Il Trecentonovelle/CXCII
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Buonamico detto con nuova arte fa sí che una che fila a filatoio, non lasciandolo dormire, non fila piú; ed egli dorme quanto vuole.
Essendo Buonamico, del quale di sopra è detto, maestro in suo capo e vago di dormire e di vegliare secondo il tempo; però che gli convenía esercitare l’arte altramente quando era sopra sé che quando era sotto altrui come discepolo; avendo una sua casa, e avendo per vicino a muro mattone in mezzo uno lavoratore di lana un poco asgiato, il quale avea nome o era chiamato Capodoca assai nuovo squasimodeo; ed era costui quello che nella bottega d’Andrea di Veri gli fece già di nuovi trastulli; avea costui una sua moglie, la quale ogni notte di verno si levava in sul mattutino a vegliare e filare lo stame a filatoio presso al letto di Buonamico, non essendovi altro in mezzo che ’l muro di mattone soprammattone, come detto è. E Buonamico vegliava da dopo cena infino a mattutino, sí che a mattutino andava a dormire, e ’l pennello si riposava quando il filatoio cominciava. Essendo il focolare, dove costei cocea, allato al detto muro, pensò Buonamico una nuova astuzia; però che, avendo considerato che questa buona donna, quando cocea, mettea la pentola rasente a quel muro, fece un foro con un succhio in quel muro, rasente a quella pentola, e poi lo turava con un pezzuolo di mattone in forma che la donna non s’accorgesse. E quando pensava o vedea che la donna mettesse a fuoco, avea uno soffionetto di canna assai sottile, e in quello mettendo sale, quando sentía non esservi la donna, mettendolo per lo foro all’orlo della pentola, vi soffiava entro per forma che nella pentola metteva quanto sale volea.
E avendo per cosí fatta forma salato la pentola che quasi mangiare non si potesse, tornando Capodoca a desinare, la prima volta gridò assai con la donna, e in fine conchiuse, se piú cadesse in simile follia, gli farebbe Roma e Toma. Di che Buonamico che ogni cosa sentía, per adempire il suo proponimento, insalò la seconda volta molto piú che la prima. E tornando il marito per desinare e postosi a mensa, venendo la scodella, il primo boccone fu sí insalato che glilo convenne sputare, e sputato e cominciato a dare alla donna fu tutt’uno, dicendo:
- O tu se’ impazzata o tu inebbrii, ché tu getti il sale e guasti il cotto per forma che, tornando dalla bottega affaticato, non posso mangiare come fanno gli altri.
La donna rispondea a ritroso; e colui con le battiture si svelenava tanto che ’l romore andò per la contrada, e Buonamico, come vicino piú prossimano trasse, ed entrando in casa, disse:
- Che novelle son queste?
Dice Capodoca:
- Come diavolo, che novelle sono? Questa ria femina m’ha tolto a consumare; e’ pare che qui siano le saliere di Volterra, che io non ho potuto due mattine assaggiare del cotto ch’ell’abbia fatto, tanto sale v’ha messo dentro; e io ho di molto vino d’avanzo! ché n’ho un poco, e costommi fiorini otto il cogno e piú.
Dice Buonamico:
- Tu la fai forse tanto vegliare che quando ella mette a fuoco, come persona addormentata non sa quello ch’ella si fa.
Finito il romore, dopo molte parole, dice Capodoca:
- Per certo io vederò se tu se’ il diavolo; io tel dico in presenza di Buonamico: fa’ che domattina tu non vi metta punto di sale.
La donna disse di farlo. Buonamico lasciò quella pentola nella sua sciocchezza. E tornato il marito a desinare, e assaggiando la sciocca vivanda, comincia a mormorare dicendo:
- Cosí vanno i fatti miei; egli è peggio questa vivanda che l’altra; va’, recami del sale che vermocan ti nasca, sozza troia, fastidiosa che tu se’, che maladetta sia l’ora che tu c’entrasti; che io non so a che io mi tengo che io non ti getti ciò che c’è nel viso.
La donna dicea:
- Io fo quello che tu mi di’; io non so che modo mi tenga teco; tu mi dicesti che io non vi mettesse sale punto, e io cosí feci.
Dice il marito:
- E’ non s’intendea che tu non ve ne mettessi un poco.
La donna dicea:
- E se io ve n’avessi messo, e tu m’averesti zombata come ieri, sí che per me io non ti posso intendere; dammelo oggimai per iscritto di quello che tu vuoi che io faccia, e io n’avrò consiglio sopra ciò di quello ch’io debbo fare.
Dice il marito:
- Vedila! ancora non si vergogna; io non so a ch’io mi tengo che io non ti dia una gran ceffata.
La donna gonfiata, per non ricorrere il passato dí, si stette cheta per lo migliore. E Capodoca, quando ha mangiato come ha potuto, dice a lei:
- Io non ti dirò oggimai, né non insalare né insala; tu mi déi conoscere; quando io troverò che la cosa non facci a mio modo, io so ciò ch’io m’ho fare.
La donna si strigne nelle spalle, e ’l marito ne va alla bottega. Buonamico, che ogni cosa avea sentita, si mette in punto col sale, e col soffione per la seguente mattina che venne in giovedí; che sono pochi che in tal mattina non comprino un poco di carne, stando a lavorare tutta la settimana, come facea costui. Avendo il mercoledí notte assai male dormito Buonamico e a suono di filatoio, come in sul fare del dí el filatoio ebbe posa per mettere la carne in molle la donna e trovare la pentola, e per accendere il fuoco spezzare col coltellaccio alcuno pezzo di legne, cosí Buonamico col sale e col soffione si misse in guato; e preso tempo, se la seconda volta avea molto piú salato che la prima, la terza salò ben tre cotanti; e questo fece passata terza per due cose: la prima, perché questa donna insino a terza non facea altro che assaggiare la pentola, mettendovi il sale a ragione, dicendo: «Ben vedrò se ’l nimico di Dio serà ogni mattina in questa pentola»; la seconda era, perché la donna ogni mattina, sonando a Signore a una chiesa sua vicina, andava a vedere il Signore, e serrava l’uscio; sí che in quell’ora i saggi erano fatti, ed elli poteva molto bene soprasalare.
Fatte tutte queste cose, e venendo l’ora e tornando Capodoca a desinare, postosi a tavola e venendo la vivanda, come l’ebbe cominciata a mangiare, cosí il romore, le grida e le busse alla moglie in tal maniera furono che tutta la contrada corse; dicendo ciascuno la sua.
Costui avea tant’ira sopra la donna, che quasi non si sentía; se non che Buonamico giunse, e accostandosi a lui, il temperò dicendo:
- Io t’ho detto piú volte che questo vegliare, che tu fai fare a questa tua donna, è cagione di tutto questo male. E simil cosa intervenne un’altra volta a un mio amico, e se non che levò via il vegliare, mai non averebbe mangiato cosa che buona gli fosse paruta: Santa Maria! hai tu sí gran bisogno che tu non possa fare sanza farla vegliare?
Molto fu malagevole a temperare il furore di Capodoca che non volesse uccidere la moglie. Infine gli comandò innanzi a tutti i vicini che, se ella si levasse piú a vegliar mai, che le farebbe giuoco ch’ella dormirebbe in sempiterno. La donna per paura non si levò a vegliare piú d’un anno, e Buonamico poté dormire a suo senno; in fuor che da ivi ben a quattordici mesi, essendosi la cosa quasi dimenticata, ch’ella ricominciò; e Buonamico, non avendo arso il soffione, seguí il suo artificio; tanto che Capodoca ricominciò anche a risonare le nacchere; e Buonamico con dolci parole il fece molto piú certo per lo caso che tanto tempo era stato che, non vegliando la donna, la pentola sempre era stata insalata a ragione; e a Capodoca parve la cagione essere verissima, per tanto che con minacce e con lusinghe trovò modo che la donna non vegliò mai piú, ed ebbe buona pace col marito, scemando a lei grandissima fatica di levarsi ogni notte, come facea; e Buonamico poté dormire senz’essere desto da cosí grande seccaggine, come gli era il filatoio. E cosí non è sí malizioso uomo né sí nuovo che non se ne truovi uno piú nuovo di lui. Questo Capodoca fu nuovo quanto alcun suo pari; e fu sí nuovo che nelle botteghe, dove lavorò d’arte di lana, e spezialmente in quella de’ Rondinelli, fece di nuove e di strane cose, come già furono raccontate per Agnolo di ser Gherardo, ancora piú nuovo di lui. E questo Buonamico fu ancora via piú nuovo, e la pruova della presente novella il manifesta.
E cosí interviene spesso di tutte le cose e massimamente sopra cosí fatti uomeni che truovono spesso di quelle derrate che danno altrui. E sono questi cosí fatti uomeni sí ciechi di loro che non credono che piacevolezza sia, se non quella che ciascuno in sé e in altrui adopera. Se io scrittore dico il vero, guardisi l’esemplo: come a uno di questi tali, o a giullari, o a uomeni di corte, che sono quasi simili, apparisce uno che con una cosa che faccia, o con un motto gli morda, o mostri me’ di loro, subito pèrdono che paiono morti. Non è altro a dire, se non che si fidano tanto in loro detti e malizie e trastulli solo perché pensano nessuno sapere né fare né dire, com’eglino. Ed eglino cosí ne rimangono spesso ingannati, come tutto dí si vede; e hanno spesse volte tal derrate che si rimangono con le beffe e col danno, come fece questo Capodoca e molti altri già stati, come tutto dí si truova nelle cose moderne, e per scritture de’ passati tempi.