Un giorno un Lupo pien d’umanità
(se alcun ve n’ha)
crudele sì, ma per necessità,
fece una riflessione assai severa
sul suo brutto carattere di fiera.
- Ognun, - diss’egli, - ognuno mi vuol male,
e cani e cacciatori e villanzoni
congiuran contro un povero animale
e innalzan orazioni
a Giove che lo cacci dalla terra,
come si sa che ha fatto in Inghilterra.
Mettono il pelo e la mia vita a prezzo,
e non c’è signorotto di campagna
che non bandisca il lupo con disprezzo,
ne bimbo c’è che strilli un poco o piagna
a cui la mamma non ricordi il cupo
nome del lupo.
E tutto ciò per qualche asin tignoso,
per qualche agnello mezzo incancrenito,
per qualche can rabbioso,
che non aguzzan manco l’appetito.
Ebbene d’ora innanzi e carne ed ossa
di vivi fo solenne giuramento
di non mangiare, ma insalate e strame
ed erbe sole, o possa
prima morir di fame -.
Mentre egli giura vede dei pastori
che stan mangiando un povero agnellino
cotto allo spiedo. - Ah! Ah!
Questi bravi signori,
che parlan della mia crudelità,
sanno gustare il ghiotto bocconcino!
Ben s’impinzan la pancia essi ed i cani,
ed io che sono il lupo
starò digiuno e avrò rispetti umani?
No, per tutti gli dèi! Sarei corbello
a farmene un riguardo,
ben venga dunque in bocca
agnellin, agnelletto, agnella e agnello
e quanti son di questa gente sciocca:
sian essi crudi o cotti non ci guardo -.
Avea ragione il Lupo. È stravaganza
pretendere che, mentre l’uom ghiottone
e cena e pranza
mangiando gli animali, i poveretti
abbiano a lesinare sul boccone.
Vogliam serbare a loro
soltanto a loro dell’età dell’oro
i cibi duri e schietti?
Non han stoviglie e spiedi ed istrumenti?
Ma il lupo non ha torto ed alla vita
non si rassegna ancor dell’eremita,
se può mostrare i denti.