Il buon cuore - Anno IX, n. 48 - 26 novembre 1910/Educazione ed Istruzione

Educazione ed Istruzione

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Beneficenza Religione

[p. 379 modifica]Educazione ed Istruzione


Un discendente di Cristoforo Colombo


RICORDI DEL DUCA DI VERAGUA


Giorni sono, come il telegrafo annunciò, si è spento serenamente a Madrid il discendente di Cristoforo Colombo, D. Cristoforo Colombo, de la Cerda, Duca di Veragua, ducato che fa parte della Colombia. Fu assistito negli estremi momenti, dal dott. Acero, dal Cappellano della sua nobile Casa, dalla famiglia, e i funerali solenni si fecero nella Chiesa di S. Stefano.

Ricordo la bella figura storica di questo personaggio, al congresso geografico di Genova, in occasione del IV Centenario della grande scoperta. La sua figura, il suo portamento nobile, la parola fluente e piena di caldo sentimento patrio e religioso, attrassero molti dei congressisti. Mi dissero allora che il Duca di Veragua era uno dei più insigni personaggi del mondo parlamentare e aristocratico della Spagna.

Così per questa parte almeno, il desiderio ardente che Cristoforo Colombo il grande scopritore, ebbe di nobilitarsi e di cancellare l’umile sua nascita, parve finalmente soddisfatto, se non in vita, certamente dopo la morte.

Il figlio di Domenico, modesto scardassiere di Quinto e di Susanna Fontanarossa, lanaiuola, venuti a Genova per guadagnarsi la vita verso il 1439, non potè vedere tuttavia avverato il sogno, ma ne lasciò tali tracce, da trarsene sicuro presagio per l’avvenire.

Del resto una tale brama era naturale e logica in quei tempi — nella Spagna sopratutto — in cui, il merito, la coltura, scoperte ed invenzioni si dovevano subordinare tutte ai titoli nobiliari; ai ciondoli cavallereschi e ai diplomi regi. Fortunatamente, da questo lato almeno, il progresso, la cultura moderna, i criteri specialmente hanno modificato assai i giudizi, rendendo giustizia più alla sostanza che all’apparenza. Se Colombo ebbe la debolezza di farsi credere di origine superiore a quella nella quale era nato — debolezza che i biografi suoi hanno poi scontato amaramente per rintracciarne con verità il luogo di nascita — è da incolparne l’ignoranza dei tempi, e quella specie di spaguolismo letterario, scientifico ed artistico che stava già per ispuntare nell’orizzonte civile del suo tempo. Però i Colombo, almeno finanziariamente, si tolsero prestissimo dalla comune dei garzoni lanaiuoli; chè anzi, quest’arte, comunissima agli abitanti di Quinto presso Genova, si tramutò nell’uomo predestinato a scoprire un nuovo mondo in quella dell’ardito marinaio.

La vita marinaresca di quel tempo era piena di pericoli, di lotte, di audacie senza limiti. Caccia spietata di navi che correvano alla ventura in cerca di nuove terre, poichè se mancavano cognizioni o indicazioni di scoperte da farsi, in tutti c’era la convinzione che l’abitato dovesse essere più vasto di quanto si conosceva. Colombo fu tra quelli che confidando nell’audacia dei tentativi, ma dotato di un genio agli altri superiore, e punto da legittima ambizione di nobilitarsi, non ristette dall’avventurarsi nell’Oceano disprezzando il cabotaggio.

Per lui non ci volle molta fatica. In tutti i componenti la famiglia sua eravi una forte tendenza alla vita del mare. Nè si potrebbe spiegare altrimenti il passaggio rapido che egli fa, unitamente al fratello Bartolomeo, da un’industria domestica e tradizionale, e che gli dava mezzo sicuro di vivere, a quella arditissima di affrontare le onde tempestose del mare di Islanda, appena appena allora conosciuto.

Che cosa sappiamo noi del tirocinio marinaresco di Colombo per raggiungere alla fine il levante per la via di ponente? Nulla. Se fosse vissuto ai tempi nostri, scommetto che sarebbe rimasto sempre mozzo in un bastimento mercantile, o tutto al più avrebbe arricchito la giubba d’ordinanza con i sottili distintivi di... guardia marina!

Incomincia la carriera nobiliare della famiglia Colombo nei figli, D. Diego il maggiore, e Ferdinando; [p. 380 modifica] i quali ottengono alla Corte di Spagna, i posti ambiti dalle prime famiglie, e alla morte del principe D. Giovanni, la regina Isabella sceglie a suoi paggi i due fratelli Colombo. Ferdinando accresce decoro poichè al nome paterno aggiunge cultura geografica alle sue cognizioni storiche e matematiche e Carlo V lo chiama al suo fianco nei viaggi di Fiandra, di Germania e d’Italia.

Nella discendenza di Diego già incomincia ad innestarsi la nobiltà «dei magnanimi lombi», e che — come ho detto — costituiva allora moltissime volte il passaporto del genio e quindi delle ricompense. Sancio de Cardona, Amlirante d’Aragona, Luigi de la Cueva, Giorgio di Braganza da cui provennero gli ultimi monarchi del Portogallo, s’imparentano con i figli di Diego, cui il fedifrago Ferdinando di Castiglia — e ben lo conobbe tale il cugino Ferdinando a Napoli — rifiutava il titolo paterno di Ammiraglio. Ed ecco come entra nella discendenza Colombo il titolo del Ducato di Veragua.

Donna Maria di Toledo, sposando Sancio de Cardona, diventava cugina in secondo grado del Re Ferdinando; alla morte dello sposo reclamò sul primogenito il mantenimento dei patti solennemente conchiusi dall’avo coi re cattolici: ma non si ottennero che limitatamente, trascinandosi in lungo la questione; finchè si venne ad una transazione per la quale, in sostituzione del titolo di Vicerè reclamato inutilmente dai discendenti diretti di Colombo, si concesse loro il titolo di Duchi di Veragua, di marchesi di Giamaica, ed una pensione in moneta.

I fratelli di lui strinsero parentela con le famiglie Pravia, Monquera e Guzman, della più cospicua e ricca nobiltà madrilena, cosicchè nel 1520 giunse questa famiglia ad imprestare a Carlo V, con cui era imparentato, 10.000 ducati, che il laborioso monarca non potè a suo tempo restituire (pare che la storia di re indebitati non sia esclusivamente contemporanea).

D. Luigi Colombo, terzo ammiraglio della stirpe e primo Duca di Veragua, morendo lasciava due figlie, una delle quali andò sposa a Diego, primogenito di Cristoforo, figlio di Diego I. Diego moriva senza prole l’anno 1578, e con lui si estingueva la discendenza maschile dell’ammiraglio. Restò giacente la grande eredità vincolata nel maggiorasco, donde liti senza fine cui parteciparono i Colombo di Piacenza, di Cuccaro e di Cogoleto, reputandosi del ramo primo del grande navigatore.

Nuno di Portogallo — secondo che scriveva l’ottimo Pietro Cervetto, onore della stampa genovese — Nuno, nipote d’Isabella, figlio di Diego I, ereditò per sentenza, sostanze, onori, titoli di primogenitura, e che trasmise ai successori, Alvaro, Pedro, Emanuel e Pedro Nuno; ma non lasciando costui prole, morendo, l’eredità e i titoli, passarono a Caterina Ventura, sua sorella, poi moglie di Iames Stuart conte di Timnouth barone di Bosworth, duca di Liria, ecc. ecc. figlio unico del primo letto del famoso duca di Berwick. Egli s’intitolò duca di Veragua della Vega, conte di Gelres. Nel 1790 Giacomo Filippo Stuart Colon, ultimo duca di Veragua

di questo ramo, cede il posto al ramo di Cristoval Colon, marito della nominata Piavia, madre di Diego II, la cui sorella Francesca aveva sposato Pietro Ortegoni. Da un Ioseph, nipote dei coniugi Ortegoni, proviene il ramo presente.

Il defunto D. Cristoforo Colombo della Cerra, era nato a Madrid il 9 giugno 1837; egli riscattava il ducato di ben tre secoli di esistenza, nel 1870.

Fu deputato in sei legislature, poi senatore, vicepresidente delle Cortes, due volte ministro del «Fomento» e della marina, otto anni fa. Si occupò di studi agricoli in cui mostravasi competentissimo: quando gli Stati Uniti celebravano il IV centenario della scoperta d’America, fu colà degno rappresentante della Spagna. Ma ciò che distingueva quest’uomo nella falange dei moltissimi che pure contano antenati celebri, erano, il carattere adamantino, conservando così una delle principali doti del suo grande avo; poi la carità feconda di opere belle e proficue veramente, improntate tutte a quella fede viva che trasse sopratutto Colombo ad affratellare gente nuova nel bacio di Cristo.

Il Duca di Veragua è stato in Italia l’ultima volta nel 1900 quando visitò Roma nell’Anno Santo.

Dalla defunta virtuosissima sposa, la Marchesa d’Aquilera, nacquero Donna Maria del Pilar, Duchessa della Vega, sposata a Don Manuel Carvajal y Hurtado de Mendoza, Marchesa di Aguilafluente e D. Cristoforo Colombo. È naturale che al titolo di Duca di Veragua se ne congiungano i più onorifici che l’araldica spagnuola concede, a cominciare da quello di «Grande di Spagna». All’erede cospicuo delle virtù, della magnanimità, dell’amor patrio senza tranzazioni, e che la Spagna ha testè giustamente compianto, la Columbian Association di Roma spediva un telegramma di condoglianza, cui la desolata famiglia ha cortesemente risposto.

Auguriamoci che presto codesta associazione stringa legami sempre più fraterni e durevoli, a glorificazione di Colombo, e si rinnovi quello spirito di fratellanza che coll’America riconoscente a Colombo, per la prima volta si manifestò nel 1892, in occasione del IV centenario, e che ora si fa più viva ed intensa che mai per opera di zelanti cooperatori.

Virginio Prinzivalli.

Un nuovo giornale parigino

SENZA LA CRONACA NERA.


La mattina del 16 novembre da Parigi la casa Laffitte ha innondato il mondo con le copie di un nuovo giornale di tipo, di intonazione, di propositi originalissimi. Nel tumulto della stampa francese il cui maggior coefficiente per la diffusione sono il fatto di sangue o il turpe avvenimento illustrato minutamente dallo scritto, dalle fotografie e dal disegno, il giornale nuovo si presenta contro corrente.

L’Excelsior non darà nessuna delle sue pagine e delle sue nitide illustrazioni ad appagare curiosità [p. 381 modifica] malsane. Vi sarà escluso il fattaccio e vi sarà esclusa la politica ridotta a brevi e sommarie informazioni. Abbiamo dinanzi agli occhi il primo numero della ricca pubblicazione. È sul serio un tentativo audace, al quale ben volentieri facciamo subito una spontanea réclame, perchè ci avvince l’iniziativa del direttore il quale affronta una lotta non facile quando si pensi che in Francia i giornali sono tanto più diffusi e preferiti per quanto più infettano le loro colonne con narrazioni perniciose.

L’Excelsior, scrive il suo direttore, non accorderà che una parte secondaria alla politica, le cui controversie e polemiche sono spesso eccessive e le cui discussioni appaiono qualche volta seccanti. Esso darà con una imparzialità rigorosa, tutte le informazioni necessarie sugli avvenimenti e sugli uomini. Nulla più.

Esso ridurrà a proporzioni sommarie il resoconto dei fatti sanguinosi o scandalosi il cui orrore e la cui volgarità sono cosi di sovente nauseanti per la gente di buon gusto. In compenso Excelsior seguirà tutte le trasformazioni brillanti e divertenti della attualità che li svolge. La letteratura, i teatri, la musica, le arti, la scienza colle loro mille applicazioni pratiche; le riunioni mondane, gli sports, di tutto ciò si occuperà il nuovo giornale per essere così il giornale necessario alle giovani generazioni.

In verità le promesse paiono belle e avvenenti. Il primo numero dell’Excelsior a 12 pagine per 10 centesimi, in Francia, pare avviarsi a mantenere degnamente quel che sui muri di Parigi annunciano i magnifici quadri réclame. Del resto la grandiosità del tentativo, oltre che alla provata intraprendenza del Laffitte, è sorretta dalla organizzazione della ditta editrice di pubblicazioni illustrate quali Femina, la Vie au grand air Je sais tout. Le maggiori attrattive dell’Excelsior saranno la collaborazione delle migliori penne di Francia (il primo numero s’inaugura con un articolo di Hxeury Lavedan) e le fotografie che il nuovo giornale scambierà con grandi periodici di Londra, di Berlino, di Madrid e di Milano.



Ricordatevi di comperare il 21.mo fascicolo dell’ENCICLOPEDIA DEI RAGAZZI che uscì nella scorsa settimana.



Del teatro immorale


Il teatro dovrebbe veramente
Essere di virtù quasi una scuola,
Ma che lo sia ne temo grandemente,
Per non usare altra peggior parola;
Ai teatri oggidì corre la gente
E vi va quasi tutto l’anno in fola;
Ma so che più d’un critico si lagna
Che vi perde assai più che non guadagna.
Oggi guadagna assai lo spettatore
Se da’ teatri pubblici non riede
Di quello che v’andò molto peggiore,
Chè in quanto a migliorar v’ho poca fede;
Quivi si sente sol parlar d’amore,
E sospirar, e domandar mercede;
spesso ne’ teatri, a mio giudizio,
Non si corregge ma s’insegna il vizio.


Ogni cosa v’è troppo effeminata,
Vi son soggetti lubrici a guardarse,
Vi si balla e si salta all’impazzata
E vanno in alto le gonnelle sparse;
La modestia non v’è troppo serbata;
Si recitan talvolta certe farse
In cui è spento ogni benigno lume
Di morale, e che guastano il costume.


Non si sa porre un dramma in sulle scene
Che non sia pieno d’amorose inezie,
E le commedie anch’esse sono piene
Di vili amori e lubriche facezie;
S’ascoltano talor parole oscene,
Si vedou gesti, i quali certe spezie
Destano in mente, e certe idee fatali,
Cagion di mille guai, di mille mali.


Col mio franco parlar fastidio genero
Forse in più d’uno; ma ci vuol pazienza;
Molti dotti scrittori io stitno e venero;
Pur mi par ben che si potrebbe, senza
Dar cotanto nel dolce, o sia nel tenero,
Divertire oggigiorno l’udienza;
Si potrebbe anzi con tal passatempo
Ammaestrare e dilettare a un tempo....


Chè non mancano al mondo altri argomenti,
Nè materie piacevoli ed Oneste,
Senza pescar nel torbo e limaccioso
Fonte d’amore, il che approvar non oso....


Va un fanciullo al teatro, o una fanciulla,
E questa e quegli certe cose osserva
Che paiono a talun cose da nulla
E nella mente sua ne fa conserva;
Ciò che udi l’uno e l’altra in sè maciulla,
L’un libero divien, l’altra proterva...


Novo desio, novo voler gli accende,
E sentono nel core a poco a poco
Un certo non so che, che non s’intende;
Sentono un novo gelo, un novo fuoco
Che si propaga per la vita e stende;
Tornano spesso colla mente al loco
Ove udirono già la prima volta
Quel che all’animo lor la pace ha tolta.


....piaccia al ciel ch’io erri,
Ma nel teatro forse al tempo mio
V’è gran comodità d’offender Dio.

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Le femmine vi vanno ben provviste
D’attrattive, di vezzi, e sono intente,
Almen molte di loro, a far conquiste,
E gli uomini s’imbarcan facilmente;
Co’ giovani vi van confuse e miste
Le verginelle, e ciò che vi si sente
Per l’ordinario, e ciò che vi si mira
Amorosi pensier nell’alma inspira.


....Lasciatemela dir questa parola:
Il teatro oggigiorno è decaduto,
E se avessi un figliuolo o una figliuola,

I:o vi so dir che col divino aiuto

Non vorrei mai mandarli a quella scuola
E vorrei che facesse ognun di voi
Lo stesso, se pur ne ha, co’ figli suoi.


Che se non altro, poiché gustato hanno
I teatrali rei divertimenti,
Alcun diletto più trovar non sanno
Negli altri, all’età lor più confacenti:
Siccome appunto gusto alcun non danno
I cibi naturali ed innocenti
A coloro che guasto hanno il palato
Dal moderno mangiar troppo alterato.


E siccome dobbiam tener lontani
I fanciullini da ogni tornagusto
Se li vogliam veder robusti e sani;
Così, se non m’inganno, è troppo giusto,
Signori miei, che i genitor cristiani
Vietin, se pure di vederli han gusto
D’onestà, dinnocenza ricettacoli,
A’ figli loro i pubblici spettacoli.


Del resto poi, non creda d’aver fatto
Molto colui che dal teatro i figli
Tiene lontano, ch’io vo’ dirla un tratto:
Anche altrove vi sono i suoi perigli;
E un genitor che voglia essere esatto,
Abbia giudizio in questo, e si consigli
Con qualchedun che sia dabbene e dotto,
Più che coll’uso ch’oggi s’è introdotto.

(Dal Cicerone, cap. X).



Il libro più bello, più completo, più divertente che possiate regalare è l’Enciclopedia dei Ragazzi.



«LA DOMENICA MISSIONARIA»1


Nel numero passato del Buon Cuore si accennava vagamente a questa «Domenica missionaria», ma forse, ai più sfuggì anche il breve accenno, e a tutti potrà essere sembrato si trattasse di uno dei soliti pii desideri sviluppati in un momento di fervori mistici, e della durata di un fuoco di paglia.

Invece si tratta di un progetto assai ponderato, incoraggiato da molte parti e avente il plauso dell’Eminentissimo; e questo progetto muove già i primi passi sulla via che, non ce lo dissimuliano, sarà lunga e spinosa, prima di toccare il coronamento dell’opera.

Ma intanto non si dimentica di agire subito nel campo pratico. Già si lavora a diffondere la letteratura missionaria e sarebbe pregio dell’opera che tutti i predicatori ricordassero spesso, non fosse altro che con un cenno fugace, l’obbligo cristiano di venire in aiuto all’opera della Propagazione della Fede e colla preghiera e col danaro; già si lavora a raccogliere offerte. Tra queste ci venne un magnifico cuscino nuovo, di splendida fattura ad artistici ricami, e tutto montato in seta e oro; lavoro e oggetto oltremodo caro all’offerente che volle serbare l’anonimo, perchè a quel cuscino erano legati i più soavi ricordi della sua vita di collegio. Ma per amore delle Missioni estere e non avendo di meglio da dare, si rassegnò a privarsene.

All’ultimo momento dobbiamo avvertire che il bel cuscino è già stato acquistato per L. 50 da una signorina milanese.

Provvisoriamente, intanto, il ricapito per coloro ai quali il buon Dio si degnasse mettere in cuore dello zelo per le Missioni estere, sia ove ricapitare domande di schiarimenti in proposito o indirizzare offerte, è in Via Lanzone, 28, Milano, presso il canonico Meregalli.

***

  1. Vedi anche nell’Unione del 23 del corrente novembre lo stesso articolo e più in esteso.