Novella CCV

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Messer Ubaldino della Pila fa tanto dell’impronto con un Vescovo, che fa licenziare al Vescovo che uno suo ortolano si faccia prete, e vienli fatto.

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Molto fece dell’impronto per avere da uno Vescovo il suo intendimento messer Ubaldino della Pila, il quale, secondo il vero, essendo degli Ubaldini e stando piú del tempo a sue castella, aveva allevato un garzone contadino, il quale avea tenuto per fante e per ortolano. Essendo l’un dí piú grosso che l’altro, veggendo che non era piú da perdere tempo in lui, cercò di levarlo dalle cose terrene, e con le callose e dure mane metterlo ad esercitare le cose divine; e cominciollo a fare cherico, sanza sapere quasi leggere; e quanto piú venía in tempo, meno sapea. Dopo questo, cercò di farlo prete d’una sua chiesa; e convenendo che avesse la licenzia dal Vescovo, e mandarlo a lui che lo desaminasse, lo mandò adornato quanto poteo con panni d’altro cherico; e ammonitolo che modi dovesse tenere nel giugnere, nello stare e nel partire, li diede una lettera, la quale per sua parte appresentasse al detto Vescovo. Il cherico ammaestrato, ma non che nel capo li fosse entrato, si mosse, grossolano come era, e con la lettera andò accompagnato da un altro, tanto che pervenne dinanzi al Vescovo; e come giunse, dà la lettera a messer lo Vescovo, e appena mettendosi la mano al cappuccio, disse:
- Dio vi salvi, messere.
Disse il Vescovo:
- Qual se’ tu?
E quelli rispose:
- Vegno di villa.
E ’l Vescovo disse:
- Cosí mi pare -; e lesse la lettera.
Letta che l’ebbe, fece una risposta a messer Ubaldino, dicendo che si maravigliava che elli volea fare prete un montone; e ritornossi con la lettera indrieto. Messer Ubaldino ammaestrandolo di nuovo, altra volta lo rimandò a lui, il quale ancora era piú ingrossato che prima. E ’l Vescovo risponde che ciò non può fare sanza sua grandissima vergogna, e che l’avesse per iscusato. E abbreviando la novella, mandando piú volte per questa cagione, e ’l Vescovo non consentendo, però che ’l cherico, non che gli paresse da ciò, ma e’ gli parea quasi piú tosto bestia che persona, in fine lo mandò a lui, pregandolo caramente per una lettera, dicendo:
«Io vi prego che ne facciate un prete chente n’esce».
Il Vescovo, udendo questo vocabolo, parve che dicesse: «Qui non si può dire di no»; e diede licenzia che se ne facesse un prete chente n’uscisse; e fu fatto prete chente n’uscío. E messer Ubaldino il mise nella sua chiesa; della quale si può dire che facesse uno porcile, però che non vi mise prete, ma misevi un porco per le spese, il quale non avea né gramatica, né altro bene in sé; ché quando dicea il pater nostro e volea dire: sicut in coelo et in terra , e quelli dicea: se culi in cielo e se culi in terra ; e altre cose strane come la sua grossezza l’avea dotato. E cosí tenne quel beneficio per messer Ubaldino, ché, quanto verso Dio, fu maleficio.
Molto n’è pieno il mondo di questi cosí fatti preti; che Dio il sa se, non sappiendo le parole della messa altramente che si sappiano se quello che celebrano è il corpo di Cristo; ma secondo la novella si potrebbe dire: «Egli è chente n’esce». E questi cotali non basta loro una chiesa, ma spesso n’hanno due o tre per uno.
E a cosí fatti sacerdoti il nostro Signore in molti paesi viene nelle mani! Grande ignoranzia è de’ maggiori prelati a correre a farli sí di leggiero, e l’avarizia vuol pur che cosí sia.