola serena, senza pretese, che va a ricercarvi le più recondite fibre del cuore. Incomincia con un elogio a Milano, alla generosità dei milanesi, alla quale non si fa mai appello indarno. Da sedici anni i salesiani hanno portato le loro tende nella nostra città e l’immenso fabbricato, tutto attesta il magnifico cuore dei milanesi. Mancava un tempio, dedicato a S. Agostino, ed ecco che questo pure è sorto in quartiere popolare. S. Ambrogio chiama Agostino, e tutti e due questi santi sono conquistatori. Noi abbiamo bisogno di nuove conquiste. Sono le piccole offerte, dei poveri, degli umili, quelle che hanno permesso che la chiesa di S. Agostino venisse aperta al pubblico. Se non si fosse posto mente ai vantaggi del quartiere, sarebbe stato miglior consiglio attendere qualche tempo ancora prima di aprirla al pubblico. Non si dirà adesso: Vi si celebrano gli uffici divini, dunque è finita? Lo sforzo ultimo è stato fatto? No, la chiesa non è finita. Noi abbiamo bisogno di far nuovamente appello alla generosità dei fedeli, agli umili, come ai più facoltosi. Sono pienamente persuaso che le nostre speranze non saranno deluse. E passiamo ad altro argomento. Don Paolo Albera ha esercitato il suo apostolato in Liguria, in Francia per ben undici anni, nel Belgio, nell’inghilterra, nelle due Americhe, in dodici repubbliche, apostolo d’educazione popolare, in mezzo ai nostri emigranti, in Argentina, nel Brasile. Il pretino modesto che ascoltava, senza batter palpebra, l’arcivescovo di Cartagena, ha vissuto sotto altri cieli, ha viste le situazioni più opposte, ha un’idea larga del mondo, non è circoscritto a un quartiere, a una frontiera, a una nazione, è un’aquila che spazia liberamente ed abbraccia la realtà multiforme. L’aquila del pensiero rimane sempre la colomba per quel non so che di umile che si rivela anche nei più alti voli. Faccio cadere il discorso sulle opere dei salesiani in Oriente. Il mio interlocutore mi fa tosto con rispetto ed onore due nomi: quello dello Schiaparelli e del nobile Carlo Bassi. S’accalora parlandomi dell’Associazione
nazionale per la protezione dei missionari cattolici. Comprendo perfettamente che il cuore di un apostolo batte più forte quando il pensiero corre là dove possiamo recare la bandiera di conquista. L’Oriente suscita sempre delle emozioni profonde, dolcissime. Don Paolo Albera mi parla con vero entusiasmo delle scuole commerciali che i salesiani hanno fondate a Smirne, scuole che hanno valore legale, conferiscono titoli riconosciuti. E da Smirne a Giaffa, a Gerusalemme, Betlemme, Alessandria d’Egitto, voi trovate ovunque le vestigia dell’attività dei salesiani. Si andrà in Mesopotamia. Il mondo è largo e l’ardore dei figli di don Bosco non è meno grande. Mentre prendo qualche nota, penso che l’umile sacerdote, col quale converso, è in relazione diretta, presiede a questo movimento universale, abbandonato alle sole risorsi della Divina Provvidenza. Siamo abituati a contemplare questo fenomeno del sopranaturale in atto, ma ci sono dei momenti in cui si resta abbacinati. Un’intuizione più profonda dà delle sensazioni che si possono provare, ma non descrivere.

Parlando con uomini di fede, che non vivono se non in un’atmosfera di sopranaturale, una scorreria attraverso il campo politico ci può sembrare una profanazione. E tuttavia questi mistici sono anche i più realisti. Guardando al cielo non dimenticano il pianeta nel quale si svolge il loro apostolato.

— Le vostre Case in Oriente sotto quale bandiera sono poste?

— Sotto la bandiera nazionale italiana. Noi dipendiamo dall’Associazione nazionale per la protezione dei missionari cattolici. I francesi hanno molti mezzi. Essi vanno fieri del loro protettorato ormai tradizionale, e fanno bene; ma noi ci occupiamo dei nostri connazionali, cercando il loro maggior bene.

E nell’accento del successore di don Bosco non traspira alcun sentimento che non sia elevato. Rende omaggio all’apostolato dei francesi, ma corre là dove ci sono i nostri connazionali. L’amor patrio si confonde, s’integra col dovere religioso a vantaggio di coloro che parlano la nostra favella. E nessuna declamazione a questo riguardo. Il patriottismo vero non è un fiore che presupponga il male del patriottismo altrui. Fanno bene i francesi, ad onta di tutto ciò che avviene in patria, a tener alto il protettorato in Oriente, ed in Estremo Oriente, per quanto sta da loro. Dal canto loro i figli d’Italia non possono dimenticare la patria diletta.

Don Paolo Albera è partito per Genova. Da Genova a Trieste, da Trieste a Barcellona, ovunque aspettato come s’aspetta un padre, ovunque ridestando delle energie nuove, suscitando ammirazione ed affetto come a Milano che non vuol essere dimenticata.

(e. v.)

Lunedì 8, alle 15, il rettore maggiore dei Salesiani don Albera tenne, nella grande sala a pianterreno delle Suore del Cenacolo, l’annunciata conferenza alle cooperatrici. Nonostante il tempo inclemente, il concorso fu grande, di una folla veramente eletta. Don Albera ringraziò sentitamente delle prove continue di generoso