Capitolo II

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Seguita appresso (e sia il secondo saggio): "Doluimus primum, quod magni nominis viro hæc displicerent; deinde consolationis loco fuit, ab eodem Aristotelem ipsum, Tychonem, aliosque, non multo mitius hac in disputatione habitos: ut sane non aliæ iis texendæ forent apologiæ, quibus communis cum summis ingeniis causa satis, vel ipsis silentibus, apud æquos æstimatores pro se ipsa peroraret."

Qui dice, aver da principio sentito dolore che quel Discorso mi sia dispiaciuto, ma soggiunge essergli stato poi in luogo di consolazione il veder l’istesso Aristotile, Ticone ed altri esser con simile asprezza tassati; onde non erano di mestieri altre difese a quelli che nell’accuse fussero a parte con ingegni eminentissimi, la causa stessa de’ quali, anco nel lor silenzio, appresso giusti giudici assai da per se stessa parlava e si difendeva. Dalle quali parole mi par di raccorre che, per giudicio del Sarsi, di quelli che intraprendono a impugnar autori d’ingegno eminentissimo si debba far così poca stima, che né anco metta conto che alcuno si ponga alla difesa de gli oppugnati, la sola autorità de’ quali basta a mantener loro il credito appresso gl’intendenti. E qui voglio che V. S. Illustrissima noti come il Sarsi, qual se ne sia la causa, o elezzione o inavvertenza, aggrava non poco la reputazion del P. Grassi suo precettore, principale scopo del quale nel suo Problema fu d’impugnar l’opinion d’Aristotile intorno alle comete, come nella sua scrittura apertamente si vede e l’istesso Sarsi replica e conferma in questa, alla fac. 7; di modo che se i contradittori a gli uomini grandissimi devono esser trapassati, il P. Grassi doveva esser un di questi. Tuttavia noi non solamente non l’abbiamo trapassato, ma ne abbiamo fatto la medesima stima che de gl’ingegni eminentissimi, accoppiandolo con quelli; sì che in cotal particolare altrettanto viene egli da noi essaltato, quanto dal suo discepolo [p. 225 modifica]abbassato. Io non veggo che il Sarsi possa per sua scusa addurre altro, se non che il suo senso sia stato che degli oppositori a gl’ingegni eminentissimi si devono ben lasciar da banda i volgari, ma all’incontro pregiar quegli ch’essi ancora sono eminentissimi, tra i quali egli abbia inteso di riporre il suo Maestro, e noi altri tra i popolari, onde per cotal rispetto quello che al Maestro suo si conveniva fare, a noi sia stato di biasimo.