Il Tesoro (Latini)/Illustrazioni al Libro V/Capitolo VII

Brunetto Latini - Il Tesoro (XIII secolo)
Traduzione dalla lingua d'oïl di Bono Giamboni (XIII secolo)
Capitolo VII
Illustrazioni al Libro V - Capitolo VI Illustrazioni al Libro V - Capitolo VIII
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lerii’ò

a dichiarazioue le parole del teste ricordatu Solino, a cui si vede aver attinto Brunetto. Sci/tale tanta praefuìget tergi varietate, utnotarumgratia videnies retardet; et quoniam reptando pigrior est, quos assegni nequif, miraculo sul capìiat stiipentes.

Capitolo VI.

il Sono ne avverte, che le notizie sulla vipera ed i suoi parti, leggonsi in Plinio lib. X cap. 62: in s. Ambrogio, Lib. exaemeion: in s. Girolamo, Epistola ad Praesidium.

La vipera è ovivipara, e partorisce vivi i figli, schiusisi prima nel suo ventre. Di qui le favole raccolte da Brunetto. Alcuni zoologi dicono ancora, che essa in caso di pericolo inghiottisca i suoi piccoli figli: ma nulla più.

Capitolo VII.

Tutti i nostri poeti erotici si paragonarono alla salamandra, che si volle incombustibile Questa è una Tavola, troppo comoda peraltro ai petrarchisti, perchè la ripetessero in mille versi. Alcuni zoologi di

questo Ijicertiade nanaiio solo, che da’ pori trasuda [p. 279 modifica]

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tanto umore che basterebbe ad estinguere un piccolo iuoco. La credulità vi aiiunse l’iperbole.

Del lusardo, o lucertola, lasciò Dante questa pittura:

Come
il ramarro sotto la gran lersa
Ne’ dì canicular, cangiando siepe,
Folgore pare, se la via attraversa.

(luf. XXV).

(jruido Guinicelli così allude allo splendore, ed alla incolumità della salamandra nel fuoco:

La sua beltà piacente,
E ’l fino amor, ch’è puro,
Inver me, che son puro,
È in lei tutta piangenza
Regna pregio valente,
E valor, che non curo dir sì allo.
Tanto vi è piagenza.
Già per voi lo meo core
Altisce in tal lucore
Che si ralluma come
Salamandra in foco vive.
Che in ogni parte vive - lo meo core.

(Propug?iatoie, anno X (1877) Disp. 2. Caìizoniere

Chigi avo L. VTIL ’ÀOr). [p. 280 modifica]
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Capitolo Vili.

Mese ci dà questa sublime descrizione dell’aquila, che addestra al volo i suoi figliuoli. Ricorda i beneficii fatti da Dio al suo popolo: «Circumduxit eum, et docuit, et custodivit quasi pupillam oculi sui. Sicut aquila provocans ad volandum pullos suos, et super eos volitans, expandit alas suas, et assumpsit eum, atque ()ortavit in humerissuis. (Deuieronom. XXXII).»

È antica la credenza, ch’ella riconosca i suoi parti se guardino impunemente il sole. Vi allude r Ariosto in un sonetto, attribuito da alcuno all’Accolti:

Perchè
simili siano e degli artigli
E del capo e del petto e delle piume,
Se manca in lor la perfezion del lume
Riconoscer non vuol l’aquila i figli.

Dice Brunetto: «Eie vole en si haut vers la chalor don soleil, que plumes ardent, avec tote l’oscurtè de ses jaus.» Bono traduce: Le scorze degli occhi. Volle dire le palpebre. Si noti, che nel Veneto si chiamano scuri, le imposte delle finestre, che fanno ciò che le palpebre agli occhi; cioè ì’oscurtè de jaus.