Il Lago Maggiore, Stresa e le Isole Borromee - Vol. 1/Libro II. Capo VI

Libro II. Capo VI. Prime memorie dell'Isola Madre all'epoca dei Carolingi

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CAPO VI.


Prime memorie dell'Isola Madre all'epoca dei Carolingi


Tra i molti luoghi affatto dimenticati dalla storia in quest'epoca, e che ci sono rivelati dalle carte scampate dal comune naufragio, merita di essere ricordata la prima, l'Isola Madre, come è chiamata oggigiorno, nel seno più ampio del nostro Lago.

Ma perchè non si è trovata di essa e delle altre isole non molto da lei discoste memoria, non credo che si possa inferirne che fossero sconosciute agli antichissimi abitatori delle nostre contrade. Le tracce di abitazioni lacustri sulle sponde del nostro Lago depongono il loro favore. Solo si potrebbe dubitare se fossero state abitate in quella remota età, ovvero lasciate in abbandono, attesa la distanza della maggiore da terra ferma e la condizione alpestre, quale sembra dovesse essere allora quella dell'Isola Inferiore, la quale secondo ogni apparenza dovette presentare al guardo l'aspetto di un informe scoglio uscente dalle acque. Più probabilmente abitata potrebbe dirsi che fosse l'Isola Superiore, perchè meno elevata e di superficie più regolare. Ma dal silenzio degli scrittori, e senza tracce di monumenti ivi scoperti poco giova ricorrere a conghietture, che potrebbero anche col tempo manifestarsi fallaci, e che d'altronde ognuno può fare agevolmente da sè.

Allenandomi dunque al positivo dirò, che la prima memoria che ho trovato dell'Isola Madre, è in un documento del 22 [p. 218 modifica]Settembre dell'anno 846, pubblicato con alcune annotazioni la prima volta nella sua interezza da Mons. Luigi Biraghi Dottore dell'Ambrosiana in calce alla mia Vita del B. Alberto Besozzi. Siccome poi questo documento può considerarsi tuttora come inedito non essendosene fatta menzione alcuna nelle collezioni di simil genere che si fecer dappoi, e d'altra parte spande molta luce su diversi luoghi del nostro Lago, ed è per la sua età eziando preziosissimo, così ho giudicato opportuno di inserirlo di nuovo tra gli altri documenti, che saranno insieme riuniti alla fine dell'Opera.

È questo un istrumento, col quale certo Eremberto, regio vassallo, dichiara di aver fondato nella pieve di Legiuno una chiesa in onore di S. Siro e di avere in essa collocato il corpo di S. Primo e le reliquie di S. Feliciano martiri, ch'egli ebbe in dono da papa Sergio II trovandosi in Roma, ed inoltre stabilisce un prete custode ed officiale di detta Chiesa plebana di S. Stefano, quando colà non si osservassero le sue disposizioni.

Questo documento porta la data dell'anno XXVII dell'impero di Lottario, e III dal regno di Lodovico suo figlio, correndo l'indizione X incominciata col primo di Settembre. L'originale scritto in doppio esemplare da conservarsi l'uno nell'archivio della Chiesa di S. Siro e l'altro in quello della Chiesa di S. Stefano di Legiuno, andò perduto, ma ne fu tratta copia sino ab antico, come avverte il sullodato Mons. Biraghi, probabilmente nel secolo XII, ovvero XIII, autenticata secondo le leggi e l'uso del tempo da cinque notai, che compariscono sottoscritti da ultimo. Ma anche questa copia autentica, per quanto sappiasi, andò smarrita. Al presente non ci resta che una semplice copia, trascritta al tempo della visita di S. Carlo Borromeo a Legiuno, e conservata nell'archivio arcivescovile di Milano nel volume che contiene carte antiche di Legiuno e della sua Pieve. Questa copia però fatta da scrivano inesperto è piena di scorrezioni: per buona sorte sono integri i due punti più rilevanti, quali sono le note cronologiche e i cenni storici. Si aggiunge che Carlo Bescapè, poi [p. 219 modifica]Vescovo di Novara, il quale soleva accompagnare S. Carlo nelle visite pastorali, certamente imbattutosi in copia migliore, ci conservò questi due punti principali nei suoi Fragmenta Historiae Mediolanensis (pg. 6), dei quali si servì anche il Giulini (P. 1, p. 238), che deplora, che non sia stata dal dotto prelato riferita intera, giacchè ora, egli scrive, più non si ritrova. Noi così più fortunati in questo di lui possiamo ora correggere diverse inesattezze da lui commesse nel darcene contezza sul semplice tratto trascitto dal Bescapè1.

La prima e più importante delle quali è che Eremberio fondatore della Chiesa di S. Siro, poi chiamata di S. Primo, in Legiuno, posta nel territorio di Seprio (in loco et fundo Legeduno finibus Sepriensis), come poi si legge2, era conte, quando nella nostra pergamena è chiamato col titolo di semplice vassallo (vassallum dominorum regum) o di uomo onorevole (vir honorabilis) dal regio notaio Analberto, che stese e firmò questo istrumento3. Dovette però essere uomo ricchissimo e abitante della stessa pieve di Legiuno, come appare [p. 220 modifica]dalle vaste possessioni, ch'egli stesso enumera in questa carta per quella parte di esse, che lascia in benefizio del custode di detta chiesa di S. Siro, e alla manutenzione della medesima.

Non è del mio scopo di dare una piena illustrazione di questo documento, che pure si meriterebbe per le tante notizie di diverso genere, che si potrebbero trarre da esso con frutto. Di alcune farò parola nel secondo volume, dove esporrò le memorie della pieve di Legiuno: qui mi limito a parlare di quelle sole che spettano all'Isola Madre.

Ecco il breve tratto che la riguarda, sebbene alquanto monco e guasto e nè anco abbastanza chiaro: Habere instituo praedictam ecclesiam (parla della chiesa di S. Siro da sè fondata) oliveta meas, quas habere videor in insula Sancti Victoris infra lacu maiore anteposita (sta di contro alla terra di Cerosolo e in faccia alla detta chiesa, benchè posta entro terra) petias duas de olivetis una .... (e qui doveva essere indicato il sito preciso dall'una, che rimase in lacuna), alia ab parte S. Victoris. — Nam aliae omnis [aliae] res quidquid in ipsa insula S. Victoris habere videor, seu casas et res meas, quas havere (così) videor in loco et fundo Caona, omnia quidquid havere videor in ipso loco et fundo Caona, omnia inibi aspiciente in integro, etc.

Tre importanti notizie ricaviamo da questo brano intorno all'Isola Madre: la prima, ch'essa era chiamata Isola di S. Vittore, la seconda ch'era già posta a coltura, e quindi spoglia di abitatori, e la terza, che vi dovevano fiorire in modo prticolare gli olivi. Dilucidiamo alquanto queste notizie.

Senza dubbio l'Isola Madre era riconosciuta anche dal nostro Ven. Bescapè (Novar. p. 157) sotto il nome d'Isola di S. Vittore. Ora poi abbiamo la certezza, che assai prima dell'anno 846, doveva avere una chiesa dedicata a questo Santo; giacchè non è supponibile che fosse stata ivi edificata solo qualche anno innanzi, se era conosciuta generalmente da ognuno con questo nome4. Quando poi sia stata ivi edificata tal [p. 221 modifica]chiesa non si può definire con precisione. La sola conghiettura, che può farsi con qualche fondamento, se realmente a quest'isola si dee riferire il brano della Vita de'Santi fratelli Giulio e Giuliano, che abbiamo recato di sopra alla pag. 131, è ch'essa non possa essere nè anteriore al secolo V, nè posteriore all'VIII. Ma non mancano forse indizii per venire ad una più precisa determinazione.

Da una carta dell'anno 998, della quale ci occuperemo più avanti, si rileva che quest'Isola si distingueva dalle altre col titolo di maggiore e che aveva un castello. Eccone le parole che si leggono presso il Giulini (P. II, p. 450): Item in loco et fundo, ubi dicatur Castro Insula, que nominatur maiore infra Laci Maiore.

Noi non sappiamo quando e da chi sia stato edificato questo castello. Si potrebbe però sospettare con molta probabilità che ne sesto secolo, al momento delle scorrerie dei Bergognoni e di altri barbari per queste contrade, delle quali abbiamo parlato nei capi XIX e XXII del libro precedente. È facile argomentare, che gli abitanti del continente e fors'anco quelli delle Isole più vicine, per isfuggire le costoro devastazioni e latrocinii riparassero in questa più discosta da terra ferma, e che colà vi erigessero alla propria difesa una piccola fortezza5. [p. 222 modifica]La frequente ripetizione poi in quel secolo di questo pericolo fece sorgere eziando il desiderio nei rifugiati di avere colà anche una chiesa. E questa io suppongo sia stata l'origine di quella di S. Vittore colà edificata pel temporaneo bisogno di coloro, che vi erano accorsi, e che da essa chiesa in appresso l'Isola che si chiamava Maggiore, certamente in paragone delle altre, ricevesse il nuovo suo nome d'Isola di S. Vittore, pur sussistendo ad un tempo anche la prima denominazione. Cessato poscia il pericolo, gli abitanti colà rifugiati se ne tornavano alle proprie sedi, colà tuttavia rimanendo un sacerdote ad officiar quella chiesa, la quale dovette essere ad un tempo anche l'unica ad uso delle popolazioni delle altre due. E dico ciò, perchè si ha ogni ragione di credere che niuna chiesa ad essa anteriore si avesse in questa, se quella fu anche tenuta siccome la matrice e parrocchiale di amendue le Isole Superiore ed Inferiore, come si ricava dalla relazione, che ci ha lasciato il Bescapè, il quale inoltre ci attesta l'esistenza in questa medesima Isola di un tempietto dedicato a S. Giovanni Battista ad uso di battisterio, e di più ne ricorda il cemeterio comune a tutte e tre le Isole: di che, se non erro, si trae anche l'origine della posteriore denominazione d'Isola Madre, che fu dato a questa e che le rimase poi sempre anche dopo i tentativi fatti per mutarne il nome, come a suo luogo vedremo. Quest'Isola dunque ebbe successivamente tre nomi, cioè d'Isola Maggiore, d'Isola di S. Vittore e d'Isola Madre.

L'altra notizia che abbiamo appresa di quest'Isola dal nostro documento dell'anno 846, è ch'essa era già in quest'epoca, e dovette certamente esser tale anche nelle precedenti, tutta posta a cultura: giacchè se più pezze di terra ed [p. 223 modifica]oliveti vi possedeva il vassallo Eremberto, e più casolari, ben possiamo da questo stesso argomentare, che tutto il suolo coltivabile in essa era diviso tra più proprietari. Tra le varie denominazioni particolari di questi fondi sembra che uno vi fosse chiamato Caona, se le parole che ce lo indicano, realmente, come appare probabile, si devano intendere di luogo ad essa spettante. Di che ne viene eziando ch'essa dovesse essere ordinariamente spoglia di abitatori.

Che poi tale sia stata la sua condizione anche in epoche a questa posteriori, ce lo attesta il B. Andrea nella Vita di S. Arialdo nell'XI secolo e cel dichiara espressamente nel XVI il Ven. Bescapè nella sua Novaria6, insengnandone ch'ella fu mai sempre priva di abitatori. Nè questo può incontrare difficoltà alcuna ad ammettersi, qualora si consideri la sua posizione dall'una parte troppo discosta da terra ferma e la sua piccolezza dall'altra per poter soddisfare ai bisogni di qualsiasi popolazione.

  1. Questi aveva detto che la pergamena faceva menzione del solo Lottario, mentre vi è espressamente nominato anche Lodovico suo figlio; per cui cade a terra l'osservazione fatta dal Giulini (ivi, pag. 241), il quale attesta il contrario.
  2. Al Sepriensis si sottintenda comitatus, ovvero si abbia per modo sgrammaticato in luogo di sepriensibus. Di simiglianti errori, come avrà avvertito da sè anche il lettore, non v'ha penuria nelle nostre carte; e ne vedremo altri molti andando innanzi. Gioverà poi qui di notare che colla parola finibus nelle nostre carte non s'intende già di indicare un luogo posto ai confini di un territorio, ma sì il territorio stesso, entro i limiti del quale si trova quel dato luogo.
  3. Erano i vassalli uomini di corte, i quali prestato il solito giuramento di fedeltà, avevano il dovere ed anche il diritto di far corteggio ed onore al re, e ad una occorrenza accompagnarlo in viaggio, specialmente per Roma. Le città Longobarde così dicevano all'Imperatore Federico verso il 1173, in un programma di concordia: Imperator fidelitatem a vassallis exigat ... Vassalli etiam expeditionem et faciant secundum quod soliti sunt et est antiqua consuetudo, cum pergit Romam. Vedi il Muratori, Antiq. Med. aevi. Essi vassalli poi venivano rimunerati con feudi e fondi, e ne pigliavano l'investitura e il distintivo del bastone, detto Sceptrum regale.
  4. Della diffusione del culto di S. Vittore nei luoghi intorno al Lago Maggiore ho toccato qualche cosa anche di sopra. Il Giulini (P. VIII. pag. 406) sulla fede del Buonvicino numera verso la fine del secolo XIII ben sessanta Chiese dedicate a questo Santo nella sola Diocesi di Milano. Non so quante, ma parecchie certo n'ebbe anche in quella di Novara. Di queste si fa menzione anche nella Vita di lui scritta da un canonico di S. Vittore d'Intra, Bernardino Lamberti, col titolo Memorie di S. Vittore martire rintracciate ed esposte ecc, Vercelli, 1783, in 8.^ p — Il martirio di questo Santo si vedeva in Stresa dipinto nella parete destra entrando nell'Oratorio della B. Vergine del Rosario detto degli Spasuti, ora distrutto.
  5. Non ignoro essere opinione più comune tra noi, che la moltiplicazione dei castelli intorno al Lago Maggiore e nelle regioni limitrofe si deva ripetere dalle incursioni degli Ungheri nel X secolo. Senza però negar ciò ritengo nondimeno probabilissima anche la su esposta sentenza, avuto riguardo altresì all'esempio dato loro dal Vescovo Onorato, dal quale ho dato un cenno più sopra. Ne mancano d'altronde memorie certe di castelli esistenti in questi dintorni all'epoca dei Carolingi, quale sarebbe a cagion d'esempio quello di Pombia (castrum Plumbia) ricordato in una carta dell'anno 885, della quale parlerò tra poco. Anche questo castello io credo che sia stato fabbricato anteriormente a quest'epoca, e per la stessa ragione, che fu costruito quello della nostra Isola, appunto per questo, che niun'altra se ne saprebbe trovare sotto dei Carolingi, l'epoca de'quali fu per l'Italia una delle più pacifiche, senza confronto.
  6. Ivi alla pag. 134 leggiamo: Insula S. Victoris in medio fere lacu est, in qua olim Ecclesia S. Victoris parocchialis Isellarum cum coemeterio et usitato tempio S. Iohannis Baptistae ad usum baptisterii, et habitatoribus fere sempre: num hic, ut plerisque locis in continenti, ecclesia parocchialis remotier fuit ab habitatoribus. In appresso ricorda essere stata questa Isola data in enfiteusi al Co. Lancillotto Borromeo, exceptis ecclesiis memoratis et coemeterio.