Il Parlamento del Regno d'Italia/Leopoldo Cannavina
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deputato.
Siede alla sinistra e vota spesso con essa, sebbene non possa dirsi che egli si sia infeudato a quel partito, è più per brama di parere e d’essere anco indipendente (quantunque a noi sembri che indipendenti si possa essere su qualunque banco della Camera si sieda) che per dividere ch’ei faccia con la maggior parte dei suoi vicini di posto, l’estremità delle loro opinioni politiche.
Egli è nato in Ripalimosani, ch’è una piccola terra del Molise, nel 1813 da padre illustre, pel modo luminoso col quale sostenne l’elevato grado da lui conseguito nella magistratura napoletana.
Il Cannavina studiò legge ed economia nella propria provincia dapprima e quindi in Napoli ove si laureò in ambo i diritti.
Circostanze di famiglia lo indussero a ritirarsi in Campobasso, ove si applicò all’esercizio della professione, riuscendo ben presto a conseguire meritatissima fama, tanto per la profondità sua in giurisprudenza, come per il fervore e la facondia della sua parola, tanto che in brevissimo tempo, ebbe ad acquistarsi numerosissima clientela.
E tanto più crebbe la buona opinione concepita di lui, in quanto che, oltre alle prerogative dell’ingegno e ai doni della scienza, egli possedeva una qualità che è più rara, disgraziatamente di quella che sarebbe a desiderarsi, intendiamo dire, una onestà a tutta prova.
La stima che il Cannavina erasi a quel modo guadagnata, induceva i suoi concittadini, non solo a valersi quanto il potevano individualmente dei suoi lumi e della sua scienza, ma ad affidargli pur anco quelle incombenze e quelle cariche che sono alla testa delle amministrazioni provinciali e comunali.
Se non che il governo borbonico, il quale sapeva, mediante la sua polizia, quello che dovesse pensarsi della devozione verso di esso, del Cannavina, fece proibizione assoluta, a che questi potesse mai essere elevato a taluna di quelle cariche.
In quel breve intervallo di tempo, che fu come lampo fuggevole che rischiara per un istante le tenebre di una notte procellosa per poi far sembrare più orribile ancora quella spaventevole oscurità, quel breve intervallo, diciam noi, che l’istoria ha registrato sotto la rubrica dell’anno 1848, venne a permettere che per brevi giorni l’opinione pubblica potesse manifestarsi anche nel Napoletano, con tutta spontaneità. Allora accadde che il Cannavina, potesse ottenere quelle cariche che gli erano state fino allora rifiutate per opera di un tirannico governo; ma quel tempo fu, come lo dicemmo, cortissimo, e siccome il nostro protagonista si oppose deliberatamente ad accettare quella petizione la quale fecesi circolare in quell’anno avvicendato, perchè la popolazione stessa, e sovratutto i notabili di essa, domandassero ciò che poteva do mandarsi a buon diritto come il loro suicidio civile, cioè, la sospensione della costituzione accordataci a malincuore da re Ferdinando, così egli fu immediatamente privato di quelle cariche stesse non solo, ma più tardi, quando la reazione potè levare francamente la testa eprocedere ad atti di vendetta e di conculcamento, il Cannavina fu preso di mira più che mai e sorvegliato dalla polizia, che si può dire nol per deva un solo istante di vista. Ma non per questo, venne meno il di lui coraggio civile, ne potevano affievolirsi quei grandi principi di equità naturale, di amor patrio e di ardente affetto di libertà che sempre erano nell’animo suo stati fissi per retaggio paterno.
E di questo suo coraggio egli dette non dubbie prove in più circostanze, e sopratutto nelle occasioni in cui alcuni degli onesti e ardimentosi cittadini, i quali osavano esprimere con sicurezza la loro avversione verso il governo borbonico, imprigionati venivano tratti d’innanzi ai tribunali per sentirsi condannare inesorabilmente a delle pene, le quali formavano la gloria di chi le sopportava, ed infamavano i compri giudici dai quali venivano inflitte.
Il Cannavina sostenne più di una volta la pubblica difesa di quei novelli martiri, sebbene ognuna di quelle sue coraggiose prove del suo patriottismo e della sua devozione ai principi della vera giustizia, gli fruttasse maggiore odio dalla parte dei borbonici, e persecuzioni maggiori.
Quando nel 1859, al rumore del cannone di Palestro e di Solferino, i Napoletani potettero sperare un mutamento nei loro funesti destini, coloro i quali più timorosi e sfiduciati avevano ormai piegato il collo al giogo, pensarono quasi maravigliandosi di poter solo concepire quel pensiero, che quel giogo sarebbesi pure potuto cavare di dosso, quegli poi, che come il Cannavina aveano sempre serbata la fede in petto, e tenuta alta la fronte, si dettero premura di preparare gli animi e le cose, onde potessero procedere più spediti il giorno che ormai sentivano prossimo del definitivo risorgimento.
Così il Cannavina fu uno dei membri attivi di quel comitato, il quale facilitò massimamente la maravigliosa opera di Garibaldi e mise capo al plebiscito del 21 ottobre 1860.
La ricompensa che la provincia nativa dette al personaggio di cui noi qui ci occupiamo fu splendida, quanto splendidi furono i servigi da esso resi, dappoichè lo scelse a proprio rappresentante in seno al Parlamento nazionale.
Termineremo dicendo che il Cannavina è assiduo nel disimpegnare gli obblighi del proprio ufficio e che si interessa con molta premura a sostenere quanto egli crede possa tornar utile al collegio onde venne eletto e in generale al paese.