Ode

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Epigramma VII Sonetto XXI

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ODE.

29 decembre 1792.

Diva feroce, e torbida
Aste sanguigne, ardenti tede impugna,
In aspetto terribile
Destando Europa ad inaudita pugna.
Alteramente impavida
Ogni vel disdegnando, erge la fronte;
Ma non so quale ignobile
Atto, parmi che in volto a lei s’impronte.
Pudico a un tempo, e libero,
Qual vuolsi in Dea celeste, alto contegno
Non ha costei; nè fervido
L’intatto cor di generoso sdegno.
Ancor le braccia ha livide
Dai mal infranti, e ben mertati ferri,
E servilmente rabida
Tutti sozzi liberti a se fa sgherri.
Dall’Acheronte i perfidi
Sempre-desti Tiranni or lei mandaro,
Perchè ai delusi popoli
Torni il prisco lor giogo indi più caro.
La ignuda plebe lurida
Spalanca intanto le digiune gole;
E insanguinata ingojasi
Ogni uom coll’esca, onde allettarla ei vuole.
Ahi ribaldi satelliti
Di ria deforme improvida Licenza,
Per voi non fia che offuschisi
Della divina Libertà l’essenza.
Prosapia vil di Spartaco,1
Che ad ogni legge, ad ogni aver fai guerra,

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Tu verso i Bruti, e’ Scevoli
Tenti il volo, senz’ali, erger da terra?
Suoi doni impareggiabili
No, non comparte Libertà verace
A gente, ch’infra i vortici
Dei vizj tutti putrefatta giace.
Oh bei costumi semplici,
Là dove l’oro invan suoi strali avventa!
Là, dove i padri languidi
Pura pietade filïal sostenta.
Dove a modesta vergine
Casti imenei marito amante danno;
Dove de’ figli il numero
Mai non si ascrive il genitore a danno. —
Ma che? degg’io qui pingere
Sotto a Licenza le celesti doti,
Dentro cui sol si abbarbica
Libertà, ch’odia al par schiavi, e despòti?



Note

  1. Spartaco, schiavo fazioso, che ribellando quanti potea più schiavi contro ai Romani, si fece anima, e capo d’una lunga, e disperata guerra, dai Romani liberi dignitosamente intitolata: Guerra servile.