Il buon cuore - Anno X, n. 11 - 11 marzo 1911/Educazione ed Istruzione

Educazione ed Istruzione

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Il buon cuore - Anno X, n. 11 - 11 marzo 1911 Beneficenza

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ANTONIO FOGAZZARO

L’annuncio della morte di Antonio Fogazzaro ha suscitato dovunque un sincero e profondo rimpianto. A nulla son valse le cure più affettuose; a nulla l’ardimentosa operazione chirurgica imposta dalle gravi condizioni dell’illustre Uomo.

Certo l’anima nobile e buona del grande scrittore gode già la beata visione di quei sublimi veri ai quali anelò tutta la vita, con tutte le forze del suo ingegno, con tutti gli slanci del suo cuore, con tutte le sue opere ispirate ai più alti obbiettivi.

Poeta, romanziere, patriota, artista, innamorato del gran libro della natura, Antonio Fogazzaro fu largamente ammirato per i suoi lavori letterari e fu anche amatissimo per la sua umiltà, per la sua schiettezza, per la sua gentilezza squisita.

Nato a Vicenza il 25 marzo 1842, egli fu degno discepolo dell’abate Zanella, il quale si compiaceva di paragonare il suo Fogazzaro a un bel marmo antico su cui fosse passato l’appassionato soffio d’un’anima moderna.

L’opera letteraria di Antonio Fogazzaro ha giovato certamente — come ritengono molte madri — a trattenere nella via retta tanti e tanti giovani, i quali, fuorviati dalle passioni, hanno sentito risorgere in sè stessi, col rispetto al grande psicologo, la propria dignità personale.

Tutta l’opera fogazzariana rivela un sentimento profondo della natura, una sensibilità particolare, una specialissima caratteristica personale. A fatica il Fogazzaro moderava nello scrivere il fuoco della sua anima, e malgrado i suoi sforzi, egli non riusciva a nascondere totalmente il conflitto delle passioni che lo avevano talvolta messo a dura prova, e dal suo cuore che aveva sofferto, dalla sua mente che aveva studiato sul vero, uscivano per esser plasmati con mano maestra quei personaggi che in quest’ora di dolore passano come in un cinematografo dinanzi agli occhi di migliaia e migliaia di ammiratori dell’autore di Daniele Cortis e di Piccolo Mondo Antico.

Educato da genitori di mente eletta, il Fogazzaro, nella sua giovinezza, aveva manifestato anche propensioni speciali per la musica; ma visto che suo padre non era tanto favorevole all’idea di vederlo percorrere la carriera d’un maestro compositore, egli seguì la via in cui si sentiva maggiormente sospinto.

A 21 anni pubblicava i suoi primi versi col titolo: Una ricordanza del lago di Como. Seguirono: Albo veneziano, Najadi, La tua nuova casa, Miranda, Il pellegrino del mare, Valsolda, Versi pel VII centenario della battaglia di Legnano, Profumo, Malombra, Daniele Cortis, Il mistero del poeta, Piccolo mondo antico, Le ascensioni umane, Piccolo mondo moderno, Il Santo, e, infine, Leila.

Una infinità di lavori minori, perchè riservati all’ambiente famigliare, o perchè riservati ad accademie, a istituti di educazione, al consiglio superiore dell’istruzione, ecc., andarono dispersi e sono conosciuti da pochissimi. Citiamo a memoria: Un’opinione di A. Manzoni, Giacomo Zanella, Religione e patria, Fedele ed altri racconti, La figura di Antonio Rosmini.

Quest’ultimo lavoro fu ideato dal Fogazzaro in occasione delle feste di Rovereto per il primo centenario della nascita del grande Filosofo roveretano. Per ispirarsi in ambiente veramente rosminiano, il grande scrittore si ritirò alcune settimane al Calvario di Domodossola, e là, tra le parlanti memorie del Fondatore dell’Istituto della Carità, scrisse quelle mirabili pagine nelle quali la figura di Antonio Rosmini è presentata in tutti i suoi splendori di filosofo, di asceta, di benefattore e d’illuminato patriota.

Non mancò di poi il Fogazzaro alle feste di Rovereto, dove noi ebbimo la fortuna di avvicinarlo tre giorni di seguito e di ammirarlo nelle manifestazioni [p. 82 modifica]del suo ingegno fulgidissimo, e soprattutto in quelle della sua candida bontà.

Ricordiamo pure con animo commosso l’efficace impulso del Fogazzaro alla istituzione dell’opera ideata da Mons. Bonomelli per l’assistenza degli operai italiani all’estero, e rievochiamo un brano del discorso che sull’importante problema, l’autore di Piccolo mondo antico pronunciava in Cremona il 19 maggio 1900:

«Quando l’inverno scorso, a Venezia, io vidi convenire liberamente in un alto consenso cristiano e civile, da regioni diverse della patria nostra, uomini di cattedra, uomini di toga, uomini di penna, uomini di spada, membri del Parlamento, artisti e agricoltori, associati per soccorrere i missionari cattolici italiani; quando, udito nella parola semplice e lucida del relatore come un suono lontano di cento opere avviate con la Croce e per la Croce in quell’Oriente che ricorda il ferro, l’oro e il grido dei nostri padri, fu proposto che un’opera nuova di carità religiosa e patria si fondasse: quando voi Monsignore, non presente, ne foste acclamato a futuro capo, io sentii con gioia vibrar nella sala e scuoter le anime un divino spirito di giovinezza e di vita. Certo, signori, vi era in me allora una allegrezza italiana, ma sopra il sentimento nazionale, angusto al paragone e mutabile, il mio sentimento cristiano e cattolico ardeva di rinnovata fede della eterna energia vitale infusa nelle viscere della Chiesa dall’invisibile suo Capo, lampeggiante al cenno di Lui, perenne fonte di luminosi ringiovanimenti del cattolicismo in faccia agli avversari che gli contano le residue ore di vita.»

La più grande manifestazione della bontà e della fede di Antonio Fogazzaro si ebbe attraverso le vicissitudini del Santo, il quale, lodato da molti, discusso da moltissimi e assalito da penne violente, fu infine messo all’Indice. Il Fogazzaro, allora, da credente convinto, da cristiano cattolico, da scrittore rispettoso dell’Autorità costituita, fece nobile sommissione al decreto di condanna, e se il suo cuore sofferse atrocemente in quei momenti dolorosi per le false interpretazioni di scrittori e di oratori in mala fede, le sue labbra non pronunciarono un lamento e la sua penna si ritemprò nel proposito di far conoscere il suo sentimento con un nuovo romanzo, che pur troppo doveva essere il suo ultimo lavoro.

Venne così la Leila con la Donna Fedele, col Massimo, col Don Aurelio, il quale così parlò nel dare l’estremo addio al Santo:

«Udite. Quest’uomo ha molto parlato di religione, di fede e di opere. Non Pontefice sentenziante dalla cattedra, non profeta, ha potuto, molto parlando, molto errare, ha potuto esprimere proposizioni e concetti che l’Autorità della Chiesa avrebbe ragione di respingere. Il vero carattere dell’azione sua non fu di agitare questioni teologiche nelle quali potè mettere il piede in fallo; fu il richiamo dei credenti di ogni ordine e stato allo spirito del Vangelo, fu la determinazione del valore religioso di questo spirito incarnato nella vita, nei sentimenti e nelle opere degli uomini. Egli proclamò sempre il suo fedele ossequio all’Autorità della Chiesa, alla Santa Sede del Pontefice Romano. Vivente, si glorierebbe di offrirne la prova e l’esempio al mondo. È nel nome suo che io lo affermo! Egli seppe che il mondo disprezza l’obbedienza religiosa come una viltà. Egli ha disprezzato alla sua volta, fieramente, i disprezzi del mondo, il quale glorifica l’obbedienza militare e i sacrifici che impone, benchè l’autorità militare sia assistita da carceri e manette, da polvere e piombo; e l’autorità religiosa da niente di tutto ciò. Nulla egli amò sulla terra quanto la Chiesa. Pensando alla Chiesa, si paragonava alla menoma pietra del più gran tempio, che, se avesse anima, si glorierebbe di essere una cosa coll’edificio colossale, di venirne in ogni senso compressa....»

E qui non finisce la sublime apologia del Santo, che vorrebbe anche essere una riparazione; sì, una riparazione che rappresenta in tutta la sua elevatezza l’anima bella di Antonio Fogazzaro.

Angelo Maria Cornelio.


L’illustre Vescovo Mons. Bonomelli ha avuto la soddisfazione di confortare il Fogazzaro colla sua benedizione e colla sua parola paterna.

S. M. il Re d’Italia e S. M. la Regina Madre hanno espresso con affettuosi telegrammi le più sentite condoglianze alla famiglia Fogazzaro.

Il nuovo vescovo di Vicenza, monsignor Ferdinando Rodolfi, già eletto ma non ancora insediato, ha inviato questo telegramma:

«Profondamente commosso, piango ottimo padre, cittadino e letterato insigne, credente convinto, gentiluomo perfetto; invoco pace all’anima buona, prego celesti conforti sopra desolata famiglia.»

E il cardinale Agliardi ha telegrafato:

«Iddio, buono anche quando manda le tribolazioni, le conceda rassegnazione. In questi momenti dolorosi, le siano di conforto la memoria delle virtù profondamente cristiane dell’uomo perduto, la speranza certa di rivederlo in cielo e il cordoglio universale dell’Italia nostra, ch’egli servì con le opere e illustrò con gli scritti. Quando potrà, mi mandi una piccola immagine che voglio porre nel breviario per ricordarmi di lui nelle quotidiane preghiere.»

Il Fogazzaro sarà commemorato nei più alti consessi italiani e stranieri. Certo le sue sembianze saranno tramandate ai posteri con ricordi monumentali. Intanto la Deputazione Provinciale di Vicenza ha già deliberato d’iniziare con tremila lire una sottoscrizione per un monumento ad Antonio Fogazzaro nella sua città natale, dove certo convergeranno le maggiori offerte degli ammiratori del rimpianto romanziere, e la Giunta municipale ha già stanziato all’uopo la somma di lire diecimila.



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Il ricovero dei vecchi

«Alle piccole Suore».


È tutto sole il piccolo giardino
che allegra la silente, pia dimora.
Alcune vecchie fanno capolino
dal portico: la madre superiora
a uscir le invita. Col bastone a lato
lente sen vanno sopra il verde prato.


Due suore dalla cerca son tornate.
Quante scale han salito! Nel mercato
furon offese, furon dileggiate
ma dentro casa intanto han riportato
due sacca colme d’ogni bene,
e nessuno saprà con quali pene!


Nel piccolo boschetto che ristoro
darà colla sua ombra nell’estate,
stan tre vecchi a potare un solo alloro.
Il legno è duro e le forze stremate:
dalle tremule man scivola l’ascia
e i tre vecchi sospirano d’ambascia.


Attraversa il giardin agile e presta,
giovin novizia: una serena luce
avvolge la sua bella e nobil testa:
speme nel cor la sua presenza adduce.
I tre vecchi han ripreso il lor lavoro
e a mezza voce hanno intonato un coro.

Samarita.


Un modesto funerale

Dall’Istituto dei Ciechi un funebre corteo partiva il giorno sei corrente per recarsi alla Chiesa Parrocchiale di S. Babila, e poi al Cimitero di Musocco. Precedeva una doppia fila di allievi e di allieve dell’Istituto, indi seguiva il feretro, con una lunga schiera di parenti e amici.

Il più anziano degli allievi, Mauri Angelo, di anni 65, colto da influenza, dopo pochi giorni di malattia, spirava rassegnato e sereno. Prima che il convoglio partisse per Musocco, il Rettore dell’Istituto, nell’atrio di sosta del Cimitero Monumentale, pronunciò le seguenti brevi parole:

«Una parola di addio al nostro buon Angelo Mauri, prima che la sua salma ci sia tolta dinnanzi e portata nel luogo dell’eterno riposo.

«Egli merita bene, per diverse ragioni, uno speciale ricordo da parte nostra.

«Il Mauri è il più vecchio degli allievi che ora fossero nell’Istituto: son più di cinquant’anni che vi appartiene.

«Su questo lungo periodo sta scritta una parola che torna per lui il più consolante degli elogi: ha sempre fatto il suo dovere.

«Lo ha fatto prestando l’opera sua volonterosa in tutti gli uffici nei quali era richiesto.

«Per molti anni nell’orchestra tenne il posto di suonatore di importanti istrumenti, e lo tenne con abilità e sicurezza, tanto da contribuire in modo notevole al buon effetto di assieme, sebbene altri potessero dirsi dotati di maggior coltura.

«Il suo dovere lo compiva poi sempre con docilità e con arrendevolezza, senza farsi rincrescere, lieto di portare col suo contributo un attestato di ringraziamento e di riconoscenza all’Istituto, che sì piamente l’aveva raccolto.

«Ma un altro punto a me preme di ricordare nel Mauri, un officio speciale che egli per tanti anni, in un rapporto delicato, esercitò in servizio di tutta la Comunità.

«Nella nostra Comunità, come in tutte le Comunità rette con spirito cristiano, hanno una parte notevole e degna le pratiche religiose, non solo individuali, ma collettive.

«Nelle pratiche collettive, nell’oratorio dell’Istituto, il Mauri aveva la parte principale di avviare le preghiere e il canto.

«E ciò faceva con ordine, con dignità, con sincerità. Prevedeva, preveniva: non c’era pericolo che una pia usanza venisse dimenticata, e non è piccolo vantaggio che in una Comunità i frequenti ritrovi in Chiesa si rinnovassero col debito ordine. L’ordine era come la salvaguardia del decoro delle funzioni. E tutto ciò faceva con spontanea naturalezza: non gli costava fatica il mostrarsi religioso, perchè lo era.

«Povero Mauri! Noi non ti sentiremo più nel nostro piccolo oratorio, interprete e parte principale delle nostre comuni preghiere!

«Iddio ti chiamò al Tempio eterno del cielo, al quale tu ti preparasti colla buona vita, colla buona morte.

«La morte che tu accogliesti con piena serenità, e quasi con desiderio. Tolto di mezzo a noi ricordati dei tuoi cari compagni, di tutta la Comunità: la Comunità, sta certo, non si scorderà troppo presto di te: ed io parlando a nome di tutti faccio l’augurio che si converte nel tuo maggior elogio e nel nostro maggior vantaggio: possa l’Istituto avere sempre allievi che come te l’amino col cuore, che come te ne procurino sempre il bene colla buona condotta e colle opere. Ti accolga Iddio nella sua pace.»

COMITATO PER LE ONORANZE A GIUSEPPE CANDIANI

Il giorno 16 Marzo dello scorso anno cessava di vivere in Milano, tra l’unanime compianto della cittadinanza, il comm. Giuseppe Candiani, fondatore della Casa Umberto I° dei Veterani a Turate.

Come nella sua giovinezza tra le barricate e colle armi in pugno aveva contribuito al risorgimento politico della patria, nella sua età matura cooperò efficacemente al suo risorgimento economico fondando la prima industria chimica in Italia.

[p. 84 modifica]Parve doveroso ai sottoscritti di promuovere a così benemerito cittadino delle onoranze per l’anniversario della sua morte, inaugurando in quel giorno una statua di bronzo che lo raffiguri alla gratitudine dei posteti nel giardino di Turate, dove mercè l’opera sua perseverante ed instancabile tanti vecchi militi dell’indipendenza italiana trovano un onorato riposo, e ponendo sulla casa in Via Cesare da Sesto, ove ebbe la prima modesta sede il suo laboratorio, una lapide che ricordi il fatto.

Le oblazioni si ricevono dal Sig. Ing. Cav. Edoardo Pedrazzini, Foro Bonaparte, N. 31.

Presidenti onorari

S. E. On. LUIGI LUZZATTI, Presidente del Consiglio dei Ministri

On. Nob. EMANUELE GREPPI, Pro-Sindaco di Milano


Presidente effettivo: Comm. BASSANO GABBA

Vice-Presidenti: On. Comm. Angelo Lucchini - Cav. A. M. Cornelio

Segretaria: Sig.a T. Friedmann-Coduri

Cassiere: Ing. Cav. Edoardo Pedrazzini


IL COMITATO

On. avv. Ermanno Albasini-Scrosati — Comm. ing. Luigi Alzona — Prof. cav. Paolo Arcari — On. sen. Guido Baccelli — Comm. Edoardo Banfi — Princ. E. Barbiano di Belgiojoso d’Este — Prof. Giovanni BertacchiGiuseppe Bianchi — Cav. Cesare Binda — Sen. comm. G. CaloriaAmbrogio BonomiGiorge M. Callender, Londra — Dott. Arturo Castoldi — Prof. cav. Gaspare Colombi — Sen. comm. prof. Giuseppe Colombo — Dott. cav. Alfredo Colombo, Como — Sen. comm. Emilio Conti — Signora Myriam Cornelio Massa — Comm. Alberto Corbetta — March. Luigi Cuttica di Cassine — Nob. comm. avv. De Capitani D’Arzago — Comm. Ambrogio Dellachà, Torino — Sen. dottor Malachia De Cristoforis' — Conte dott. T. Gallarati Scotti — Cav. dott. Giuseppe Gallavresi — Comm. gen. Alberto GabbaC. Giongo — S. E. gen. A. Girola, Comandante del III Corpo d’armata — Giorgio Giulini, Mannheim — Sen. comm. prof. Camillo Golgi — Comm. Francesco Gondrand — Dott. Francesco Longo, Pavia — Signora Cesarina Guelfi-Lupati — Contessa Maria Greppi Borromeo — Cav. E. A. Marescotti — Nobile sen. grand’uff. gen. Luigi Mainoni d’Intignano — Cav. Carlo Mazzola — Marchesa Maria Meli Lupi di Soragna — Prof. Angelo Menozzi — Seri. comm. Miraglia — Avv. Giuseppe MolteniE. T. Moneta — Contessa Negroni Prati Morosini Falcò — Rag. Ugo Norsa — Comm. prof. Francesco Novati — Conte Gerolamo Oldofredi — Sen. comm. avv. Carlo Panizzardi, Prefetto di Milano — Cleto Pastori — Cav. uff. Roberto Perego — Cav. ing. Antonio Pestalozza — Sen. cornm. G. B. Pirelli — Rag. Pollini, Sindaco di Turate — Sen. march. Ettore Ponti — Cav. Cesare Prandoni — Prof. Attilio Purgotti, Napoli — Cav. Ernesto Reinach — Comm. Giulio RicordiGaetano Rocca — Cav. Ettore Rusconi — Grand’uff. Angelo Salmoiraghi — Grand’uff. avv. Elvidio Salvarezza, Prefetto di Como — Cav. prof. Michele Scherillo — Sen. grand’uff. Giuseppe Speroni — S. E. Spingardi, Ministro della Guerra — Nob. gen. Camillo Tommasi, Comandante la Divisione — Principessa Trivulzio della Somaglia — Cav. Simone Urso Ortega, Palermo — aut. cav. Ettore Verga — Duchessa Visconti di Modrone Gropallo — Donna Catulla Vigoni — Avv. Vincenzo Carlo Vago — Cav. uff. Giordano Zocchi.


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LA PITONESSA


Conoscete la signora de Thèbes? Essa è la unica, l’incomparabile, la suprema veggente che continui a Parigi l’arte di Tiresia e di Manto. Ogni anno, a mezzo dicembre, essa lancia un almanacco profetico per l’anno che viene.... Umanità avvisata, mezzo salvata.... E la signora de Tnèbes avvisa così, pietosamente e periodicamente, il genere umano delle catastrofi che stanno sospese sul suo capo. Quest’anno ella non è venuta meno alla tradizione.

Sulla copertina del libro fatidico un elefante leva la sua proboscide e dice: «Non inganno, avverto». L’elefante è il simbolo scelto dalla divinatrice per esprimere la sua dote precipua: la prudenza.... L’elefante, lo sapete, è una bestia che non fa nulla alla leggera.

La signora de Thèbes passa prima di tutto in rassegna le sue predizioni dell’anno precedente. V’è qualche traccia d’errore, ma non si può dire, che la pitonessa si sia sbagliata. Solo il destino, improvvisamente, senza avvertir nessuno, ha modificato il suo programma.

La divinatrice del resto non insiste troppo sul passato; essa penetra risolutamente tra le segrete cose dell’avvenire: e ci ricorda innanzi tutto che siamo «per 33 anni ancora nel ciclo di Mercurio».

E tuttavia il 1911 è un anno crepuscolare: Venere s’affaccia all’orizzonte. Al ventuno di marzo saremo, per 12 mesi, sotto l’influenza della corrente venusica. Ed essa aggiunge, che questa corrente «sembra dover agire particolarmente sulla Francia data la sua natura, la sua situazione, il suo passato!!...»

Come conseguenza naturale della corrente venusica «le donne agiranno, con maggiore attività, nel campo della politica e degli affari. La storia del pensiero femminile avrà un nuovo sviluppo, crescerà rapidamente di volume».

La signora de Thèbes si chiede cosa sarà mai per la Francia quella porpora di cui Venere si circonda al tramonto del sole: «fuoco, sangue, o manto reale?» Ella risponde, senza esitare «Le voci del passato, confuse ai clamori popolari ritroveranno gli echi di altri tempi. Il 1911 preparerà gli atti, il 1912 sarà il principio di grandi cose, e il 1913 segnerà l’inizio di un’Europa mutata, dove la Francia avrà riconquistato la sua corona morale». È difficile, in verità, adoperare un linguaggio più trasparente....

La divinatrice ci annuncia poi che «l’anno non sarà prodigo di bei giorni. Quanta pioggia ancora! E quanti lutti nella ridente Europa!» Quindi senza intermezzo: «Badate alle montagne!» grida la pitonessa. Le montagne si muoveranno? La signora de Thèbes non lo dice, ma lascia supporre che l’attività vulcanica, si risveglierà, forse, in Francia.

E se anche la Francia sfuggirà ad un’eruzione vulcanica, se una parte del paese non sarà divorata da un incendio o devastata da un ciclone, i francesi saranno vittime di «qualche scena di spaventosa barbarie». La pitonessa non osa precisare di più. Ci sarebbe da aver la pelle d’oca.

[p. 85 modifica]Sentite ancora questo: «Due volte almeno, la nostra pietà sarà rivolta verso le innocenti vittime del furore delle passioni popolari e del trastullo delle forze della natura. Tutta la città, durante tre giorni, sarà in lutto. Conosceremo conflitti dolorosi. Un uomo possente ed invidiato uscirà da questa sventura e sarà l’arbitro della Francia. Una battaglia scoppierà subito dopo: battaglia di parole, battaglia d’idee, battaglia d’ambizioni; gran tumulto da tutte le parti. Ripercussione formidabile, fuori. E questo segnerà per la Francia il principio, per meglio dire la preparazione di un’era novella. Ed un partito che non è più, rinascerà dalle ceneri».

D’altra parte: «le mani della gente di finanza abbondano di catastrofi prossime».

E la serie delle sventure non è finita. «Sotto l’influenza di Venere avremo una serie di drammi e di processi di passione, ancor più straordinari di quelli passati.»

Fedele ai metodi parlamentari, la signora de Thèbes non fa nomi. I personaggi fatidici si delineano nell’ombra, ma essa non li addita. «Vi sono in vista persone la cui esistenza sarà completamente sconvolta», la profetessa s’accontenta di predire formalmente «la fine tragica» di due delle più seducenti attrici della scena la «fuga romantica d’un uomo di Stato, con grande scandalo del mondo». L’anno, sarà, inoltre, funesto per gli uomini maturi. «Per Parigi specialmente, l’anno 1911 segnerà tutta una rivoluzione sulle scene francesi e nella repubblica letteraria. Sarà fecondo di processi e di riforme. Uno scandalo sgorgherà da uno stupefacente processo di teatro.... La vita parlamentare sarà sconvolta varie volte e Versailles — la Mecca della terza Repubblica — conoscerà ore torbide.» Tutto questo prevede la signora de Thèbes.

Non le credete? Eppure Victor Hugo ed Alessandro Dumas credettero in lei. E Boulanger seppe da lei la sua tragica fine e Syveton sentì, proprio un mese prima che scomparisse, raccontar da lei tutto quello che gli doveva accadere. Boulanger e Syveton non comunicarono, per verità, le profezie udite, ma la signora de Thèbes sopravvive ai due per ricordarlo essa stessa agli scettici di ogni paese....

Domenico Russo.