Il Parlamento del Regno d'Italia/Luigi Alfonso Miceli

Luigi Alfonso Miceli

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Raffaele Conforti Gerolamo Pallotta
Questo testo fa parte della serie Il Parlamento del Regno d'Italia


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È nato in Longobardi nella Calabria citeriore, nel 1825, da Francesco e da Antonia Campagna. In Cosenza studiò letteratura, filosofia e leggi, intendendo intraprendere la carriera della magistratura, il che poi i rivolgimenti politici del 1848, spingendolo in esilio, gli vietarono.

Il Miceli è stato educato in un paese ed in una famiglia in cui la devozione alla patria sono tradizionali: nel 1821, e anco prima di quell’epoca, la famiglia Miceli ebbe cinque vittime sagrificate dalla crudeltà di Ferdinando I; l’animo del nostro [p. 353 modifica]protagonista finì di apprendere la religione del sacrificio quando nel 1844 fu inalzato in Cosenza il vessillo tricolore ed egli vide morire, in combattimento da prima, quindi sul patibolo, tanti generosi, tra i quali contava alcuni de’ suoi più intimi amici.

Si sa come quell’audacissimo fatto eccitasse i fratelli Bandiera ed i diciotto loro compagni a scendere in Calabria onde ajutare l’insurrezione; l’esito infelice di quell’impresa non fu certo perduto per la causa italiana, inquantochè i Veneziani, i Romagnoli, i Marchigiani e i Lombardi che ne facevano parte lasciarono in quelle meridionali provincie d’Italia molta eredità di compianto e d’affetti, facendo sorgere in certo modo più palpabilmente l’idea del bisogno della fratellanza e deli’unificazione italiana.

Da quel momento in poi il nostro protagonista non ristette mai un istante dal prender parte a tutte quelle cospirazioni, le quali miravano alla redenzione d’Italia. S’immischiò nelle congiure che misero capo alle insurrezioni di Reggio e Messina nel settembre 1847, ed a quella anche più portentosa di Palermo nel gennajo 1848.

Abolita colle barricate del 15 maggio la costituzione, le Calabrie sorsero in armi, ed il Miceli fu nominato segretario del comitato di salute pubblica in Cosenza. Negli ultimi giorni di quella rivoluzione, incominciata coi più lieti auspicî, egli lasciò il comitato e prese le armi; ma riusciti vani gli sforzi dei patrioti e soggiaciuto il movimento. Miceli insieme agli altri principali capi di quello si rifuggì a Corfù e di là a Roma, ove prese parte alla eroica difesa di quella città assediata dai francesi. Caduta la repubblica, il Miceli si rifugiò a Genova, ove visse per ben dieci anni e mezzo, sempre aspirando a liberare le natie contrade dal duro giogo borbonico.

Il giorno agognato spuntò alla fine, e si fu il 4 aprile del 1860, in cui scoppiava in Palermo quell’insurrezione, che rese celebre il nome del convento della Gancia. Garibaldi accolse nel numero dei suoi mille il Miceli, che fu semplice milite dapprima nella 5a compagnia dei cacciatori delle Alpi. Aggregato poscia allo [p. 354 modifica]stato maggiore, nominato capitano a Palermo, quindi avvocato fiscale del consiglio di guerra permanente, che, istituito nella capitale della Sicilia, seguì l’esercito garibaldino a Milazzo, a Messina, e nel continente napoletano, meritò da Garibaldi e dagli altri capi molte lodi per aver adempiuto degnamente al suo debito di soldato-cittadino e di magistrato militare.

Eletto deputato al Parlamento italiano dal collegio della circoscrizione di Paola, cui appartiene il paese ov’egli nacque, siede in Parlamento all’estrema sinistra, sebbene il Miceli non sia uomo di opposizione sistematica, e non disconosca i meriti ed il patriotismo del governo cui presiede il conte di Cavour.