Il Parlamento del Regno d'Italia/Vincenzo Fardella di Torrearsa

Vincenzo Fardella di Torrearsa

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Ferdinando Monroy di Pandolfina Emerico Amari


Questo testo fa parte della serie Il Parlamento del Regno d'Italia


[p. LXV modifica]Vincenzo Fardella di Torrearsa.

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Nato in Trapani da illustre famiglia, nel luglio del 1808, ricevette nelle domestiche mura un’accurata educazione, che fece sviluppare in lui di buon’ora quei germi felici, consistenti sopratutto in una mente sveglia e pronta che ben s’accoppia con un carattere calmo e dignitoso ad un tempo.

Salito sul trono di Napoli Ferdinando II, sembrò voler questi dapprima tener conto delle tendenze liberali del proprio secolo col metter al posto dei vecchi e corrotti funzionarî dello Stato alcuni dei giovani, che si facevano maggiormente notare per onestà di modi e coltura d’ingegno; per tal guisa avvenne che il marchese di Torrearsa, il quale [p. 271 modifica]godeva digià di una riputazione splendida per la sua giovine età e che era d’altronde uomo importante pel rango che occupava la propria famiglia, fosse chiamato a direttore dei dazî indiretti.

Di questa maniera entrato nella gestione dei pubblici affari, il nostro protagonista ebbe maggior campo di darsi a conoscere, non solo quale abile e diligente amministratore, ma come uomo animato sempre dallo spirito di tornare utile alla patria terra, sicchè i suoi concittadini non tardarono a riporre in lui la più viva fiducia.

Conscio dell’infelice situazione nella quale gemeva il proprio paese, egli era già da varî anni a parte delle opere dei patrioti, che si proponevano di sottrarla alla tirannia dei Borboni, ed esercitava un’autorità incontrastata in mezzo a coloro che si adopravano a tal uopo da un’estremità all’altra dalla Sicilia.

Spuntò finalmente il 12 gennajo, in cui scoppiò in modo maraviglioso in Palermo quel moto insurrezionale, che non senza aver superato gravissime difficoltà e prepotente opposizione, riuscì alfine trionfante.

Membro del comitato provvisorio, il marchese di Torrearsa, che in mezzo ai gravi pericoli di quella lotta lunga ed ineguale diè prova costante d’un coraggio e d’un sangue freddo ammirevoli, influì non poco coll’autorità del proprio nome e la saggezza dei suoi consigli a far riuscire a bene quel primo periodo della rivoluzione siciliana.

Quando poi il comitato si chiamò generale, i poteri del governo provvisorio estendendosi sull’isola intera, il Torrearsa fu nominato presidente della sezione delle finanze, e poco dopo, convocatosi il Parlamento, egli era dalla sua città natale inviato alla camera dei comuni che a chiaro attestato del caso che faceva di lui, il nominava a grandissima maggioranza suo presidente. — Poco tempo dopo lo si voleva a ministro delle finanze, ma egli rifiutò decisamente il portafogli, essendo bene disposto al offrire i proprî servigi al paese ogniqualvolta questo, versando in difficilissime circostanze più imperiosamente ne abbisognasse, ma non intendendo sostener cariche importanti nei momenti di calma.

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La condotta del presidente della camera dei comuni in Sicilia nel 1848 è nota ad ognuno che abbia conoscenza degli uomini e degli avvenimenti dell’isola in quell’epoca. — La pubblica opinione, però, malgrado la sua modestia, malgrado il suo disinteresse, spingeva Torrearsa al potere, tutti i partiti volendolo al timone dello Stato, mentre la sua lealtà e l’onestà sua piacevano a tutti e conciliavano i diversi partiti, mentre le sue maniere affettuose e cortesi, nonchè la somma dignità degli atti e delle parole si avean guadagnato l’amore ed il rispetto d’ognuno. — Smosso dunque dalle vivissime istanze, che gli venivano da ogni parte dirette, mentre i tempi correano già infausti per la causa della libertà siciliana, chè la presa di Messina, e le modificazioni successe nella politica anglo-francese riguardo alla Sicilia, minacciavano davvicino. il marchese di Torrearsa assunse il portafoglio degli affari esteri. Quel portafoglio lo tenne durante cinque mesi, nei quali le vicende s’incalzavano così imperiose nell’interno ed all’estero, contro l’indipendenza sicula, che a grave pena, malgrado tutto il suo ingegno e tutta la di lui instancabile operosità, il marchese di Torrearsa valse a far argine alla piena che d’ogni parte tentava trascinarlo: e se non potè migliorare la posizione del proprio paese, seppe ad ogni modo, grazie ad abili negoziali, prolungare per un tempo insperato l’armistizio di settembre, senza di cui la Sicilia sarebbe stata in qualche settimana riconquistata dai Borbonici. Ciò che sopratutto è notevole in questo periodo della vita politica del nostro protagonista si è come in mezzo alla lotta degli estremi partiti, alle mene della reazione ed alla sfrenata licenza della stampa di opposizione, non fosse mai da nessuno scagliata la menoma accusa contro l’onorato di lui nome sicchè discendendo dal potere, di cui aveva invano chiesto ripetutamente d’essere esonerato, trovò sempre l’istessa simpatia in tutte le classi de’ suoi concittadini e dei rappresentanti della nazione, che tornavano a rieleggerlo a proprio presidente.

Venuto finalmente il fatal giorno in cui nei campi di Catania la rivoluzione siciliana fu vinta, al [p. 273 modifica]marchese di Torrearsa, siccome agli altri capi dell’insurrezione non rimase altro scampo onde sottrarsi alla persecuzione borbonica, che l’esulare. Il tempo del proprio esilio il marchese di Torrearsa trascorse, circondato dall’affetto filiale di tutta l’emigrazione Sicilia, in Genova, dapprima, indi in Nizza, ove viveva in un modesto ritiro, dal quale non si allontanò che per recarsi l’anno passato in patria, quando questa tornò a spezzare il giogo de’ suoi oppressori.

Dopo aver contribuito a decidere il gabinetto italiano a venire arditamente in aiuto agli insorti siciliani, non appena il generale Garibaldi entrava in Palermo, il marchese di Torrearsa si affrettava pure a rimettervi piede.

Accolto nella capitale colle più vive dimostrazioni di riverenza, ei fu additato dall’opinione pubblica al dittatore, che già si accingeva all’impresa di Milazzo, come l’uomo da porsi alla testa dell’amministrazione dell’isola, quindi avvenne che, nominato segretario di Stato senza portafoglio, il marchese di Torrearsa fosse incaricato della presidenza del consiglio durante l’assenza di Garibaldi. Ma per disgrazia del proprio paese egli non esercitò che breve tempo queste alte funzioni, mentre avendo invano rivolto vivissime istanze all’illustre liberatore perchè fosse convocata un’assemblea costituente onde votare l’annessione al regno d’Italia, impacciato e avversato dal partito alla cui testa era il Crispi, rassegnò le sue dimissioni e ritirossi in Trapani a vivere in seno alla propria famiglia, fino a che il valoroso nostro re entrato in Napoli, egli venne spedito a presentargli omaggio in nome della propria terra natale.

Recatosi Vittorio Emmanuele II a Palermo, il marchese di Torrearsa, benchè vivamente sollecitato, rifiutava ancora di tornare al potere, allorchè, dopo la crisi del 2 gennaio, il marchese di Montezemolo fece un appello diretto e pressante al di lui patriotismo per ricomporre il consiglio di luogotenenza. — Mediante, infatti, l’autorità del proprio nome e lo spirito conciliativo e moderato della sua alta influenza, il marchese di Torrearsa riuscì, come sappiamo, felicemente nell’ardua [p. 274 modifica]missione, assumendo con grande abnegazione il portafoglio delle finanze. — Rinunciato anche tale incarico, dopo essere stato eletto alla quasi unanimità dal secondo collegio di Palermo a rappresentante al primo Parlamento italiano, egli ha portato in seno a questa cospicua assemblea il suo patriotismo, i suoi lumi, l’alta autorità del suo consiglio e della sua parola.



Note

  1. Dobbiamo la comunicazione di questi cenni biografici alla gentilezza del signor marchese di Castelmaurigi.