Il Parlamento del Regno d'Italia/Carlo Acquaviva d'Aragona
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deputato.
Nella grande nobiltà napoletana, pochi vi sono che possano vantarsi di possedere maggior patriottismo, congiunto a un raro buon senso quale il conte di Castellana possiede.
Egli è stato educato a Roma ed ha avuto la fortuna invidiabile di acquistare una di quelle istruzioni solide e variamente utili ch’è assai raro, o che almeno era assai raro qualche anno addietro, di conseguire in Italia.
L’effetto di un istruzione simile, è quello di rilevare all’uomo, i propri doveri, verso sè stesso, e verso la società, in modo che egli senta il bisogno imperioso dell’adempimento di quei doveri medesimi.
Quindi è che il conte di Castellana, fu di buon ora un uomo serio, utile, ed attivo, mentre intorno a sè vedeva con profondo rincrescimento, i suoi uguali non occuparsi d’altro che di frivolezze o peggio.
Egli è evidente, che il primo bisogno di una persona istruita, e conscia di quanto gli spetta e di quanto spetta ad altrui, è quello appunto d’interessarsi vivamente alla sorte della patria e di tentare ogni mezzo onde ammegliarla.
Disgraziatamente il conte di Castellana non era di quei giovani che amano farsi delle vane e pericolose illusioni, perchè il più spesso non sanno gettare uno sguardo abbastanza profondo intorno a sè medesimi; quindi non tardo a riconoscere che la situazione d’Italia e del Napoletano in ispecial modo era, se non disperata, tale almeno da non dovere o potere cosi presto rilevarsi.
Allora giudicò opportuno di non sprecare le proprie forze in inutili conati, e tenendosi lontano da una corte, in cui era il suo posto, visse la vita del gentiluomo di campagna, adoperandosi con molto buon esito, ad introdurre nei vasti suoi possedimenti molte migliorie, le quali incoraggiarono altri proprietari limitrofi a seguitare il suo esempio, e così giovarono non poco, a cambiare favorevolmente la situazione agricola della provincia abbruzzese.
Ma intanto, il conte di Castellana, non rimaneva inoperoso per ciò che riguardava i futuri destini della patria. Egli non mancava mai di tenersi a giorno di tutte le fasi politiche che attraversava l’Europa, e maturamente considerando le influenze che esse potevano per avventura esercitare sull’avvenire d’Italia cominciava a credere prossimo il momento in cui i rapporti esistenti tra i sovrani ed i popoli dovendo cangiar di natura, ne verrebbe la conseguenza inevitabile che certi sovrani i quali, o non sapessero o non volessero piegare il capo alle ineluttabili prescrizioni della civiltà mondiale, avessero nella lotta che da lungo tempo contro ii popoli stessi sostenevano, da venire alfine alla volta, vinti e sottomessi.
L’avvenimento dell’impero in Francia, fu per esso uno di quei lampi di luce, i quali valgono a rischiarare le tenebre nelle quali, per la gente ordinaria si ravvolge il futuro. Evidentemente, se la dinastia napoleonica, dopo essere sparita dal novero dei sovrani europei dietro la grande coalizione del 1815 che costituiva l’ultimo sforzo della reazione e dell’oscurantismo nel vecchio mondo, tornava più splendida e vigorosa che mai, a brillare tra le antiche schiatte dei re per la grazia di Dio, questo solo fatto in sè stesso indicava che i principi presi a far trionfare dalla santa alleanza, versavano di nuovo in grave pericolo. Abbenchè il novello imperatore pronunciasse a Bordeaux, il famoso motto l’empire c’est la paix, ognun comprendeva di leggieri, come questa pace, dovesse forse un giorno venire ma soltanto dopo che la lotta già dal 1789 sorta violentissima fra i diritti dei popoli, e l’arbitrio dei principi, venisse a cessare dietro la vittoria decisiva dell’uno o dell’altro partito.
Ed allora il conte di Castellana sperò, poichè comprese che gli oppressi dovevano risorgere, e che Napoleone III nell’interesse generale del progredimento umanitario, quanto nell’interesse medesimo della propria dinastia, e del suo regno, avrebbe messo le armi in mano agli Italiani, e se ne sarebbe fatti degli alleati possenti.
La guerra del 1859 dette prima ragione alle sue ipotesi; la pace di Villafranca non valse a sconfortarlo. Noi che conoscevamo, e avvicinavamo in quel tempo il conte di Castellana, lo udimmo portare su quell’incresciosissimo avvenimento, un giudizio cosi spassionato, e tanto sagace e profondo, quanto pochi di quegli uomini così detti di Stato, e che fanno mestiero di scrutare, e approfondire quei grandi segreti, che l’istoria stessa, non sempre un giorno rischiara, non avrebbero e non hanno per avventura recato. E siccome quel gravissimo avvenimento è anche oggidì un mistero per molti, così noi vogliamo riferire il giudizio del conte in queste pagine, sperando che ce ne sapranno grado i lettori.
Lasciando da parte - son queste o presso a poco, le parole stesse che il conte di Castellana dicevaci la situazione difficile nella quale si trovava l’imperatore dei Francesi per rispetto alla condotta equivoca dell’Inghilterra, la quale poteva da un giorno all’altro dichiarargliesi avversa, si sapeva come la vigilia della terribile e decisiva battaglia di Solferino, fosse arrivato al campo francese un inviato straordinario dell’Imperatore delle Russie, il quale avea per missione di annunciare a Napoleone II, come ormai fosse impossibile al suo sovrano, di mantenere il patto precedentemente stabilito con esso di impedire alla Prussia, per fas o per nefas di accorrere in aiuto dell’Austria. Perchè mai la Russia non poteva ella più mantenere quel patto, e continuare a contenere la Prussia? Questo non lo si sa, ne lo si saprà così per corto; ma fors’anco è da supporsi che la Russia, la quale vedeva con piacere che la Francia desse una sanguinosa lezione al l’Austria, e che all’uopo d’incoraggiarla a ciò fare, si era indotta ad avanzarsi tropp’oltre nelle promesse, tanto più ch’ella sperava riuscire assai facilmente a persuadere alla Prussia di starsene tranquilla a vedere le disfatte della sua rivale Germanica, quando si ac corse che la Prussia stessa, malgrado i propri consigli, non sapeva starsi alle mosse, ed armava la landhwer e si preparava definitivamente ad accorrere in soccorso all’Austriaco, non avendo serie intenzioni di mettere dal suo canto mano alla spada per impedire che ciò avvenisse, si contentasse di prevenire il troppo fidente Napoleone III dell’intendimento della Prussia, e dei propri.
Comunque accadesse che le cose stessero o fossero venute a quel punto, partendosi da questo per esaminare la situazione, qual era il resultato di questo esame per un uomo freddo e antiveggente, quale ap punto si conosce essere l’imperatore dei Francesi?
Non vi è esempio nelle istorie della Francia, che questa abbia mai recato in Italia le armi per combattere la potenza austriaca, senza che contemporaneamente e parallelamente, un’altra sua armata, partita dalle sponde del Reno, siasi addentrata in Germania, dirigendosi sopra Vienna.
Durante le guerre famose del primo impero quel gran generale che fu Napoleone I, ripetè più volte questa manovra da lui eseguita parzialmente, quand’era generale in capo dell’armata d’Italia.
Ognun che abbia letto la maravigliosa istoria delle ammirabili campagne fatte dal ventisettenne generale nella Penisola, con quel pugno di eroici soldati ch’ei trovò seminudi e mezzi morti di fame, e coi quali operò la conquista d’Italia, non può non aver posto mente alle quasi insuperabili difficoltà superate dal genio di Bonaparte, per la facilità che aveva l’Austria di soccorrere le perdenti sue armate, e queste completamente distrutte, di rinviarne delle nuove d’oltre le Alpi. Non appena compiuta una vittoria, un’altra più rischiosa a conseguirsi bisognava guadagnare; Bonaparte vinse e rivinse e vinse sempre, disfacendo consecutivamente cinque armate, ma egli era il capitano il più sublime che siasi mai dato; guerreggiava con un metodo suo tutto proprio, e che era ignoto in Europa. Ma allorquando egli volle debellare seriamente l’Austria, e non far calcolo che non fosse savio e previdente, operò di concerto le due spedizioni, in Germania e in Italia, marciando lungo le due basi del l’Alpi, e impedendo cosi, che all’armata Austriaca guerreggiante nella penisola venissero soccorsi dalla Germania, come a quella che militava in Germania, non pervenissero aiuti dall’armata d’Italia.
Ora Napoleone III, il quale, vogliasi o non vogliasi, è uomo di guerra quasi tanto quanto di politica, e che per di più ha studiato colla più grande attenzione e con sommo frutto, l’istoria dell’eccelso suo zio, non ignorava certo, a qual rischio esponesse la propria armata, avanzandola oltre il Mincio, quando non si fosse saputo, abbastanza guarentito, alle spalle e sui fianchi,
Bisogna riflettere ch’ei si trovava già molto discosto dalla sua base d’operazione, la quale, non era in verun modo in Italia, ma in Francia e che non poteva fare gran conto sulle forze ausiliarie italiane, attesochè in quel momento, l’Italia non possedeva che l’esercito piemontese, valoroso e disciplinatissimo, ma scarso assai di numero. E mentre i preparativi e le minaccie omai palesi della Prussia davano con tutte le ragioni a temere ch’essa fosse sul punto di valicare le Alpi con grossa oste e piombare sui fianchi dell’esercito alleato, era egli prudente dalla parte di Napoleone di continuare la guerra ed esporsi così a riperdere forse quanto si era fino a quel punto, e non senza gravi danni, acquistato?
Noi diciamo sinceramente che questo modo di ragionare ci sembra buono e sagace e ne diamo lode al conte di Castellana.
Dopo il 1860 questi venne eletto a deputato e disimpegnò gli obblighi suoi di rappresentante della nazione con molta oculatezza.
Per disgrazia egli non può, come la più parte dei suoi colleghi del Napoletano, venire così spesso a Torino come il desidererebbe, e per disgrazia ancora ha una di quelle invincibili ripugnanze a parlare in pubblico, dalle quali alcuni dei più capaci tra i membri delle due Camere sono impediti a rivelarsi appieno per quel che valgono. - Tuttavia, coloro che avvicinano e conoscono il conte di Castellana sanno com’egli sia uno degli uomini meritevoli a più d’un titolo di figurare tra i più distinti d’Italia.