Il Tesoro (Latini)/Illustrazioni al Libro V/Capitolo VIII
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Traduzione dalla lingua d'oïl di Bono Giamboni (XIII secolo)
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Mese ci dà questa sublime descrizione dell’aquila, che addestra al volo i suoi figliuoli. Ricorda i beneficii fatti da Dio al suo popolo: «Circumduxit eum, et docuit, et custodivit quasi pupillam oculi sui. Sicut aquila provocans ad volandum pullos suos, et super eos volitans, expandit alas suas, et assumpsit eum, atque ()ortavit in humerissuis. (Deuieronom. XXXII).»
È antica la credenza, ch’ella riconosca i suoi parti se guardino impunemente il sole. Vi allude r Ariosto in un sonetto, attribuito da alcuno all’Accolti:
Perchè
simili siano e degli artigli
E del capo e del petto e delle piume,
Se manca in lor la perfezion del lume
Riconoscer non vuol l’aquila i figli.
Dice Brunetto: «Eie vole en si haut vers la chalor don soleil, que plumes ardent, avec tote l’oscurtè de ses jaus.» Bono traduce: Le scorze degli occhi. Volle dire le palpebre. Si noti, che nel Veneto si chiamano scuri, le imposte delle finestre, che fanno ciò che le palpebre agli occhi; cioè ì’oscurtè
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encomiate dal maestro:
Vidi rivolta, e riguardar nel sole:
Aquila sì, non gli si affisse imquanco
(Par. I.)
Poi mi parea, che, più rotata un j)Oco,
Terribil come (blgor discendesse,
E me rapisse suso infino al foco
(Purg. IX).
Questo Cai)itolo è tratto dalla Falconeria di Federico II, e la Alberto Magno, Traclatvs de animalibKs, lib. XXIIl.
Capitolo IX.
Incominciando da questo capitolo, il Nannucci nel suo Marmale di Letteratura del primo secolo, riporta i brani del poema di Dodo di Prada, Des auzels cazzadors, che hanno riscontro coi capitoli di ser Brunetto sull’argomento medesimo.
Capitolo XII.
Continua per cinque capitoli ser Brunetto a ragionare sugli astori, sugli sparvieri, sugli smerli,