Favole (La Fontaine)/Libro decimo/VII - Il Ragno e la Rondine

Libro decimo

VII - Il Ragno e la Rondine

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Jean de La Fontaine - Favole (1669)
Traduzione dal francese di Emilio De Marchi (XIX secolo)
Libro decimo

VII - Il Ragno e la Rondine
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- O Giove, che dal tuo cervel traesti
per un nuovo miracol di Lucina
la dea Minerva, mia rivale antica, -
così diceva il Ragno una mattina, -
per una volta, o Giove, ascolta i mesti
miei gridi contro una fatal nemica.

La Rondinella, - aggiunse l’insolente, -
per l’aria svolazzando, agile toglie
quant’io raduno in casa e sulle soglie.
Squarcia le reti che pazientemente
e forti io tesso e che sariano piene,
ma sul più bel la ladroncella viene.

Ella mi ruba le mie mosche, mie
ben posso dirlo, e sperpera il bottino -.
Così le sue cantava litanie
quel Ragno, che fu già gran tappezziere,
e che dai tempi tristi e dal destino
era ridotto a quel brutto mestiere.

La Rondinella al suo mestiere intenta
non bada all’insettaccio e mosche piglia
per sé, per la sua piccola famiglia,
e con gioia crudele ne alimenta
i ghiottoncelli, che con grido incerto
salutano la mamma a becco aperto.

O poveretto Ragno disperato,
inutil tessitor, che far gli resta?
Ridotto tutto gambe e tutto testa
un dì, che alla sua tela era attaccato,
la Rondinella nella rete entrò
e col Ragno la casa via portò.

Il padre Giove volle ed ha disposto
che sian due grandi tavole nel mondo.
Alla prima vi accorre e piglia posto
il forte, l’avveduto, e chi sa fare,
all’altra vanno i deboli a mangiare
quello che gli altri lasciano sul tondo.