Il Parlamento del Regno d'Italia/Francesco Antonio Mazziotti

Francesco Antonio Mazziotti

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Giuseppe Pace Gaetano Bichi
Questo testo fa parte della serie Il Parlamento del Regno d'Italia


Francesco Mazziotti.

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Appartiene alla famiglia feudataria di Celso nel Cilento, nato da Pietro e da Maria Sodano il 49 ottobre del 1844.

[p. 420 modifica]Studiò privatamente avendo a direttore della sua educazione uno zio paterno, Matteo Mazziotti, uomo di molto sapere, che infuse nell’animo del giovinetto, col fargli meditare i migliori libri dell’antichità, nobili e patriotici sentimenti.

Il padre del nostro protagonista, involto nelle cospirazioni che si ordivano nel Cilento per abbattere l’antizionale governo dei Borboni, venne, per ordine espresso del celebre Del Carretto, arrestato il 13 dicembre del 1828 e tradotto nelle carceri di Salerno, ove morì affetto da febbre petecchiale, non curata in quel luogo come avrebbe dovuto e potuto esserlo.

Francesco Mazziotti, dopo aver assistilo alla morte sì crudele e precoce dell’amato genitore, malato egli pure e col cuore e la mente sconvolti, si ridusse in Celso, ove al dolore fece succeder ben presto l’implacabile desiderio di vendetta contro i carnefici del padre. Quindi è che non mancò mai occasione di cospirare a danno del governo, e queste occasioni si presentavano spesso, giacchè ogni anno può dirsi si tentasse nel Cilento un movimento insurrezionale.

Dotato di fervida fantasia e dell’igneo temperamento dei meridionali, cercò pure uno slogo al cruccio ond’era amareggiato il proprio animo col dettare molte poesie, alcune delle quali politiche, disperse poi e distrutte nelle varie perquisizioni praticate presso del nostro protagonista dagli sbirri borbonici.

Costretto a fissare per espresso ordine sovrano la propria dimora in Napoli, egli trovò modo di conservare secrete politiche corrispondenze co’ suoi compaesani, dimodochè quando scoppiò nel 1848 il movimento del Cilento e quello di Salerno, si può dire che il Mazziotti ne fosse uno de’ principali istigatori. Nè tardò egli a recarsi colà di persona, sebbene esistessero ordini severissimi contro di lui, trasmessi alle truppe, spedite io quelle provincie per ispegnere nel sangue la rivoluzione.

Promessa da Ferdinando II la costituzione, il Mazziotti venne eletto deputato della provincia di Principato Citra, ed assistette in tal qualità alla seduta preparatoria tenuta nella sala del palazzo civico di [p. 421 modifica]Monteoliveto, seduta, come ognun sa, disciolta violentemente dalle bajonette di una soldatesca effrenata. Il nostro protagonista fu uno dei sessantasei sottoscrittori della protesta che in quella triste circostanza venne emanata dal Parlamento napoletano.

Rieletto quasi ad unanimità nel successivo mese di giugno, volle far trionfare tra i suoi colleghi l’avviso, conforme a quello espresso nella suindicata protesta, che la Camera avesse a riunirsi in Cosenza, piuttostochè in Napoli. Tuttavia egli cedette su questo punto e si applicò ad adempiere con tutta operosità i suoi doveri di rappresentante del popolo.

Una sera che il Mazziotti tornava alla sua abitazione dall’avere assistito ad un convegno di deputati tra i più liberali del Parlamento, si vide d’improvviso aggredito da due armati, ch’ebbe a giudicare de’ poliziotti travestiti. Sebbene solo e inerme, si difese egli gagliardamente, e que’ due, dopo averlo ferito in più luoghi e sopratutto assai gravemente nel fianco, sturbati dalle grida di una donna, si diedero alla fuga.

Questo infame attentato, che obbligò ad una cura di più di quaranta giorni il nostro protagonista, si seppe essere stato ordinato dalla camarilla, che, vedendo come non bastasse l’assassinio dello sventurato Carducci a sgominare i deputati e a persuaderli a rinunciare all’ufficio loro affidato dal paese, avevano designato il Mazziotti qual nuova vittima a tale nefando scopo.

Sciolta la Camera elettiva, con decreto del 42 marzo 1849, il Mazziotti venne invitato dalla polizia a prendere il passaporto per l’estero; ma egli credette, malgrado i gravi pericoli che sapeva di correre rimanendo, di non dover tener conto di quell’esibizione, e restò. Ma ben presto le persecuzioni cominciarono; allora le premure e le ansie della famiglia costrinsero il nostro protagonista a tenersi celato per ben tre mesi, quindi ad imbarcarsi per cercare un asilo in Genova.

Il governo borbonico sequestrava subito le rendite de’ suoi beni, il faceva condannare a morte, e non pago di tanto, decretava l’arresto della virtuosa consorte del Mazziotti, Marianna Pizzuti; e perchè questa, avvertita, sottraevasi colla fuga agli sgherri borbonici, si [p. 422 modifica]imprigionava tutta la famiglia, i parenti, gli affini, gli amici, i domestici.

Se la natura del nostro lavoro non cel vietasse, quanto volontieri vorremmo qui descrivere gli atti di virile coraggio, con accortezza, con costanza inaudite operati dalla avvenente consorte del nostro protagonista, che ricercata, inseguita dalla polizia borbonica, furente di vedersi sfuggir sempre di mano una debole donna, rimase otto mesi nascosta or qua or là, indossando ogni sorta di travestimenti, e mantenendo pur sempre corrispondenza attiva col marito, cui celava, onde non affannarlo, le crudeli persecuzioni delle quali era oggetto.

Finalmente l’eroina, trasportata entro un paniere da alcuni amorosi e fedeli suoi villici, potè oltrepassar la frontiera, e imbarcarsi a sua volta per Genova, a rallegrare di sua presenza lo sposo.

Un anno dopo il colèra la rapiva di nuovo a questo ed alle figlie per sempre, e può dirsi ch’ella morisse ancora vittima della propria generosità, mentre senza dubbio contrasse il formidabile morbo nel darsi attorno da mane a sera a soccorrere i miseri che ne eran colpiti.

Il Mazziotti, non ostante questa gravissima afflizione di famiglia, continuò pur sempre ad occuparsi attivamente di quanto poteva tornar utile ad affrettare il sospirato momento della redenzione del napoletano, e a tale scopo nel 1860 fece anche parte di un comitato in cui si distinguevano i napoletani Stocco e Riccardi e i siciliani conte Amari, Errante e Marano, comitato che si pose in corrispondenza con Napoli e con Sicilia, e col prode generale Garibaldi, prima che questi movesse per la maravigliosa sua spedizione.

Appena proclamata in Napoli la costituzione, il Mazziotti si diè premura di rimpatriare, e colà, nel Cilento, si adoperò a tutt’uomo a preparare la rivoluzione unitaria, ch’ei doveva capitanare se alcune ragioni di alto interesse politico non l’avessero richiamato a Torino.

Due collegi, quello di Montecorvino Rovella, in Principato Citra, e il suo nativo di Torchiara, inviarono al primo Parlamento italiano qual loro rappresentante un sì caldo e devoto patriota.