Il Parlamento del Regno d'Italia/Paolo Paternostro

Paolo Paternostro

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Luigi Ranco Marco Minghetti
Questo testo fa parte della serie Il Parlamento del Regno d'Italia


Giovanni Paternostro.

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Quando si trattò di validare la sua elezione, ebbe luogo un assai vivo dibattimento nella Camera. Siccome ei si presentava nel Parlamento con la fama di moderato, che si era, a quanto sembra, acquistata in Sicilia negli avvenimenti che accompagnarono e seguirono la dittatura Garibaldi e le prodittature Depretis e Mordini, così alcuni membri della sinistra affacciarono l’obiezione, ch’essendo slato il Paternostro creato bey dal vicerè d’Egitto, così egli aveva perduta la cittadinanza italiana. Come ognun vede questa obiezione era poco seria, quindi non riuscì malagevole al barone Natoli di combatterla e di trionfarne. Eppure, bisogna che amici e avversarî del Paternostro ne convengano, questi ha titoli legittimi e innegabili ad ottenere i suffragî de’ proprî compatrioti.

Se ne giudichi da quanto siam per esporre. Siciliano, Paolo Paternostro, nato nel 1821 e fatto gli studî legali all’università di Palermo, nel 12 gennaio del 1848 fu uno dei primi a recarsi sulla piazza di Fieravecchia, ove arringò il popolo, eccitandolo ad insorgere: nè pago di ciò, prese parte ai combattimenti contro le truppe regie e sedè in qualità di membro nel comitato generale rivoluzionario. Quindi, magistrato, deputato al Parlamento, capitano nella legione universitaria, presidente della commissione per la vendita dei beni nazionali, commissario straordinario, ebbe occasione in tutte queste diverse e importanti qualità di rendere segnalati servigî al proprio Paese, devesi dimenticare che si fu il Paternostro che presentò alla Camera dei Comuni la mozione relativa alla decadenza della dinastia borbonica dal trono di Sicilia. Rientrata l’isola sotto il dominio di Ferdinando II, il Paternostro si rifugiò dapprima a Malta, visitò poscia la Francia e l’Inghilterra, e in ultimo si ridusse in Egitto, ove esercitò l’avvocatura; fu consigliere del governo, direttore al ministero degli Esteri, ed elevato alla dignità [p. 554 modifica]di bey, che, come si sa, è un grado di nobiltà secondo le leggi turche.

Rientrato in Sicilia nel 1859 fu accusato di cospirare contro il governo borbonico, e dopo una prigionia di due mesi e l’istruzione di due processi, fu liberato per mancanza di prove e risospinto in esilio.

Al tempo della prima luogotenenza dopo il plebiscito, ebbe affidate le funzioni di governatore nella provincia di Noto: ma prima delle elezioni generali si dimise onde essere eleggibile, e difatto, eletto da due collegi, venne alla Camera e si diè a sostenere la politica del conte di Cavour. Il Paternostro è uno di quelli che si sono staccati dall’antica maggioranza per accostarsi al centro sinistro a sostenere il gabinetto Rattazzi. La sua parola, quantunque un po’ lenta e monotona, non manca di buon senso e di certa autorità. Il Paternostro è stato recentemente nominato prefetto ad Arezzo; ma onde non perdere la sua qualità di deputato, egli ha rinunziato ad ogni stipendio.