Il Parlamento del Regno d'Italia/Gioacchino Saluzzo
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senatore.
Appartenente a una delle grandi famiglie dell’aristocrazia napoletana, dotato di un carattere energico e indipendente, non ha potuto inchinarsi a rappresentare la parte assai umile e sommessa, che era giocoforza facessero i nobili, i quali dovevano recarsi a corteggiare Ferdinando II.
È noto ad ognuno, che i costumi di quella corte, erano ancora quelli delle antiche corti di Spagna, pieni di formalità assurde e antiquate, le quali abbassavano la dignità del gentiluomo, mettendola quasi a livello del prezzolato lacchè, ultimo nella scala di quel servilismo.
Il principe di Lequile, non si compromise, se vogliamo nello stretto senso della parola; ma si recò a vivere all’estero, non esigliato, ma esule volontario.
Non fu, se non quando gravi interessi di famiglia lo costrinsero irresistibilmente, ch’egli rientrò in Napoli, occupandosi solo di quelli, e vivendo sempre, al di fuora del cerchio di corte, nel quale tuttavia era segnato e vuoto il suo posto.
Come lo si può ben credere, quando avvenne la liberazione del Napoletano, il Lequile che vi aveva cooperato efficacemente entrando a parte di quella società politica detta dell’ordine, di cui era alla testa quell’altro egregio patriota, il marchese Caracciolo di Bella, fu uno dei primi a farvi adesione.
E il Governo del Re lo ascrisse nel numero dei Senatori e gli confidò l’importante carica di sopraintendente dei regi possedimenti nel Napoletano, carica da cui più tardi il Lequile si dimise per darsi a riordinare i propri interessi di famiglia che non aveva ancora potuto sistemare dappoichè era rientrato in patria.