Il Leone di David
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III
IL LEONE DI DAVID.
Deh scendi in riva al Galileo Giordano,
Celeste Musa, e meco narra, come
David togliesse al fier leon la vita,
Quando in val di Betlem pascea la greggia:
5Omai troppo sovente il mondo intese
Favola dirsi del figliuol d’Alcmena,
Or per noi senta di più vero Alcide.
Già rugiadosa d’Orïente al varco
Con le dita di rose apriva il cielo
10L’alba, chiamando a sue fatiche il mondo,
Quando il buon figlio del canuto Isai
Le giovinette membra al sonno tolse,
E per uscir co’ mansueti armenti
Guernisce il dosso delle usate spoglie.
15Ei di lini tessuti in prima copre
La molle carne, e poi su lor succinge
Lana di Tiro, che al ginocchio aggiunge,
Nè col purpureo lembo oltra discende;
Poscia rilega, e di sua man circonda
20Candido panno alle nervose gambe,
E di cuojo durissimo difende
Da duri dumi le veloci piante;
Ma per difesa della nobil testa
Ei di lupo cervier tutti copriva,
25Forte cappel, gl’innanellati crini:
E quasi armar volesse il regio busto,
Contra gelido ciel si stende intorno
Irsuta pelle di terribil orso,
L’orribili unghie di grande ôr distinta,
30Per tal modo vestito in man ripiglia
Serica fionda, e sulla spalla appende,
Peso caro e gentile, arpa sonora:
Dal chiuso albergo al fin le gregge invia
Per la foresta, e sulla verde erbetta
35Guida i lor passi lenti, ove è più viva
La ragiada dolcissima notturna;
E mentre a suo diletto il prato pasce
Fra l’aure dolci il mansueto armente,
Mira David d’una grand’elce i rami
40Carchi d’augei, che per diversi modi
Faceano versi a salutar l’aurora.
Sotto quell’ombra era minuta e folta
L’erbetta, e verde si solleva, e piega
Sotto il volar della dolcissima aura.
45Per mezzo mormorando iva correndo
Onda d’argento, e co’ soavi umori
Sotto il fervido Sol nudrisce il prato,
Caro albergo di zefiro: nel mezzo
Di sì romito praticello appoggia
50Davide il tergo alla robusta pianta:
Ivi col suo pensier volando al Cielo
Brama, che scenda omai la forza eterna,
Tanto promessa a liberare il mondo;
E lusingato da pensier ei scioglie
55La bellissima cetra. Ella contesta
Per lui già fu d’incorruttibil cedro,
Che sul Libano eccelso egli divelse:
I molli perni, onde egualmente appese
Giù discendean l’armonïose corde,
60D’oro splendeano; e d’ebano lucente,
E d’oro tutto era distinto il legno
Dolce canoro. Or poichè lungo
Il si distese, ei con la man veloce
Cercando va le più soavi note;
65Indi con lor non men soavi accorda
Sì fatti accenti: O d’Israele, intendi,
Rettore eccelso, il mio pregare ardente:
Tu, che sembiante a pecorella guidi
La cara di Gioseffo umil famiglia,
70Che dentro l’arca delle paci eterne
Sovra esso l’ali a Cherubin soggiorni,
Deh fatti omai, deh di Manasse a gli occhi,
Deh fatti a gli occhi d’Effraim palese,
E scendi forte ad arrecar salute.
75Così cantando all’albero sonoro
Scotea le dolci corde, e lieto il viso
Intentamente rivolgeva al cielo,
Quando s’udì fuor delle selve un suono
Uscire immenso, a cui la valle intorno
80Alta percossa orribile risponde:
Ciò fu Leon, che di terribil chioma
Movea superbo a divorar gli armenti,
Al quale unqua non diè Libica arena
Mostro sembiante, al qual non è sembiante
85Mostro, ch’a depredar corra sul Gange.
Dove si volge il buon David, e mira
Il grave risco dell’amata greggia,
Ratto di dura selce arma la fionda,
Così pregando: O d’Abraamo, o santo
90Dio d’Israel, tu pure il Dio sei grande
De gli avi miei. Così dicendo ei rota
Tre volte il sasso, e lo discioglie al fine:
Ei l’aria fende impetuoso, e fere
L’orrida fera alle vellose coste,
95Ma lievemente offende il gran nemico:
Ed egli al feritor non pria si volge
Ch’a lui minaccia sanguinosa guerra.
Erge la giubba atroce, atroce ei gonfia
Il colle d’ira, e tutto inarca il tergo;
100Spumagli il muso, e la volubil coda
Flagella i fianchi smisurati, e sveglia
Con spessi colpi la superbia interna:
Ma tra i gran velli delle ciglia irsute
Il mortifero sguardo aspro divampa
105Quasi di fiamma; e come allor, che in cielo
Crudo Orïone il bel seren perturba,
Tetro nembo veggiam, che dalle nubi
Folto si forma, e quando è ben condenso
S’apre tonando, e fulmini saetta;
110Così dappoi, che l’implacabil mostro
Gravido d’ira più feroce apparve,
Le sanguinose guance allarga, e spande
Aspro ruggito, onde la valle erbosa,
Onde la selva tenebrosa, ed onde
115Il monte intorno, e tutto il ciel rimbomba:
E come il mar, che procelloso freme,
Veggiam, che spinge a terra orribil onda,
Così contra David l’orribil fera
Infurïata, e rapida s’avventa;
120Ed ei costante al braccio manco avvolge
La spoglia d’orso onde guerniva il tergo,
Nè pria la belva indomita s’appressa,
Ch’entro le ingorde canne ei la profonda:
Indi saltando le si pon sul dosso:
125Ivi col destro de’ ginocchi ei preme
Inverso il prato, e con la destra afferra
A sè traendo le superne fauci,
E spinge con la manca a terra il mento.
Qual si rimira il sagittario Scita,
130Se arma di lungo strale arco possente,
Ch’ei con una ricerca il ferro acuto,
Con l’altra man tragge la corda al petto;
Cotal movea David le braccia invitte.
E già di sangue era infocato il volto
135Per l’alto sforzo: e si vedean le vene
Tutte gonfie segnar le stanche membra,
Quando pien d’ira e di virtute eterna
Squarcia la gola divorante, e frange
La dura vita all’animale immenso,
140Ch’a terra palpitando al fin si stende.
Allor scendea la montanara turba
Da gli alti colli, onde mirò l’assalto;
E vista da vicin la fera estinta,
Ciascun volgea meravigliando il guardo
145Or su l’unghie ferrigne, ora sul dente,
Già scempio degli armenti, ed or su gli occhi
Così disanimati ancor feroci;
Indi con lunghe, e con veraci lodi
Il nome di David portava al cielo,
150Il Dio lodando d’Israele eccelso.