Il Trecentonovelle/CXXI
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Avendo maestro Antonio da Ferrara a Ravenna perduto a zara, capita nella chiesa dov’è il corpo di Dante, e levando tutte le candele dinanzi al Crocifisso, le porta tutte e appiccale al sepolcro di detto Dante.
Maestro Antonio da Ferrara fu uno valentissimo uomo quasi poeta, e avea dell’uomo di corte; ma molto era vizioso e peccatore. Essendo in Ravenna al tempo che avea la signoria messer Bernardino da Polenta, avvenne per caso che ’l detto maestro Antonio, essendo grandissimo giucatore, e avendo un dí giucato, e perduto quasi ciò che avea, e come disperato vivendo, entrò nella chiesa de’ Frati Minori, dov’è il sepolcro del corpo del fiorentino poeta Dante; e avendo veduto uno antico Crocifisso, quasi mezzo arso e affumicato per la gran quantità della luminaria che vi si ponea; e veggendo a quello allora molte candele accese, subito se ne va là e dato di piglio a tutte le candele e moccoli che quivi ardevano, subito, andando verso il sepolcro di Dante, a quello le puose dicendo:
- Togli, che tu ne se’ ben piú degno di lui.
La gente, veggendo questo, pieni di maraviglia diceano:
- Che vuol dir questo? - e tutti guatavano l’uno l’altro.
Uno spenditore del signore, passando in quell’ora per la chiesa, e avendo veduto questo, tornato che fu al palagio, dice al signore quello che ha veduto fare a maestro Antonio. Il signore, come sono tutti vaghi di cosí fatte cose, fece sentire all’arcivescovo di Ravenna quello che maestro Antonio avea fatto, e che lo facesse venire a lui, facendoli vista di formare processo sopra la eretica pravità per paterino. L’arcivescovo ebbe subito commesso che fosse richiesto; e quelli comparí; ed essendoli letto il processo che si scusasse, e’ non disdisse alcuna cosa, ma tutto confessò, dicendo all’arcivescovo:
- Se voi mi doveste ardere, altro non vi direi; però che sempre mi sono raccomandato al Crocifisso e mai altro che male non mi fece; e ancora tanta cera veggendoli mettere che è quasi mezz’arso (cosí fuss’elli tutto), io gli levai quelli lumi e puosigli al sepolcro di Dante, il quale mi parea che gli meriti piú di lui; e se non mi credete, veggansi le scritture dell’uno e dell’altro. Voi giudicherete quelle di Dante esser maravigliose sopra natura a intelletto umano; e le cose evangeliche esser grosse; e se pur ve n’avesse dell’alte e maravigliose, non è gran cosa, che colui che vede il tutto e ha il tutto, dimostri nelle scritture parte del tutto. Ma la gran cosa è che un uomo minimo come Dante, non avendo, non che il tutto, ma alcuna parte del tutto, ha veduto il tutto e ha scritto il tutto; e però mi pare che sia piú degno di lui di quella luminaria; e a lui da quinci innanzi mi voglio raccomandare; e voi vi fate l’oficio vostro e state bene ad agio, che per lo suo amore fuggite tutti il disagio e vivete come poltroni. E quando da me vorrete sapere piú il chiaro, io vel dirò altra volta, che io non abbia giucato ciò che io ho.
All’arcivescovo parve essere impacciato, e disse:
- Dunque avete voi giucato e avete perduto? tornerete altra volta.
Disse maestro Antonio:
- Cosí aveste voi perduto voi, e tutti i vostri pari, ciò che voi avete, ch’io ne sarei molto allegro. Il tornare a voi starà a me; e con tornare, e senza tornare, mi troverrete sempre cosí disposto o peggio.
L’arcivescovo disse:
- Mo andeve con Dio o volí con Diavolo, e se io mandassi per voi, non ci verrete. Andate almeno a dar di queste frutte al signore, che avete dato a mi -; e cosí si partí.
Il signore, saputo ciò che era stato, e piacendoli le ragioni del maestro Antonio, gli fece alcuno dono, sí che potesse giucare; e delle candele poste a Dante piú dí con lui n’ebbe gran piacere; e poi se n’andò a Ferrara forse meglio disposto che maestro Antonio. In quelli tempi che morí papa Urbano quinto, una tavola essendo di lui posta in una nobile chiesa d’una gran città, vidi a quella essere posto un torchio acceso di dua libbre, e al Crocifisso, il quale non era molto di lungi, era una trista candeluzza d’uno denaio. Pigliò il detto torchio, e appiccandolo al Crocifisso, disse:
- Sia nella mal’ora se noi vogliamo volgere e mutare la signoria del cielo, come noi mutiamo tutto dí quelle della terra.
E cosí se n’andò a casa. Questa fu cosí bella e notabile parola, come mai potesse avvenire a simile materia.