Novella CLXXVII

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CLXXVI CLXXVIII

Il piovano dell’Antella di Firenze sente che messer Vieri de’ Bardi fa venire magliuoli da Corniglia; truova modo, quando vengono, gli fa scambiare e to’ gli per lui, e quello che seguita.

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Tanto è grande lo studio divino che da un gran tempo in qua gran parte delli Italiani hanno sí usato ogni modo d’avere perfettissimi vini che non si son curati mandare, non che per lo vino, ma per li magliuoli d’ogni parte; acciò che ognora se gli abbino veduti e usufruttati nella loro possessione; e perché siano stati cherici, non hanno aúto il becco torto.
Fu, non è molti anni, uno cavaliere ricco e savio nella città di Firenze che ebbe nome messer Vieri de’ Bardi, il quale era vicino al piovano all’Antella, là dove a un suo luogo dimorava spesso. E veggendosi in grande stato, per onore di sé e per vaghezza di porre nel suo alcuno nobile vino straniero, pensò trovare modo di far venire magliuoli da Portovenere della vernaccia di Corniglia. E per alcuno amico fece scrivere a un messer Niccoloso Manieri da Portovenere che quelli magliuoli dovesse mandare. E aúto buona risposta, trovandosi alcuna volta con messer lo piovano in quella villa suo vicino, dicea come avea trovato modo d’avere de’ magliuoli della vernaccia di Corniglia, e che gli aspettava d’ora in ora. Il piovano, udendo messer Vieri, e avendone aúto voglia gran tempo, disse:
- Ben fate; ma quanto io per me vorrei vitigni che facesseno vino assai; cotesto è vitigno da far debito.
Messer Vieri rispose:
- Io non lo pongo per avanzare, ma per farne cortesia.
E cosí per alquanti dí si rimase la cosa, tanto ch’e’ magliuoli un giorno giunsono in su la sera che era domenica e ’l piovano per avventura era col detto messer Vieri. E messer Vieri avendo letta la lettera, disse:
- Ecco il fatto.
E ’l piovano rispose:
- Guardate che voi non gli poneste se la luna non dà volta.
Messer Vieri dice che non sapea gli andamenti della luna.
- Quando fia buon porli?
E quelli rispose:
- Da domane in là; sotterrategli istasera in qualche luogo qui di fuori, e poi gli porrete.
Messer Vieri cosí fece fare; e ’l piovano si tornò alla sua pieve, là dove subito ebbe due lavoratori, li quali, come che fosse da sera, andassono a portare certe sue pergole d’uve angiole e verdoline e sancolombane e altri vitigni, e subito le recassono; li quali cosí feciono; e recate che l’ebbono, il piovano disse:
- Voi avete andare con questi magliuoli al luogo di messer Vieri de’ Bardi, dove voi troverrete dal tale lato sotterrati certi magliuoli; recatemi quelli e in quel luogo sotterrate questi.
Costoro ubbidenti, subito andorono; e fatta la faccenda, gli recorono al piovano; il quale detto loro che mai alcuna cosa ne dicessono, la mattina di buon’ora in un suo pezzo di terra divelta fece porre i detti magliuoli, e messer Vieri similmente fece porre quelli che gli erano stati scambiati. E cosí li due posticci stettono due anni anzi che mostrasseno l’uve, come è della ragione de’ posticci. Quando l’uve si cominciorono a vedere, e messer Vieri andando per lo suo posticcio, il quale credea essere vernaccia da Corniglia, vide nuove ragione d’uve al suo intendimento, e dove bianche di ragione verdigna e dove cimiciattole e dove angiole, e cosí diversi vitigni, come nel piú delle vigne poste alla mescolata si truova.
E con tutto questo di grappolo in grappolo molti acini assaggioe, tanto che facendo una assaggiatura di quasi tutti i grappoli, ebbe fatto sí grande corpacciata che quasi per lo ’nfiamento del dolore e per lo mangiare degli acini non potea ritornare a casa. E veramente il suo fu grandissimo dolore, però che dietro a lunga fatica, aspettando il frutto, se ne truovò fuori.
Di che stando in questa afflizione, subito scrisse a messer Niccoloso da Portovenere come molto bene l’avea servito de’ magliuoli, li quali gli avea mandati di forse due anni; però che, dove credea gli avesse mandati magliuoli da Corniglia, gli avea avuti di vitigni dolorosi e tristi, i quali ogni volta si poteano vedere. Aúto la lettera messer Niccoloso, come colui che si sentía avere ben servito l’amico suo, subito si turboe, come colui che veramente con l’occhio era stato a far potare la migliore vernaccia di Portovenere; e riscrisse a messer Vieri che elli per sé gli avea mandato diritti magliuoli di vernaccia; e se trovava il contraro, che suo difetto non era, ma che elli cercasse bene, che o per cammino o a casa sua non fossono stati scambiati.
Avendo messer Vieri la lettera, non pensò mai se non come potesse rinvenire il fatto; e tanto si diede attorno, sappiendo chi in quelli tempi per lo paese avea poste vigne, che gli venne trovato che ’l piovano dell’Antella gli avea scambiati i detti magliuoli, come a drieto è stato detto. Di che sappiendo ciò, e’ s’avea pensato fare cose incredibili contro al piovano; e sarebbonli venute fatte, se non che gli venne maggiore fortuna, la quale gli fece dimenticare tutte queste cose; però che in questo tempo i Bardi furono cacciati, di che il piovano si rimase co’ magliuoli e usufruttolli tutto il tempo della sua vita, e ancora s’usufruttano per li successori. Questa novella mi fu narrata a Portovenere, là dove io scrittore nel 1383 arrivai, andando a Genova: e fummi interamente detta pur un’altra novella, la quale quel medesimo giorno avvenne che fu questa.
Andando uno villano di Portovenere un giorno nei dí di marzo quando là mi trovai, a potare quella medesima vigna donde questi magliuoli erano venuti; e intrando in una gondoletta, come hanno d’usanza, per mare, e approdare e scendere appiè delle vigne, e portando un poco di vivanda per mangiare, e legando la gondoletta quando è sceso in terra; ed essendo d’usanza, per la quantità di molti lupi che sono in quel luogo, alcuna volta venire di quelli alla riva e lanciarsi nella barchetta e pascersi e di pane e di carne che truovono; cosí in questo di uno affamato lupo si lanciò in quella barchetta, la quale non essendo bene legata, subito essendo pinta dal lupo, si scostò dalla riva, e in poca d’ora fu per mare di lungi da terra messer lo lupo piú di trenta braccia. E ’l contadino, il quale era attento a potare la vigna, pur volgendosi, come spesso usano, verso il mare, vide la barchetta sua partita dalla riva e pigliar mare; e non scorgendo bene chi la menava, cominciò a gridare:
- O tu che meni la mia barca, torna alla riva che ti nasca il vermocane, che per lo sanghe de De ti farò appiccare alle forche basse.
E cosí gridando e strangolandosi e non veggendo tornare la barca indietro, ma dilungandosi piú tosto dalla proda, corse giú per la piaggia in verso il mare, e chiamando e guardando ben fiso, ebbe veduto il lupo nella barca. E vedutolo e fattosi il segno della croce, e gridato: «Soccorrete, soccorrete», era tutt’uno. Tanto che di voce in voce il romore giunse a Portovenere, là dove la gente tutta cominciò a correre, chi con le balestra, e chi con la lancia, e chi con ispiedi; ed entrati in certi legni e navicando verso il romore, giunsono alla piaggia dove il contadino gridava; e domandandolo della cagione del romore, rispose:
- Vedé gran maraviglia che ’l lupo cozzí se ne va con la mia barchetta.
Costoro voltisi a quella, danno de’ remi in acqua, e giunti intorno alla barca dove era il lupo, cominciano ad alte voce, tirando le balestra:
- In fé di Dio, messer lo luvo, vo’ farrí il mal viaggio.
Gli atti che ’l lupo facea, veggendosi colto in mare, erano cosa maravigliosa; e costoro attorniatolo con loro legni e con le balestra cariche, comincioronlo a saettare, tanto che il lupo fu morto. Morto il lupo, levorono il contadino su la sua barca e fecionlo sedere sul lupo, e con gran festa nel menorono a Portovenere, facendosi ciascuno maraviglia di tal caso, godendo tutta la brigata insieme, mangiorono questo lupo. E maestro Ubertino di Fetto Ubertini in teologia, frate eremitano, in quello tempo, tornando da Genova, trovai in Portovenere, il quale, com’io, fu presente a tutte queste cose.
E veramente considerando questo caso, chi fia colui che sappia dove dee morire e come, pensando dove i lupi spesse volte son presi? E qual caso di morte piú nuovo che esser preso e morto un lupo, per aver messo la coda nel cocchiume d’una botte, grattandosi della rogna, o della stizza, come addietro nella novella è fatta menzione? E qual caso piú nuovo che essendo un lupo quell’animale ch’è, piú selvaggio e piú terreno e piú spaventevole e spezialmente perché egli è quella bestia che piú ha d’ardire a uccidere la natura umana, essersi condotto in un piccolo battello per mare a esser morto per questa forma? Io per me credo che quando queste cose intervengono ci sono mostrate per figura dall’eterno Dio, se noi le conoscessimo. E non sono affigurati i lupi a’ tiranni? e qual tiranno è che possa vivere sicuro e guardisi, quantunche sa che il piú delle volte non sia colto a nuove tagliuole e in luogo dove l’uomo non lo penserebbe giammai? Ma ancora ci ha piú nuova cosa: che quelle pecorelle, le quali piú elli devorano, sono quelle che danno loro morte, come intervenne a questo lupo.
S’e’ tiranni lupigni pensassino alla presente novella, piú tosto porterebbono vestigio e natura di pecorella che di lupo; ma la superbia e l’avarizia vuole che ciascuna città per li suoi peccati sia dilungata da’ giusti pastori e soggiaccia sotto a’ lupi rapaci, li quali sono nimici della justizia e amici della forza.