Novella CXCI

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CXC CXCII

Buonamico dipintore, essendo chiamato da dormire a vegliare da Tafo suo maestro, ordina di mettere per la camera scarafaggi con lumi addosso, e Tafo crede sieno demoni.

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Quando un uomo vive in questo mondo, facendo nella sua vita nuove o piacevoli e varie cose, non si puote raccontare in una novella ciò ch’egli ha fatto in tutta la vita sua; e pertanto io ritornerò a uno, di cui a drieto alcune novelle sono dette, che ebbe nome Buonamico, dipintore, il quale cercò di dormire, quando venía la notte, dove Gian Sega nella passata novella cercò il contrario. Costui nella sua giovenezza essendo discepolo d’uno che avea nome Tafo, dipintore, e la notte stando con lui in una medesima casa, e in una camera a muro soprammattone allato alla sua, e com’è d’usanza de’ maestri dipintori chiamare i discepoli, spezialmente di verno, quando sono le gran notti, in sul mattutino a dipignere; ed essendo durata questa consuetudine un mezzo verno che Tafo avea chiamato continuo Buonamico a fare la veglia, a Buonamico cominciò a rincrescere questa faccenda, come a uomo che averebbe voluto piú presto dormire che dipignere; e pensò di trovare via e modo che ciò non avesse a seguire; e considerando che Tafo era attempato, s’avvisò con una sottile beffa levarlo da questo chiamare della notte, e che lo lasciasse dormire. Di che un giorno se n’andò in una volta poco spazzata, là dove prese circa a trenta scarafaggi; e trovato modo d’avere certe agora sottile e piccole e ancora certe candeluzze di cera, nella camera sua in una piccola cassettina l’ebbe condotte; e aspettando fra l’altre una notte che Tafo cominciassi a svegliarsi per chiamarlo, come l’ebbe sentito che in sul letto si recava a sedere, ed egli trovava a uno a uno gli scarafaggi, ficcando li spilletti su le loro reni e su quelli le candeluzze acconciando accese, gli mettea fuori della fessura dell’uscio suo, mandandoli per la camera di Tafo.
Come Tafo cominciò a vedere il primo, e seguendo gli altri co’ lumi per tutta la camera, cominciò a tremare come verga, e fasciatosi col copertoio il viso, ché quasi poco vedea, se non per l’un occhio, si raccomandava a Dio dicendo la intemerata e’ salmi penitenziali; e cosí insino a dí stava in timore credendo veramente che questi fossono demoni dell’inferno. Levandosi poi mezzo aombrato, chiamava Buonamico, dicendo:
- Hai tu veduto stanotte quel che io?
Buonamico rispose:
- Io non ho veduto cosa che sia, però che ho dormito e ho tenuto gli occhi chiusi; maravigliomi io che non m’avete chiamato a vegliare come solete.
Dice Tafo:
- Come a vegliare? ché io ho veduto cento demoni per questa camera, avendo la maggiore paura che io avesse mai; e in questa notte, non che io abbia aúto pensiero al dipignere, ma io non ho saputo dove io mi sia; e per tanto, Buonamico mio, per Dio ti prego truovi modo che noi abbiamo un’altra casa a pigione: usciamo fuori, però che in questa non intendo di star piú, ché io son vecchio, e avendo tre notti fatte come quella che ho avuto nella passata, non giugnerei alla quarta.
Udendo Buonamico il suo maestro cosí dire, dice:
- Gran fatto mi pare che di questo fatto, dormendo presso a voi, com’io fo, non abbia né veduto né sentito alcuna cosa: egli interviene spesse volte che di notte pare vedere altrui quello che non è, e ancora molte volte si sogna cosa che pare vera e non è altro che sogno: sí che non correte a mutar casa cosí tosto, provate alcun’altra notte; io vi sono presso, e starò avvisato, se nulla fosse, di provvedere a ciò che bisogna.
Tanto disse Buonamico che Tafo a grandissima pena consentí; e tornato la sera a casa, non facea se non guardare per lo spazio che parea uno aombrato; e andatosi al letto, tutta la notte stette in guato, sanza dormire, levando il capo e riponendolo giú, non avendo alcuno pensiero di chiamare Buonamico per vegliare a dipingere; ma piú tosto di chiamarlo al soccorso, se avesse veduto quello che la notte di prima.
Buonamico, che ogni cosa comprendea, avendo paura non lo chiamasse a fare la veglia sul mattutino, mandò per la fessura tre scarafaggi con la luminaria usata. Come Tafo gli vide, subito si chiuse nel copertoio, raccomandandosi a Dio, botandosi e dicendo molte orazioni; e non ardí di chiamare Buonamico; il quale, avendo fatto il giuoco, si ritornò a dormire, aspettando quello che Tafo la mattina dovesse dire.
Venuta la mattina, e Tafo uscendo del copertoio, sentendo che era dí si levò tutto balordo, con temorosa boce chiamando Buonamico. Buonamico, facendo vista di svegliarsi, dice:
- Che ora è?
Dice Tafo:
- Io l’ho ben sentite tutte l’ore in questa notte, però che mai non ho chiuso occhio.
Dice Buonamico:
- Come?
Dice Tafo:
- Per quelli diavoli; benché non fossono tanti quanto la notte passata. Tu non mi ci conducerai piú; andianne e usciamo fuori, ché in questa casa non sono per tornare piú.
Buonamico gli poté dire assai cose che la sera vegnente ve lo riconducesse, se non con questo: che gli diede a intendere, se uno prete sagrato dormisse con lui ch’e’ demoni non arebbono potenza di stare in quella casa. Di che Tafo andò al suo parrocchiano e pregollo che la notte dormisse e cenasse con lui; e dettagli la cagione e sopra ciò ragionando, s’accozzorono con Buonamico e tutti e tre giunsero in casa. E veggendo il prete Tafo presso che fuor di sé per paura, disse:
- Non temere, ché io so tante orazioni, che se questa casa ne fosse piena, io gli caccerò via.
Dice Buonamico:
- Io ho sempre udito dire ch’e’ maggiori nimici di Dio sono li demoni; e se questo è, e’ debbono essere gran nimici de’ dipintori, che dipingono lui e gli altri Santi, e per questo dipignere se n’accresce la fede cristiana che mancherebbe forte se le dipinture, le quali ci tirano a devozione, non fossono; di che, essendo questo, quando la notte, che’ demoni hanno maggiore potenza, ci sentono levare a vegliare per andare a dipignere quello di che portano grand’ira e dolore, giungono con grand’impeto a turbare questa cosí fatta faccenda. Io non affermo questo; ma parmi ragione assai evidente che puote essere.
Dice il prete:
- Se Dio mi dia bene, che cotesta ragione molto mi s’accosta; ma le cose provate sono piú certificate -; e voltosi a Tafo, dice: - Voi non avete sí grande il bisogno di guadagnare che, se quello che dice Buonamico fosse, che voi non possiate fare di non dipignere la notte: provate parecchie notti, e io dormirò con voi, di non vegliare e di non dipignere, e veggiamo come il fatto va.
Questo fu messo in sodo: che piú notti vi dormí il prete, ch’e’ scarafaggi non si mostrorono.
Di che tennono per fermo la ragione di Buonamico essere chiara e vera; e Tafo fece bene quindici notti, senza chiamare Buonamico per vegliare. Essendo rassicurato Tafo e costretto dal proprio utile, cominciò una notte di chiamare Buonamico, perché avea di bisogno di compire una tavola allo Abate di Bonsollazzo. Come Buonamico vide ricominciare il giuoco, prese di nuovo de’ scarafaggi e la seguente notte gli mise a campo per la camera su l’ora usata. Veggendo questo Tafo, cacciasi sotto, dolendosi fra sé stesso, dicendo:
- Or va’, veglia, Tafo, or non ci è il prete; Vergine Maria, atatemi -; e molte altre cose, morendo di paura, insino che ’l giorno venne.
E levatosi egli e Buonamico, dicendo Tafo come li demoni erano rappariti; e Buonamico rispose:
- Questo si vede chiaro ch’egli è quello che io dissi, quando il prete ci era.
Disse Tafo:
- Andiamo insino al prete.
Andati a lui, gli dissono ciò che era seguito. Di che il prete affermò essere la cagione di Buonamico vera, e per verissima la notificò al populo, in tal maniera che, non che Tafo, ma gli altri dipintori non osorono gran tempo levarsi a vegliare. E cosí si divolgò la cosa che altro non si dicea; essendo tenuto Buonamico che, come uomo di santa vita, avesse veduto, o per ispirazione divina, o per revelazione, la cagione di que’ demoni essere apparita in quella casa; e da questa ora innanzi da molto piú fu tenuto, e di discepolo con questa fama diventò maestro; partendosi da Tafo, non dopo molti dí fece bottega in suo capo, avvisandosi d’essere libero e potere a suo senno dormire; e Tafo rimase per quelli anni che visse trovandosi un’altra casa, là dove tutti e’ dí della vita sua si botò di non fare dipignere la notte, per non venire alle mani delli scarafaggi.
Cosí interviene spesse volte che volendo il maestro guardar pure al suo utile, non curandosi del disagio del discepolo, il discepolo si sforza con ogni ingegno di mantenersi nelle dotte che la natura ha bisogno; e quando non puote altrimenti, s’ingegna con nuova arte d’ingannare il maestro, come fece questo Buonamico, il quale dormí buon tempo poi quanto li piacque; infino a tanto che un’altra volta una che filava a filatoio gli ruppe piú volte il sonno, come nella seguente novella si racconterà.