Il buon cuore - Anno IX, n. 28 - 9 luglio 1910/Educazione ed Istruzione

Educazione ed Istruzione

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Beneficenza Religione

[p. 219 modifica] Educazione ed Istruzione


DISCORSO NUZIALE


Il giorno 29 giugno, festa dei SS. Apostoli Pietro e Paolo, nella Chiesa di San Babila, in Milano, veniva celebrato il matrimonio religioso tra il nobile signore Emilio Mozzoni e la signorina Cecilia Marocco. Monsignor Luigi Vitali, che in anni precedenti impartì la istruzione religiosa alla sposa, prima della benedizione nuziale, rivolse dall’altare le seguenti parole:

«Nel nome del Signore, io vi saluto, o Sposi. Esultate! La gioja è nel vostro cuore, la gioja è sul vostro volto, la gioja è sul volto e nel cuore dei cari che vi circondano. Il passo che voi state per compiere è ben importante: finora eravate separati, per molto tempo sconosciuti l’uno all’altro: ora le vostre destre si intrecciano; voi procederete uniti; la vita dell’uno sarà la vita dell’altro; sarà una vita sola. Esultate!

«Ma ciò che accresce la gioja di questo istante è il pensiero che l’atto importante che voi state per compiere ha tutte le garanzie per preparare la vostra felicità; le garanzie del passato, del presente, del futuro.

«La buona educazione da giovani è la prima e più sicura base di una vita felice nel futuro. Voi avete avuto una buona educazione. I vostri primi passi furono vegliati dalle amorose cure dei vostri genitori. Io ho veduto in questi giorni, passando, la casetta ove tu, o sposa, apristi gli occhi alla vita; una casetta isolata, quieta, fra le ombre e la luce, simbolo dell’ambiente tranquillo nel quale crebbe poi la tua infanzia, la tua gioventù. La coltura, una svariata coltura, venne poi, presso l’uno e presso l’altro, ad ajutare, a completare le doti della natura, ed a prepararvi alla difficile missione della vita. E sopra tutto a voi non mancò il complemento di ogni buona educazione, il principio religioso, che spiega il mistero della vita, che ci manifesta il fine pel quale ci troviamo quaggiù, e ci indica quali sono i mezzi che noi dobbiamo usare per fare il maggior bene a noi, il maggior bene agli altri.

«E quando per le combinazioni della vita, che sono le occulte preparazioni della Provvidenza, i vostri occhi si incontrarono, e sorse nel vostro cuore il delicato e prepotente sentimento, che si chiama amore, esso vi trovò ben preparati a rispondere al suo invito; le garanzie più care del passato si mutarono in quelle ben sicure del presente; non senza la prova della sventura nella perdita di persone altamente care, la sventura, lezione severa, ma preziosa nella vita. Il vostro amore è illuminato e consciente, formato dalla reciproca conoscenza, dalla stima delle doti preziose che adornano gli animi vostri. Il consenso dei vostri cari viene a coronare il vostro assenso, dandogli la doppia garanzia dell’esperienza e dell’amore.

«Ma non basta: questo atto individuale si intreccia coi rapporti più larghi della società: voi non siete [p. 220 modifica] soltanto individui, siete cittadini: voi dovete dare, voi dovete chiedere, alla società, le promesse e le difese, che la vostra vita sarà un utile complemento della vita comune, e che i vostri diritti, i diritti dei vostri figli, saranno rispettati e protetti. E perciò avete fatta la dichiarazione del connubio delle anime vostre dinnanzi al rappresentante dell’autorità sociale; e il rappresentante dell’autorità sociale vi ha solamente dichiarato che l’atto vostro veniva posto sotto la tutela delle patrie leggi.

«Ma ben più: voi non siete soltanto cittadini; siete credenti; voi non siete soltanto membri di una particolare società terrena, sotto un governo particolare; voi siete membri della grande società cattolica, che abbraccia tutti i popoli, che si allarga a tutta la terra, e che ha per capo visibile sulla terra il Romano Pontefice, e per capo invisibile nel cielo, Dio. Anzi, è soltanto il vincolo che si stringe dinnanzi alla Chiesa di Dio che ha il valore di vero vincolo matrimoniale dinnanzi alla coscienza; è soltanto il Sacramento religioso che costituisce, si immedesima, e fa un atto solo col consenso naturale, col contratto civile. E voi siete quì, ora, per compiere questo atto religioso, voi siete quì appunto per ricevere il Sacramento.

«E quanto io sono lieto, quanto alta e profonda è la mia compiacenza, di essere chiamato quale rappresentante della Chiesa nell’assistensa, nella constatazione, nella benedizione del vostro matrimonio!

«Per te, o sposa, è la compiacenza per me quasi di un atto di famiglia, per la lunga e stretta conoscenza che io ho di te, e dei membri diletti della tua famiglia, la madre, la sorella, gli zii. Ma sopratutto è la compiacenza nel pensare che il matrimonio religioso diventa, insieme alle più care garanzie del passato e del presente, la più rassicurante garanzia della vostra felicità nell’avvenire.

«Quale è la più cara, la più forte delle garanzie della vostra felicità nel matrimonio? È l’amore. L’amor naturale, l’amore del cuore, è la prima inspirazione dell’amore fra gli sposi. Ma quante incertezze, quante deficenze, quante dolorose sorprese ha questo amore! Dove l’amore trova la base più ferma, incrollabile, indissolubile? Nell’amore che inspira, nell’amore che impone la religione. Esso è amore unico, esso è amore supremo, esso è amore indefettibile. S. Paolo, del quale oggi ricorre la festa, ha pronunciato la solenne parola: Questo sacramento è grande in Cristo e nella Chiesa.

«Come Cristo ama la sua Chiesa, voi dovete amarvi fra di voi; come Cristo amò la sua Chiesa sino a dar la sua vita per essa, così voi dovete essere pronti ad amarvi, senza limite di sacrificio fra di voi. E la religione che vi fa questo supremo obbligo dell’amore, obbligo che si confonde col più gradito dei sentimenti naturali, vi dà anche, col dono della sua grazia, l’ajuto intimo, potente, immancabile, perchè questo amore si alimenti, si conservi in mezzo alle inevitabili traversie della vita.

Venite quindi a ricevere il Sacramento; venite a pronunciare dinnanzi al ministro della Chiesa l’irrevocabile : la gioja del vostro cuore, la gioia del cuore dei cari che vi circondano, è nel cuore anche di altre persone venerate e care, che già abbandonarono questa terra, e non presenti di persona, sono presenti in ispirito, i nonni, i genitori, gli zii: è anzi il ricordo di una data preziosa nelle memorie di famiglia che ha fatto sciegliere questo giorno pel giorno delle vostre nozze1: venite a pronunciare l’irrevocabile ; pronunciatelo fidenti, pronunciatelo esultanti: esso pel suo pieno trionfo ha tutte le garanzie del passato, del presente, dell’avvenire: voi lo pronunciate; i vostri cari, commossi, colle lagrime negli occhi lieti lo ascoltano; il cielo lo benedice!

PER LA MESSA D’ORO

DI


MONSIGNOR LUIGI VITALI

celebrata durante il cinquantenario della liberazione lombarda



Oh la visione luminosa e forte
Che nella stanca fantasia si desta!
Oh riviver potessi i giorni baldi
Di gioventude! risentir le calde
Vampe d’affetto ch’eran vita all’alma!....
E ancor la nota ritrovar saprei
Pari al nobil subbietto! —
Tu m’ispiri,
O santo Vecchio, che ancor chiudi in petto
Tanto d’opra vigore e di pensiero:
Tu che di patria e religion la voce
Forte sentisti risonar nell’alma
Fin dagli anni fiorenti, allor che aurora
Di vera libertà gl’Itali petti
Rallegrava a Magenta: tu che allora
Primamente salisti il sacro Altare
E, l’incruento sacrificio offrendo,
Fervida prece per la Patria cara
Certo innalzasti.
Da quel santo giorno
Ben dieci lustri trapassar vedesti,
Benedicendo alla risorta Italia,
Ma pur sognando un ideal lontano,
Illuminato dalla rosea luce
D’un glorioso passato. Al tuo pensiero
Il libero Comune ognor splendeva,
Allor che rude, vigoroso e puro
Amor di libertà l’alma infiammava,
Di virtù, di lavoro e di ricchezza
Perenne fonte; la vetusta Fede
Ai cuor parlando, li spronava all’opra,
E, interprete fedel degli alti sensi,
L’Arte divina di palagi e templi
Le cittadi adornava. — Il sacro giuro
Che a Pontida avvinceva i cuor Lombardi,
Il valor che a Legnan barbare torme
Mieteva inesorato, al giovin cuore
Parlavano di Dio e della patria.
Chè simbol di valore era a que’ prodi

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E di liberi sensi ispiratrice
La Cristiana Croce; e se talora
Di caritade e di fraterni sensi
Furo oblïosi, alla divina Legge
Non imprecaro, stoltamente altieri,
degli errori con fortezza invitta
Soffrir la pena e tramandar l’esempio.


Ma di Dante il pensier, che in Dio s’appunta,
alla grandezza della patria aspira,
Che sogna libertade e la prepara,
Che fra note di cielo un generoso
Sdegno disfoga ed ai tiranni e a falsi
Della Chiesa Pastor, lupi rapaci,
Vibra roventi strali, a Te qual faro
Sempre rifulse e ti fu certa guida.
E l’arte eccelsa del divin Poeta,
Che, attraverso de’ secoli la fuga,
L’eco diffuse vigorosa e i cori
Prostrati aderse a più sublimi voli,
Nella civile poësia risorse
Del Vate di Bosisio, nel gagliardo
Insubre Spirto che ai tiranni indisse
Inesorabil guerra, e ancor nel mite
Sommo Lombardo, che di Cristo il verbo
la divina religion fe’ segno
Di sua Musa risorta e in molti cori
Freddi e impigriti ridestò la Fede,
Mentre primiero agi’ Itali gridava:
«Liberi non sarem, se non siam uni»,
E l’inno della patria alto intuonava.


Tu, santo Vecchio, il giovanile ingegno
Nel gran Lombardo ritemprasti, sempre
L’opra sublime e la profonda mente
Acuto penetrando, che ritorno
Fe’ al santo vero che del bello è padre;
Ma l’opra intanto sapiente e santa
Agl’infelici tu sacrasti, in cui
Luce non splende alle pupille spente,
E tu d’intellettual luce avvivasti.


Oh! al puro ritorni, al santo vero
L’arte divina che il pensier riveste,
Né fra sottili avvolgimenti abbui
Quanto l’umana fantasia si finge
O la mente ragiona: al bene intenda
Che luce è all’alma e ci solleva a Dio,
Fonte del Vero e di Bellezza eterna.
Alla risorta Patria, alla gran Madre
Di civiltade e di sovrani ingegni,
Dell’Alighieri l’inconcussa fede
Anco rifulga e Carità le apprenda,
Mentre la Grazia che, al saper congiunta,
Il gran Lombardo ricondusse a Dio,
Appuri i cuori e lor dischiuda il Cielo!


E quando a noi si chiuderà il presente
Per l’avvenir d’una seconda vita,
Possa il sogno allietar’l’estremo addio,
Che insiem con Dante ne sedusse il cuore,
E la libera Italia alfin saluti
L’alba rosata d’un felice giorno,
Che pace annunci fra la Patria e Dio!

Albiate, maggio 1910.

Ernesto Crespi.


UN ANGELO DI PACE


(Continuazione e fine, vedi n. 27).


Passavano così nella più invidiabile monotonia i giorni e i mesi, quando avvenne un fatto che doveva iniziare le prime difese della condotta di Mario in faccia a suo padre e aprire la strada al colpo di misericordia definitivo.

La signorina che, dal rispettivo padre e dall’architetto Eugenio Flori era destinata futura moglie di Mario, alle nozze di questo con Silvia Albani, restava libera e disponibile ancora; e ciò poteva anche essere poco male; piuttosto, la sposa promessa invano, dovette accorgersi con sua mortificazione che più nessuno altro si faceva innanzi, quasi lei fosse una cosa di rifiuto, una merce protestata.

Il padre a prendersela colle idee nuove dei giovinotti indipendenti o di difficile contentatura, se non anche viziosi, dappoco, che si spaventano innanzi al giogo matrimoniale; non riflettendo che, a creare certe diffidenze, certe ritrosie, la ripugnanza dei giovani dabbene pel matrimonio, concorrono in gran parte le fanciulle della giornata, colle loro teorie all’americana, colle loro strane esigenze di lusso, colla loro educazione in aperta opposizione ai doveri dello stato coniugale.

Però un partito riuscì ancora a trovarlo; s’intende, di quelli fatti apposta pel caso suo. Ma dopo il viaggio di nozze, non tutto luna di miele, neppur quello, si manifestò subito in entrambi gli sposi una sazietà reciproca, un tedio, un’antipatia marcatissima; quindi i primi dissensi, i primi litigi, le prime scenate volgaruccie anzichenò, e in seguito una separazione scandalosa, chiassosa di cui oltre ai vicini, dovettero occuparsi anche i giornali cittadini. La cronaca continuò per più giorni a fornire al lettore avido di scandali coniugali, dei bocconcini ghiotti e divertenti, che necessariamente doveano cadere sott’occhio anche alle persone serie. E anche l’architetto Eugenio Flori non tardò molto ad accorgersi del fattaccio della giornata, tuttavia tenendo per sè la lezione che ne scaturiva. Del resto nessuno lo sforzava a darsi torto. Ma pure continuando sul suo piede di guerra col figlio, aveva perduto molto dell’acredine dei primi mesi, non interrompeva più così bruscamente Carola quando accennava a far cadere il discorso su Mario; talvolta anzi per una sbadataggine che voleva parere inconscia, ascoltava, interrogava. Anzi, una volta fra le altre, quella sbadataggine durò più a lungo, e fu quando la contessa, colla massima naturalezza, e quasi fosse un tema molte volte trattato, parlò del lieto evento che fra non molto avrebbe rallegrato la casa di Mario. Già, Carola ad ogni costo sarebbe stata madrina, e non avrebbe permesso a nessuno di prendere quel posto che credeva spettarle; eccettuato un tale....

Solo davanti a tentativi evidenti di aggressione per indurlo a perdonare, solo davanti ad insinuazioni impertinenti, come questa, il signor architetto si destava e riprendeva la sua posizione, per quanto non più proprio al posto di prima; aveva già perduto terreno, e davanti ad un supremo assalto, condotto con tutte le regole dell’arte da espugnare le fortezze più ostinate c’era da ripromettersi una capitolazione completa.

E l’occasione si presentò più presto di quello che si sarebbe immaginato.

Si era di dicembre inoltrato; le frequenti nevicate di quell’anno avevano portato un’alternativa di freddi rigidi, intensi, e di rilasci, con umidità che finirono per alterare la salute di molti e inspirare serii timori. Fra le tante vittime dell’influenza che subito fece capolino menando stragi spietate, sia soltanto relegandole a letto [p. 222 modifica] o comunque molto compromettendole, ci fu subito la contessa Flavia la quale, per tutto quell’orribile dicembre non lasciò mai la sua cameretta. Però non mancava per questo sequestro di informarsi delle cose spettanti a suo figlio e dell’imminente lieto evento; solo rimpiangendo di non poter a quando a quando recarsi di persona alla casa di lui.

E il lieto evento ebbe luogo al tocco del venticinque di quel dicembre; e il più vezzoso bambinello, un adorabile maschietto, veniva a rallegrare quel giorno memorando fra tutti e quella casa già tanto benedetta dal cielo.

Il daffare, l’animazione, il vai e vieni di parenti in quella mattinata fu straordinario; Carola venutavi per notizie e a portare gli augurii di mamma e suoi, apprendeva con un giubilo che non conobbe più limiti il grande avvenimento e correva a darne parte alla contessa e a suo padre; e come tutto fosse proceduto nel migliore dei modi, e la puerpera e il bimbo stessero benissimo, e come in giornata si sarebbe fatto il battesimo, malgrado l’uso contrario di molte famiglie. Già, la letizia di tanto giorno doveva essere completa; e per due persone così profondamente religiose come Mario e Silvia, la gioia non sarebbe stata piena se nel giorno che più parlava di sopranaturale tenessero presso di sè non rigenerato ancora alla vita sopranaturale il loro figlio.

Vi fu pertanto un nudrito scambio di intese fra la contessa Florio e Mario anche su questo punto, nonchè sul modo di portare ad ogni costo alla contessa il neonato, smaniosissima come era di vederlo e baciarlo.

Ma... ma c’era una difficoltà e la più ardua da vincere. Come varcare quella soglia vietata, come sopprimere una esclusione rispettata da circa un anno, come ardire di incontrarsi coll’architetto Eugenio Fiori dopo la rottura così categorica dei primi rapporti?

La contessa pensò, provvide a tutto. Di ritorno dal Battesimo, fissato appunto per le undici, il corteo sarebbe passato da lei recandole il neonato da vedere; in quell’ora l’architetto sarebbe stato certamente assente da casa, avendo affari che l’avrebbero trattenuto presso un suo collega fino al tocco.

E puntualmente alle undici — sfidando un tempo orrido, un imperversare di neve e raffiche che agghiacciavano — si andò a S. Satiro per la solenne celebrazione del Battesimo del bimbo di Mario e Silvia, madrina e padrino Carola e il padre di Silvia, imponendo al battezzato i nomi di Eugenio e Carlo. Quindi, secondo le parole corse, tutti salirono all’appartamento della contessa Flavia, tutto profumato di fiori freschi, e tutto corso da miti tepori, che spandevansi dai caloriferi accesi, a rianimare le membra intirizzite dal freddo. La Contessa godè un mondo nel fissare i suoi sguardo sul più leggiadro bimbo che mai avesse veduto e non rifiniva di baciarlo appassionatamente, intensamente, stringendolo forte contro il tepido seno in una voluttà da mangiarselo d’amore.

Si era fra queste schiette e calde manifestazioni e in un cicaleggio animatissimo, quando un trillo del campanello della porta e, subito dopo, la comparsa del domestico un po’ sconcertato fecero arrestare tanta festa e allibire. L’architetto, avendo esaurite prima del tempo calcolato le sue facende, era già di ritorno. La contessa ebbe per tutti il sangue freddo necessario in quell’ora imbarazzante; ordinò al servo di dire al nuovo arrivato che lo desiderava subito nella sua camera a partecipare delle gioie d’una visita inaspettata. E l’architetto, ignaro di tutto, si fa innanzi colla solita disinvoltura bonaria. Quando, appena spalancata la porta della camera da letto, il quadro di tanta gente, come interdetta e confusa, e un bimbo che due braccia di giovane signora reggevano tremanti in mezzo ad uno spumeggiar fresco di candidi merletti e trine, gli si apre innanzi allo

sguardo attonito. Gli pare di ingannarsi, o che la vista gli faccia un brutto scherzo, e guarda trasognato....

La contessa spiega al marito di che cosa si tratti. L’architetto, seccato visibilmente, mostra tutta la volontà di ribellarsi a quella imposizione, a quell’arbitrio; la fronte si corruga, il viso ha delle contrazioni di amarezza e foriere d’uno scoppio di ira. Intanto nel silenzio forzato di quella imbarazzante situazione giungevano le note dell’organo e le ripercussioni smorzate dal canto d’un mottetto che si eseguiva nella Chiesa di S. Satiro “Gloria a Dio ne’ Cieli e pace in terra agli uomini di ben volere. Oggi ci è nato un parvolo, ci fu largito un figlio„. Si fece innanzi Mario come il più colpevole e responsabile di quella violazione di domicilio, scusandosi che non sarebbe venuto se non fosse stato per sua madre. Che comunque, da un anno faceva penitenza del suo peccato, del torto che gli aveva recato; che in quel giorno di pace per tutti gli uomini di buona volontà, che innanzi a quell’angelo che era pur sempre il figlio di suo figlio, che portava il suo nome, confidava vedersi levato il duro bando e restituito il bacio paterno.

L’architetto Flori si sentì vinto ornai; e non reggendo più alla irresistibile emozione che l’avea preso, chinatosi sul bambinello che roseo, vispo gli sorrideva di mezzo al candore di soffici merletti in cui era come affondato, lo strinse fra le braccia, lo baciò e ribaciò, baciò anche Mario.... la pace era fatta.

Anzi quel giorno dovea venir chiuso condegnamente. Per istanze della contessa che volontieri sarebbe rimasta a casa sola con una domestica, l’architetto e Carola passarono a far Natale e a condecorare il pranzo del battesimo in casa di Mario. Là un’altra pace con Silvia e coi parenti di lei; là le più cordiali espansioni, l’inaugurazione di giorni più lieti, là il cominciamento d’un pellegrinaggio quotidiano per rivedere il piccolo Eugenio Carlo, l’angelo della pace, senza del quale il fiero architetto non poteva più stare un sol giorno....

Augusta Maxell— Hutton

  1. Nella festa di S. Pietro e Paolo celebrarono le loro nozze i nonni dello sposo.