Novella CLXXVI

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Scolaio Franchi da Firenze, beendo con certi e avendo un bicchiere di trebbiano in mano e avendo commendate le bontà di quello, Capo del Corso con dolce modo gli lo toglie.

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Un’altra beffa, forse mai piú non usata, mi tira dover dire quello che intervenne a un piacevole fiorentino, il quale era di età di settantacinque anni o piú, ed ebbe nome Scolaio Franchi. Costui essendo buono bevitore e vicitando volentieri le taverne dove i buon vini si vendeano, vendendosi una mattina uno buon trebbiano a una taverna in Firenze, luogo che si chiama al Fico; e questo Scolaio andandovi a bere egli e uno Guido Colombi e Bianco di Bonsi, essendo mesciuto una terzeruola e avendo ciascuno i bicchieri in mano, e specchiando gli occhi loro nel vetro e in quello trebbiano che era buono e chiaro, di color d’oro; e Scolaio guatando nel bicchiere, comincia a dire:
- O lavoratori, benedetti siate voi che lavorate queste vigne; e maledetto sia chi mai vi pose estimo; ché le vostre mani si vorrebbono imbalsimare. E se voi non fosse, che vino potremmo noi mai bere? per lo corpo di Dio, se mai mi truovo de’ Priori che io troverrò modo che ne’ loro estimi e nelle loro imposte e’ saranno sgravati. E non si ved’egli che durano tutto l’anno fatica per noi quelli che governono queste vigne? non ne beono per loro, e tutto ciò che fanno, fanno per noi. Se voi non mi credeste, sappiate chi lavorò queste vigne, voi troverrete che beono aceto annacquato. Or dunque non è egli gran male a chiamarli villani, affaticandosi in ogni cosa per dare a noi? Si possono molto piú tosto chiamare cortesi, ed essere veramente figliuoli di Dio, il quale ogni cosa fa per noi, e cosí costoro.
E cosí col bicchiere in mano, seguendo il ragionamento, venne in su uno parlare divino , dicendo a’ compagni:
- Io vo’ che voi sappiate che nel principio del mondo fu deliberato che Scolaio beesse questo bicchiere di trebbiano.
Era appresso dirieto a lui uno amico del detto Scolaio, chiamato Capo del Corso; il quale, avendo udito la predica che Scolaio avea fatta sul bicchiere, e in fine udendoli dire che ab eterno era stato deliberato che beesse quello bicchiere di trebbiano, subito manda la mano oltre e leva quel bicchiere di mano a Scolaio, dicendo:
- Anzi fu deliberato che io il dovea bere io -; e detto questo e beútolo, fu tutt’uno.
Scolaio si volge, e veggendoli essere stato tolto e beúto il suo bicchiero da Capo del Corso, di cui era amico, disse:
- Vatti con Dio, Capo, che io non dirò mai piú queste parole, che io non lo bea in prima.
Disse Capo:
- E tu farai molto bene, se tu non vuoi errare, però che ogni cosa è giudicata nel suo fine; e però quello bicchiere dovea essere mio e non tuo.
Disse Scolaio:
- E però non lo dirò io mai piú che io non bea prima.
Questi furono due motti di gran piacevolezza; lo primo fu quello di Scolaio che propose la questione del destinato; e Capo del Corso la fortificò e assolveo; e questo fu il secondo.
O dolcezza del frutto che piantò Noè! Quante belle novelle si potrebbon dire di molti che hanno oltre modo seguito il sugo delle vite; e ancora si potrebbono contare delle vituperose che hanno seguito coloro che trasordinatamente hanno usato l’uso del vino; però che nessun frutto fece il nostro Signore Dio che tanto dea dolcezza e conforto e mantenimento alla natura umana, quanto fu questo, usandolo moderatamente; e cosí per e converso niuno è che tanto distrugga il corpo umano quanto questo, usandolo stemperatamente.
Volesse Dio che gli uomeni del mondo, e spezialmente li gioveni, se ne avvedesseno, li quali oggi darebbono scaccomatto e a Scolaio Franchi e a Capo del Corso, essendo fatti non bevitori ma gorgioni, beendo la mattina piú volte, innanzi che sia l’ora del desinare, malvagía. E con questa cosí fatta virtú vogliono soprastare a quelli che potrebbono essere loro padri, dicendo essi essere piú degni de’ reggimenti delle terre di Bacco, che coloro li quali, con virtú e con temperanza, discretamente vivono.