Il Re Torrismondo/Atto quarto/Scena terza
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SCENA TERZA
ROSMONDA, TORRISMONDO
ROSMONDA
È semplice parlar quel che discopre
La verità. Però narrando il vero,
Con lungo giro di parole adorne
Or non m’avvolgo. O Re, son vostra serva;
E vostra serva nacqui, e vissi in fasce.
TORRISMONDO
Non sei dunque Rosmonda?
ROSMONDA
Io son Rosmonda.
TORRISMONDO
Non sei sorella mia?
ROSMONDA
Nè d’esser niego,
Alto Signor.
TORRISMONDO
Troppo vaneggi, ah folle!
Qual timor, quale orror così t’ingombra,
Che di stato servil tanto paventi?
Da tal principio a ricusar cominci?
ROSMONDA
Se femmina ci nasce, or serva nasce
Per natura, per legge, e per usanza,
Del voler di suo padre, e del fratello.
Ma fra tutte altre in terra o prima, o sola
È dolce servitù servire al padre,
Ed alla madre, a cui partir l’impero
Ne figli si devria. Nè gli anni, o ’l senno
Fanno ogn’imperio del fratel superbo.
TORRISMONDO
Ubbidisci a tua madre, ove ti piaccia.
ROSMONDA
Io non ho madre, ma Regina, e donna.
TORRISMONDO
Non se’ tu di Rusilla unica figlia?
ROSMONDA
Nè unica, nè figlia esser mi vanto
Della Regina de’ feroci Goti.
TORRISMONDO
E pur se’ tu Rosmonda, e mia sorella.
ROSMONDA
Io sono altra Rosmonda, altra sorella.
TORRISMONDO
Distingui omai questo parlar; distingui
Questi confusi affanni.
ROSMONDA
A me fu madre
La tua nutrice, e poi nutrì Rosmonda.
TORRISMONDO
Nuova cosa mi narri, e cosa occulta,
E cosa, che mi spiace, e mi molesta.
Ma pur vizio è ’l mentir d’alma servile,
Talchè serva non se’, se tu non menti.
ROSMONDA
Serva far mi potè fortuna avversa
Dell’uno e l’altro mio parente antico.
TORRISMONDO
La tua propria fortuna il fallo emenda
Della sorte del padre, anzi il tuo merto.
ROSMONDA
Il merto è nel dir vero: il premio attendo
Di libertà, se libertà conviensi .
TORRISMONDO
S’è ciò pur vero, è con modestia il vero;
E men si crederia superbo vanto,
Se dee credere il mal l’accorto, e saggio,
Ove il creder non giovi.
ROSMONDA
È picciol danno
Perder l’opinion, ch’è quasi un’ombra,
E di finta sorella un falso inganno.
Anzi gran pro mi pare, ed util certo.
TORRISMONDO
Quasi povero sia de’ Goti il regno,
Cui può sì ricco far guerriera stirpe,
Le magnanime donne, e i duci illustri.
Ma, deh! come se’ tu vera Rosmonda,
E finta mia sorella, e falsa figlia
Della Regina degli antichi Goti?
Chi fece il grande inganno, o ’l tenne ascoso
Tanti e tanti anni? e qual destino, o forza,
La fraude e l’arte a palesar t’astringe?
ROSMONDA
Per mia madre, e per me breve io rispondo.
Fè l’inganno gentil pietà, non fraude,
E ’l discopre pietà.
TORRISMONDO
Tu parli oscuro,
Perchè stringi gran cose in picciol fascio.
ROSMONDA
Da qual parte io comincio a fare illustre
Quel, ch’oscura il silenzio, e ’l tempo involve?
TORRISMONDO
Quel che ricopre, alfin discopre il tempo.
Ma dalle prime tu primier comincia.
ROSMONDA
Sappi che grave già per gli anni, e stanca.
Dopo la morte d’uno e d’altro figlio,
Dopo la servitù, che d’ostro, e d’oro
Nell’alta reggia altrui sovente adorna,
La madre mia di me portava il pondo,
Con suo non leggier duolo, e gran periglio.
Onde quel che nascesse, a Dio fu sacro
Da lei nel voto: ed egli accolse i preghi.
Talch’il discender mio nel basso mondo
Non fu cagione a lei d’aspra partenza,
Nè ’l chiaro dì, ch’io nacqui, a lei funèbre.
TORRISMONDO
Dunque i materni, e non i proprj voti
Tu cerchi d’adempir, vergine bella?
ROSMONDA
Son miei voti i suoi voti; e poi s’aggiunse
Al suo volere il mio volere istesso,
Quel sempre acerbo, ed onorato giorno,
Che giacque esangue, e rende l’alma al Cielo,
Mentre io sedea dogliosa in sulla sponda
Del suo vedovo letto, e lagrimando
Prendea la sua gelata, e cara destra
Colla mia destra. E le sue voci estreme
Ben mi rammento, e rammentar men deggio;
Tra freddi baci, e lagrime dolenti,
Fur proprio queste: È pietà vera, o figlia,
Non ricusar la tua verace madre,
Che madre ti sarà per picciol tempo.
Io ti portai nel ventre, e caro parto
Ti diedi al mondo, anzi a quel Dio t’offersi,
Che regge il mondo, e mi salvò nel rischio;
Tu, se puoi, della madre i voti adempi,
E disciogliendo lei sciogli te stessa.
TORRISMONDO
La tua vera pietà conosco, e lodo.
Ma qual pietoso, o qual lodato inganno
Te mi diè per sorella, e l’altra ascose,
Che fu vera sorella, e vera figlia
Di magnanimo Re, d’alta Regina?
ROSMONDA
Fè mia madre l’inganno, anzi tuo padre.
E pietà fu dell’uno; e fu dell’altro
O consiglio, o fortuna, o fato, o forza.
TORRISMONDO
A chi si fece la mirabil fraude?
ROSMONDA
Alla Regina, tua pudica madre,
La qual mi stima ancor diletta figlia.
TORRISMONDO
In tanti anni del ver, delusa vecchia,
Non s’accorge, non l’ode, e non conosce
La sua madre la figlia, o pur s’infinge?
ROSMONDA
Non s’infinge d’amar, nè d’esser madre,
Se fu madre l’amor, che spesso adegua
Le forze di natura, e quasi avanza.
Nè di scoprire osai l’arte pietosa,
Che le schivò già noja, e diè diletto,
Ed or porge diletto, e schiva affanno.
TORRISMONDO
Ma come ella primiera al nuovo inganno
Diè così stabil fede, e non s’accorse
Della perduta figlia, e poi del cambio?
ROSMONDA
La natura, e l'età, che non distinse
Me dalla tua sorella, e ’l tempo, e ’l luogo,
Dove in disparte ambe nutriva, e lunge
La vera madre mia dall’alta reggia,
Tanto ingannò la tua: ma più la fede,
Ch’ebbe nella nutrice, e nel marito.
TORRISMONDO
Se la fede ingannò, l’inganno è giusto.
Ma dove ella nutrivvi?
ROSMONDA
Appresso un antro,
Che molte sedi ha di polito sasso,
E di pomice rara oscure celle
Dentro non sol, ma bel teatro, e tempio,
E tra pendenti rupi alte colonne,
Ombroso, venerabile, secreto.
Ma lieto il fanno l’erbe, e lieto i fonti,
E l’edere seguaci, e i pini, e i faggi,
Tessendo i rami, e le perpetue fronde,
Sicch’entrar non vi possa il caldo raggio.
Nelle parti medesme entro la selva
Sorge un palagio al Re tra i verdi chiostri;
Ivi tua suora, ed io giacemmo in culla.
TORRISMONDO
La cagion di quel cambio ancor m’ascondi.
ROSMONDA
La cagion fu del padre alto consiglio,
O profondo timor, che l’alma ingombra.
TORRISMONDO
Qual timore, e di che?
ROSMONDA
D’aspra ventura,
Che ’l suo regno passasse ad altri Regi.
TORRISMONDO
E come nacque in lui questa temenza
Di sì lontano male? o chi destolla?
ROSMONDA
Il parlar la destò d’accorte Ninfe,
Ch’altrui soglion predir gli eterni fati.
TORRISMONDO
Dunque diede credenza al vano incanto,
Ch’effetto poi non ebbe in quattro lustri?
ROSMONDA
Diede: e diede la figlia ancora in fasce
All’alpestre donzelle, o pur selvagge,
E tra quell’ombre in quell’orror nutrita
La fanciulletta fu d’atra spelonca.
TORRISMONDO
Perchè si tacque alla Regina eccelsa?
ROSMONDA
Quel palagio, quell’antro, e quelle Ninfe,
E quelle antiche usanze, e l’arti maghe
Eran sospette alla pietosa madre,
A cui mostrata fui, volgendo il sole
Già della vita mia il secondo anno;
Pur come figlia sua nè mi conobbe:
E ’l Re fece l’inganno, e ’l tenne occulto.
E per voler di lui s’infinse, e tacque
La vera madre mia, che presa in guerra
Fu già da lui nella sua patria Irlanda,
Ov’ella nata fu di nobil sangue.
TORRISMONDO
Vive l’altra sorella ancor nell’antro?
ROSMONDA
Vi stette appena insino al mezzo lustro,
E poi d’altri indovini altri consigli
Crebbero quel timore, e quel sospetto,
Talchè mandolla in più lontane parti,
Per un secreto suo fedel messaggio:
Nè seppi come, o dove.
TORRISMONDO
Il servo almeno
Conoscer tu dovresti.
ROSMONDA
Io nol conosco,
Nè so ben anco, s’io n’intesi il nome.
Ma spesso udía già ricordar Frontone,
E ’l nome in mente or serbo.
TORRISMONDO
Il Re celato
Tenne sempre alla moglie il cambio, e l’arte?
ROSMONDA
Tenne, sinchè ’l prevenne acerba morte,
Facendo lui co’ Dani aspra battaglia.
Così narrò la mia canuta, ed egra
Madre languente, e lui seguì morendo.
TORRISMONDO
Cose mi narri tu d’alto silenzio
Veracemente degne: e ’n cor profondo
Serbar le devi, e ritenerle ascose:
Chè i secreti de’ Regi al folle volgo
Ben commessi non sono, e fuor gli sparge
Spesso loquace fama, anzi bugiarda.
A me chiamisi il Saggio, e poi Frontone.