Il Tesoro (Latini)/Illustrazioni al Libro II/Capitolo XXXVII
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Traduzione dalla lingua d'oïl di Bono Giamboni (XIII secolo)
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Capitolo XXXVII.
Insegna il maestro: Alcun vapore secco, quando egli è montato tanto, che s’apprende per lo caldo ch’è a monte, egli cade immantinente ch’egli è appreso inver la terra, tanto che si spegne ed ammortiscesi.
Ripete il discepolo:
Vapori accesi non vid’io sì tosto
Di prima notte mai fender sereno
(Purg. V.)
Quale per li seren’ tranquilli e puri
Discorre ad ora ad or subito foco,
Movendo gli occhi che stavan sicuri,
E pare stella che tramuti loco,
Se non che dalla parte onde s’accende
Nulla sen perde, ed esso dura poco
(Par. XV.)
Ripete il Poliziano nelle sue Stanze
Così e’ vapor pel bel seren giù scendono,
Che paion stelle mentre l’aër fendono.
(Canto II.)
Sul foco che arde nell’aere per lo cozzare delle nubi, cantava Guido Guinicelli:
Madonna, udito ho dire |
(Propugnatore, anno X, Parte I. pag. 129.)
Ancora sul Capitolo XXXVII.
Brunetto parla molto inperfettamente sull’iride. Pare che i quattro colori somministrati dai quattro elementi, gli abbiano fatto perdere la diritta via.
Dante invece:
E come l’aere, quando è ben piorno,
Per l’altrui raggio che in sè si riflette
Di diversi color’ si mostra adorno
(Purg. XXV.)
...... distinto
Di sette liste, tutte in quei colori
Onde fa l’arco il sole.
(Purg. XXIX.)
Come si volgon per tenera nube
Due archi paralleli e concolori,
Quando Giunone e sua ancella jube,
Nascendo di quel d’entro quel di fuori,
A guisa del parlar di quella vaga
Che amor consunse, come sol vapori.
(Parad. XII.)
Ancora sul Capitolo XXXVII.
Il vento da Bono tradotto Garbon, nel Testo è le Garb. Pare sia quello di Dante:
o vero a nostral vento,
O vero a quel della terra di Iarba.
(Purg. XXX.)