Il buon cuore - Anno X, n. 15 - 8 aprile 1911/Educazione ed Istruzione

Educazione ed Istruzione

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LA FUGA DELLE GRAZIE MINORI



Le antiche Grazie, quelle che suscitavano inni ai poeti, e facevano fare di gran belle statue agli scultori, avevan delle sorelle minori, meno celebri, meno ammirate, meno atte a suscitare la figurazione plastica di un simbolo, che umilmente si contentavano di stare sempre fra gli uomini, e meglio fra le donne, senza ascendere quasi mai nell’olimpica coorte. Esse non s’eran trovate mai a litigarsi il premio di Paride, ed eran perciò più gaie, più socievoli e più fraterne. E gli umani godevano della loro compagnia, che spesso si dimenticavano che erano dee anch’esse e le trattavano un po’ troppo all’amichevole.

Ma di questo non si lamentavano le buone Grazie minori, chè anzi, nella loro leggiadra umiltà tenevan cara questa dimestichezza. Senonchè col tempo la confidenza si andò trasformando in trascuranza vera e propria, e quelle che non avevan fatto mai pesare sui propri amici della terra, la loro origine più alta, si videro sopraffatte, dimenticate. Combatterono un poco con gli eventi, cercarono fronteggiare la corrente contraria, videro venire da plaghe meno belle di quelle da cui esse eran discese, nuove dominatrici, ed allora esse si ritirarono in silenzio; e sì piano fu il loro passo, che nessuno si accorse della loro dipartita.

Però anche ora, di tanto in tanto, qualcuno, cui farebbe comodo di averle ancora vicine, le va alacremente richiamando con la sicurezza che si sian nascoste ma che sian tuttavia pronte a rispondere all’appello tardivo di ogni smemorato ravveduto. Ma il richiamo [p. 118 modifica]suona a vuoto, o tutt’al più taluna di loro fa di lontano, fra un velo di nebbia che quasi ne ascende la snella persona, un tacito segno di saluto; mentre di qua, fra quelli stessi che le hanno allontanate si brontola e si sbraita per questa inattesa defezione.

Le Grazie minori che hanno abbandonato, o stan per abbandonare la nostra società (così colta, così intellettuale in questa fervida alba del secolo ventesimo!) sono parecchie; e basta che interroghiate in proposito qualche dama che abbia visto sorgere e maturare il suo terzo ventennio perchè ve ne citi almeno una dozzina. V’erano ai suoi tempi, ella vi dirà, una leggiadra Grazia che presiedeva ai banchetti famigliari, da quelli di matrimonio, e quelli di fin d’anno, che ora invece s’imbandiscono negli Hôtels ove l’antica (non vecchia) Grazia modesta non può essere ammessa perchè con la sua semplice veste dimessa non vi potrebbe davvero far buona figura. Vi era un’altra piccola Grazia deliziosa che sapeva poco d’ortografia, ma che era capace di ripetere a memoria interi romanzi e poesie intere tutte sentimentali e che dettava alle donne le loro più belle epistole. V’era una Grazia che si chiamava Cortesia la quale entrava un po’ per tutto e molto spesso i cavalieri se la prendevano sotto braccio, quando volevano aver buona fortuna in una sala, o in una qualsiasi riunione, e non era neppure raro il caso che la tenessero sempre seco, fin nella propria casa, ove par si difficile famigliarizzare con la Cortesia; e v’era — apprezzatissima fra tutte — la Grazia che presiedeva alle conversazioni; ed ahimè! anch’essa, benchè meno sensibilmente delle altre, ha finito per ecclissarsi a poco a poco.

Che ai nostri tempi si chiacchieri meno di quel che si facesse nei trascorsi, io non oserei affermare; certo non si conversa diversamente. La scomparsa dell’antica divinità proteggitrice non ha distrutto naturalmente la cosa su cui la protezione si esercitava; soltanto essa non è più rivestita di quella stessa luce.

Può anche darsi che le venga da altra lucida fonte, nel presente o dell’avvenire una luce nuova, ma non sarà più quella della discreta Grazia detronizzata.

Senza dubbio (è tempo di uscir di metafora) l’arte della conversazione è quasi sconosciuta e punto ricercata dalla nostra giovane generazione; e secondo che afferma un brillante scrittore francese, M. H. de Gallier, che ha scritto sull’argomento una lunga serie di articoli, il fenomeno della rapida decadenza non si riscontra in questa, più che in quella nazione, ma è universale.

— La conversazione — pensa il signor de Gallier, cui son famigliari le memorie del passato ch’egli è andato ricostruendo attraverso gli epistolari più o meno celebri, che minutamente narrano come si svolgesse la vita mondana nei suoi tempi migliori, la conversazione è frutto della sociabilità, ma non e detto che la sociabilità cresca in ragion diretta dalla civiltà.

Ora noi siamo più civili, o per lo meno più civilizzati dei nostri avi del secolo XVII e XVIII, ma non siamo certo più socievoli.

Non vi può essere arte della conversazione ove non siano donne, ma ora anche le donne hanno preso il gusto e il tono delle riunioni serie, almeno nell’intenzione e spesso riservate soltanto al loro sesso gentile.

Quegli uomini e quelle donne che facevano della conversazione un’arte e di certi saloni i ritrovi più graditi che si potessero immaginare da una mente colta, da un’anima fine, non si prefiggevano mai di trattare un tema prestabilito, non preparavano le loro obbiezioni e le loro osservazioni spiritose. Tutto doveva sorgere spontaneamente. Quando la conversazione non prendeva da sè una piega simpatica, o accennava a languire, la padrona di casa doveva conoscer l’arte di «gettare il gomitolo» come si usava dire con espressione francese, cioè a dire, toccare, senza aver l’aria di darvi una grande importanza, un soggetto che desse molto filo o da svolgere o da dipanare, o magari.... da torcere, ai conversanti. Spesse volte avveniva che il primo gomitolo non si lasciasse facilmente prendere per il bandolo buono, e allora la signora dopo avere rapidamente studiato l’ambiente, e tenuto conto delle speciali attitudini delle varie abilità dei suoi ospiti, gettava il secondo gomitolo, e magari il terzo fino a che la conversazione non divenisse tutto uno scintillio di frasi incrociate, di motti di spirito, di osservazioni argute.

Era questa una ginnastica dello spirito meravigliosa che non di rado faceva sprizzare dall’attrito di opinioni diverse, combattenti fra loro con le armi più cortesi, veri lampi di genio.

Di più i grandi causeurs del XVII e del XVIII secolo reputavano come stretto loro dovere di esprimersi in una forma chiara, elegante, precisa; sfuggendo ogni termine tecnico, ogni esposizione arida o cattedratica.

Ciò non ostante tutti i soggetti di conversazione erano ammessi, seri od umoristici che fossero, profondi o sentimentali, purchè fossero trattati con grazia, o quasi con raffinata acutezza. Talora nei salotti più aristocratici più intellettuali, venivano ammesse persone di umile condizione e di maniere rudi, purchè avessero fama di grande intelligenza e d’inesauribile spirito. Così Voiture di nascita più che modesta, e che aveva fama di essere irruento e concitato nel suo conversare, era tuttavia ricercato per la sua mirabile arguzia. Ed era considerato come primo dei doveri di ogni frequentatore di salotti intellettuali (allora però questa parola non si usava) di nascondere la propria dottrina sotto la più amabile semplicità. Molte padrone di casa erano così timorose di diminuire lo charme della conversazione inframmettendola con altri svaghi, e di interromperne i! vivido fluire, che abolivano inesorabilmente dalla propria casa ogni trattenimento musicale, e perfino le carte e gli altri giuochi che potessero distrarre gli ospiti. Talora queste padrone di casa che giungevano a raggiungere la perfezione nel dirigere le conversazioni nei propri salotti, non erano dotate nè di grande coltura, nè di bellezza. Talora neppure di squisita eleganza. Si racconta che M.me Geoffrin, sposa di un borghese ricco ignorante, sprovvista di avvenenza, istruita.... secondo le abitudini del tempo, fu per lunghi anni una vera regina della società. I grands seigneurs, e le più superbe dame di corte non disdegnavano di accorrere ai suoi ricevimenti (senza buffet!) tanto essi riuscivano geniali [p. 119 modifica]e piacevoli. E potremmo citare molti altri esempi del genere; ma è forse più opportuno chiederci: Come sono scomparse queste amabili usanze?

La prima risposta che ricorre al pensiero è questa: Noi abbiamo meno tempo dei nostri avi e delle nostre avole da dedicare alla conversazione. Ma la ragione per quanto plausibile non è sufficiente. Ve ne sono altre più complesse e meno lusinghiere per la nostra strabiliante attività. Noi abbiamo a poco a poco mutato la conversazione in una serie di conferenze, snaturando perfino la significazione del nome che viene dal conferire non certo con un personaggio muto, per quanto collettivo quale è il pubblico. Il motto di spirito, l’idea geniale, la piacevole dimostrazione di un enunciato filosofico che si svolgeva limpida e fresca come un rivolo montano, erano una volta destinati a mischiarsi, a confondersi nel gurgite policromo delle osservazioni delle idee altrettanto geniali degli altri. I parlatori più eleganti si contentavano di divertirsi e divertire con la nutrita scherma della parola, diretta quasi inavvertitamente da una piccola mano di donna. Ora tutti hanno cose così gravi, così importanti da dire che non si contentan più di ’affidare i loro profondi pensieri alle ali di libellula della Grazia gentile che pi esiedeva agli antichi conversari. Anche le donne hanno cose così serie da comunicarsi adesso che debbono prestabilire il tema delle loro conversazioni; e gli uomini quando frequentano i saloni lo fanno più o meno per dare la caccia alla chance di leggere o meglio di autoleggere poemi e drammi che condannano volenti o nolenti gli ascoltatori al silenzio. Ed avviene talora che proprio in uno di questi silenzi forzati qualcuno si accorga della scomparsa, o per lo meno del tramonto di quelle Dee Minori che un giorno rendevano più gaia la vita.

Miss Lorey.


La moda nel 1911



Si è tanto parlato di «Moda italiana....» Ma ove si nasconde?... Non si vedono che modelli parigini in Italia! Le signore sono vestite quasi tutte sullo stesso stampo e pur troppo raramente si incontra un’espressione di gusto personale nell’acconciatura muliebre.

In un tempo in cui l’individualismo è in molti rispetti morali diventato egoismo, non c’è alcun individualismo nell’abito. In un tempo di ribellione e di libertà la schiavitù della moda è più tiranna che mai. — Perchè, mentre ci occupiamo a render belle le nostre città, a raccogliere e studiare tele e oggetti d’arte nei nostri Musei, a dedicare il nostro lavoro al trionfo della Bellezza, noi accettiamo dalla nostra sorella latina quello che essa stessa deplora?

Ecco una pagina d’ieri che ci arriva appunto da Parigi:

Dal periodico Les Annales (2 aprile 1911):

Le belle parigine sanno dunque che stanno per compiere una cattiva azione? Le loro fantasie scapigliate, le loro idee barocche stanno per togliere a noi francesi il monopolio del gusto che era una nostra marca. Tutti i paesi del mondo (è un fatto riconosciuto) si ispirano alla moda. parigina. Ed è giustamente una delle forze della nostra industria: i modelli delle grandi case di moda, si pagano a prezzo d’oro.

I committenti sono tanto spaventati della brutta eccentricità delle nostre mode che sono esitanti per gli acquisti.... Come sapere se le gonne ridicole terminate a foggia di calzoni, aprendosi con un taglio biricchino sulla gamba, saranno ancora apprezzate quando il modello giungerà a destinazione?

Nel dubbio, essi non le acquistano, e la nostra bella industria della moda che faceva vivere migliaia di operaie, subisce una crisi.

«Ben fatto» diranno i malcontenti.

Ma i ben-pensanti esclameranno:

«Peccato!»

Io credo che mai noi abbiamo attraversato un’epoca in cui la moda fosse così decisamente brutta. Pare che agli abiti manchi sempre la stoffa e che si abbia versato lagrime per riuscire a trovare in alcuni centimetri di seta o di lana, il necessario per confezionare una toilette. E si può altresì soggiungere che non se ne trovò a sufficienza! La mostra di destra non è uguale di tinta a quella di sinistra: la parte inferiore della gonna è attraversata da una striscia affatto diversa che non si sa perchè vi si trovi o quali misfatti nasconda. È il trionfo del racconciare, dell’arlecchinata, del rattoppare!

A un tratto, ecco una piccola coda di raso escire fra le gambe. D’onde viene? Mistero! Non ha nulla a vedere colla toilette. Oppure dei veli vaporosi si aprono su che cosa? Su nulla.... Si potrebbe giurare che la stoffa è mancata. No, voi vi ingannate: è per lasciarvi vedere un piede che vi sembra enorme.

I grandi faiseurs sono costernati. La Jupe-Culotte si è rifugiata nei magazzini di novità; ma poichè le signore eleganti non sanno bene ove la moda possa giungere, limitano le ordinazioni, e i forestieri non fanno acquisti.

Non è possibile che una donna trovi belle le elucubrazioni esasperanti della moderna sartoria. E perchè allora non si dice:

«Questo è brutto: io non lo metterò.... Voglio essere vestita a mio gusto e non secondo la follia d’oggidì?»

E, ragionando in tal modo, le signore agirebbero bene, poichè noi stiamo per perdere lo scettro del buon gusto.

Domandate ai committenti — i quali generalmente fanno da noi acquisti per dei milioni — domandate loro ciò che pensano o piuttosto cercate di guardare senza ridere un giornale di mode di ieri. Non lo potrete. I nostri nipoti si burleranno di noi davanti ai brani di stoffa e alle abbreviature che noi portiamo a foggia d’abito e che illustrano i nostri periodici.

Una buona reazione! Ne è tempo!

Cousine Françoise.




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