Il Foresto/Canto III
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CANTO TERZO
Con sì fervido cor, con sì fremente
Rabbia nel petto s’attendea che l’Alba
Crocaddobbata aprisse varco in cielo
Mettendo in corso l’immortal Piroo;
5Ma su per l’alto dell’Olimpo eccelso,
Eteree cime, onde il Rettor supremo
Scote la terra, e dà la legge all’onde,
O pur col cenno fa tremar gli abissi
Altro si stabiliva alto decreto:
10E questo fu, che nella mente eterna
Fermò dell’universo il gran monarca
Fare Attila dolente, e di sue colpe
Esporre al guardo uman giusta vendetta;
Però dinanzi a lampeggiante trono
15Di splendore infinito, ove ei s’asside,
Fe’ di Pietro venir l’alma diletta;
Indi sciogliendo dell’eterea voce
L’immenso suon divinamente ei disse:
Venuto è l’ora che ’l signor degli Unni
20Saldo dispregiator di mia pietate
Con la giustizia si corregga; ho scelto
Per leale ministro a dargli morte
Foresto illustre regnator d’Ateste,
Nipote d’avi che in seguir virtute
25Diedero a lui ben manifesto esempio,
Ed egli è tal che sferzerà ben forte
A gloria procacciar figli e nipoti;
Ma di presente non bastante all’arme
Tra fasce e piaghe ha per albergo il letto;
30Tu movi e porta a lui salute e forza
Da reggere armi: più non giunse, e tacque
La sempre invitta ed eternal possanza:
Allor per tutto il cielo arse di lampi
Nova chiarezza, e le falangi eccelse
35Dell’esercito eterno alzaro note
Cantando del gran Dio le glorie immense:
Ma lascia Pietro de’ supremi campi
La non per or da misurarsi ampiezza,
E prende il volo suo verso Oriente
40Nel basso mondo: ei rassembrava stella
Che d’ore striscia per seren notturno;
Ne si posò che nel mirabile orto,
Onde mal saggio discacciossi Adamo
Dentro non fosse; ivi per aria lieta,
45Che non sa d’aquilon soffrire oltraggio
Sorgono piante, a cui non lascia aprile
Unqua di frondi vedovarsi i rami,
E s’allegrava tutto il suol de’ fiori,
Quanti ne soglia disiar lo sguardo
50Per suo conforto, infra cotanti un solo
Ne colse Pietro; ed era il fior contento
Pur di tre foglie, una verdeggia, l’altra
Era qual pura neve, e qual piropo
Splendea la terza sfavillando in ostro:
55Così fornito se ne vien del cielo
L’alto messaggio là ’ve giace infermo
Il campion destinato alla grande opra:
Correa la notte, e del cammino oscuro
Era sul mezzo, e gli animanti in terra
60Tutti godeano in disïato sonno;
Ma non Foresto chiudea gli occhi, e posa
Dava nel petto a’ gravi suoi pensieri;
Ansi spiaceva a sè medesmo, e caldi
Traca sospir quando ascoltava il suono
65Delle trombe alla guerra eccitatrici,
Dicendo seco: sen andranno a terra
Queste onorate mura, e ch’io tirassi
Colpo di spada per le sue difese
Sul punto estremo non sarà memoria?
70Si fatto onor per così bella impresa
Illustrerammi? e per si fatto assalto
Tra sommi duci volerà mio nome?
Così dicendo ora il sinistro, ed ora
Il lato destro rivolgea tra’ lini
75Tutto cruccioso di non cinger spada:
Ed ecco entrar del regnator superno
Il messaggier nella rinchiusa stanza
Difondendovi dentro un mar di lampi:
Vinto Foresto con le man fa schermo
80Al subito ferir del troppo lume:
Ma Pietro fa volar suono celeste
Formando note umanamente, e disse:
Foresto, io scendo dalle altezze eccelse
Del Paradiso: l’immortal possanza
85Del sempre invitto correttor del mondo
Mi manda a te: dammi l’orecchio, e credi:
In questa notte ha da condursi a morte
Attila scellerato: or tu disponti
A troncar con tua man l’indegna vita;
90Opra, che fia possente a porre in corso
L’alme ben nate, ed acquistar corone;
E veggio un forte fra gli altier nipoti
Farsene specchio tal, che presso al Lambro
Spegnerà re non men feroce ed empio;
95Degli altri io tacerò; fama non vana
Alto ne canterà di tempo in tempo:
Qui tacque ed indi col mirabil fiore
Toccò le piaghe, ed elle venner sane;
E del corpo guerrier le nobil membra
100Doppiaro forza: più veloce il piede,
Il polso della man via più gagliardo,
E per le vene via più ferve il sangue;
Onde in guisa cotal Pietro ragiona:
Della bramata giovenil fortezza
105Jo ti lascio giojoso; or vesti i panni,
E vesti l’armi; io riporrotti in mezzo
Degli steccati,, ove riposa l’Unno;
Qui tacque: ed indi al cavalier s’invola:
Ratto Foresto delle vesti usate
110Adorna il busto rinfrancato, e cinge
Brando temprato su maestra incude
Con lungo studio, ed adornò non manco
La fronte giovenil d’elmo lucente,
Che ricco incendio di piropi ardenti
115D’ognintorno versar non è mai stanco;
Al fine imbraccia di ben saldo acciaro
Ben forte scudo, in cui di perle spiega
Gangetico tesor; candide piume
L’aquila Estense, quando armato il mira
120Pietro nel porta infra le regie tende,
Ove posava il regnator degli Unni:
Notte correva intanto, e più che’l mezzo
Omai fornito avea di sua carriera;
E mirarsi facean l’eteree piaggie
125Popolate di lumi, onde per l’ombra
Potea gioirsi di chiarezza in terra:
E Pietro disse al bon Foresto: il campo
In che provarsi dee la tua virtute
Hai qui presente; tu rinfranca il core;
130E se qui spenderai la nobil vita,
Fia bene spesa, e così detto ei sparve.
II Cavalier pien di pensier volgea
L’animo forte a cominciar l’assalto;
Ne molto dimorò; schiera d’armati
135Moveva intorno a visitar le guardie
Di quei ripari, ed incontrossi in lui;
Dorielo il Duce alza la voce, e grida:
Donde si vien? dove si va? chi siete?
Rendimi il nome: il cavalier celeste
140S’avvento crudo, e gli squarciò la strozza;
E quei sgozzato traboccò sul piano:
Come talora all’apparir d’Arturo
Fulmine ardente, che scoscende i nembi
Lampeggia e tuona in un momento, e fere;
145Cotal Foresto mise man al brando,
Spinse la destra, e lacerò quell’Unno
in un sol punto; e come quercia in monte
Ove scherniva il minacciar degli Austri
Subito casca fulminata, e lunge
150Fa co’ rami sonar le rive ombrose;
Cotal sen venne quel Barone a terra;
E l’aureo scudo, e la corazza e l’elmo
Alto sonaro: meraviglia immensa
Quinci sorprese i cavalier seguaci;
155Ma fier Foresto sollevò la spada
Inverso il capo d’Agricalte, e fende
Giù per la fronte, e per lo collo in guisa,
Che sopra il destro, e sul sinistro fianco
Si rovesciava la partita testa;
160Ma le midolle del cervello sparse
Corsero a terra; le ginocchia ei piega
E dà col petto in sul terren là, dove
Sonno di ferro eternamente il prese:
Non per questo cessò l’inclita destra;
165Nearco affronta; era d’orribil belve
Non mai pago uccisor; ben grave d’anni
Ma cruda, e verde si godea vecchiezza;
Vestiva in vece di ferrato usbergo
Orride sete di cinghiale alpestre,
170in rimirar da spaventarsi arnese,
Ma non paventa del campione Estense
L’alto coraggio, che tra costa e costa
Vibra ferita, e duramente estinse
Quelle freschezze del polmon ventoso:
175Ei diede alquanti crolli, indi col tergo
La terra impresse, e scolorito in viso
Con narici affilate, alzò singhiozzo,
E dir volea, ma della vita il filo
Atropo gli recise: oltre sen passa
180Foresto, e taglia a Rimedon la destra,
E fa caderne l’arrotata scure
Onde egli promettea colpi di pregio
Villanamente; e poi di novo immerge
Nell’anguinaglia il sauguinoso acciaro:
185Rimedon casca, ed il guerrier calpesta
Le lorde membra; indi atterrava Ofelte:
Questi fidando in sè medesme, note
Faceva udir di barbaresco orgoglio
Al vincitor ben già da presso; ed egli
190Profondandogli in petto orribil punta
Tutto il fegato scempia; onda di sangue
Sgorgò fuor di quello antro, ed il superbo
Rimase desiata esca di corbi:
Allor comincia ad ingombrar viltate
195L’anima forte di quei duci, ed alto
Ciascun gridava all’armi: entro i ripari
Sono i nemici: all’arme, all’arme, all’arme.
Al gran rimbombo, che per l’aria vola
Mosse la squadra delle regie guardie:
200Era duce Nearco: ei giva altiero
Per anni freschi, e per guerrier sembianti,
E tutto involto di purpuree spoglie
Portava in cima del cimier con arte
Scolpito il monte delle fiamme Etnee;
205Venia saltando, e fier siccome toro
Se per bella giovenea in valle ombrosa
Scalpita co’ piè l’erba, e fa col corno
E coi mugghiar brava disfida all’aure:
Dall’altra parte se ne vien l’Estense
210Come Leon quando le ciglia aggrotta,
E con la coda smisurata i fianchi
Aspro flagella, e che ruggendo ei tuona:
Allor rimbomba la Caucasea selva,
E sul periglio di pasciuti armenti
215Stan tremando i bifolehi: or chi bastante
Fora a narrar le minacciate piaghe?
Il suon de’ brandi? il fiammeggiar dell’armi?
E de’ nobili cor l’alto disdegno
Sparso per gli occhi? il feritor primiero
220Fu la barbara destra; ei lancia un’asta
Nou men di tosco, che di ferro armata;
Ei sforzò le sue forze; il dardo fende
L’aria ronzando, e nello scudo avverso
Strada s’aperse, ma non giunse al pette
225Ove era vaga di ferir la punta:
Nearco sfodra di forbito acciaro
Gran scimitarra, e destinava piaga
Verso la tempia del nemico: ei schermo
Fassi pur con la spada; indi percote
230L’elmo per modo tal, che d’ognintorno
L’Etna dell’oro seminò faville;
Sangue non corse già, ma sotto il colpo
Tentenna, e mal si sostenea Nearco:
Non lascia il brando riposar Foresto,
235Ma spinse l’armi entro il belico, e dietro
Va furioso, e lacerò le reni;
Tale in duo fonti di bollente sanguc
Atrocemente inebbrió la spada:
Cascò Nearco, e sul serrar degli occhi
240Obblio nol prese de’ paterni alberghi:
Mal fortunato, ivi lasciò partendo
Carissima beltà d’inclita sposa,
Ed in suo grembo ammammellato infante,
Che mai non vedrà più: scorse cascarlo
245Sinolfo possessor d’ampio tesoro,
E per questa cagione al Re diletto
Vide cascarlo; ed avvampogli il viso,
E per entro le vene incendio d’ira;
E fra suoi mise un alto grido: o pera;
250E chi di noi più mostrerà la fronte
Non vendicato al Re? tanto dispregio?
Oggi tanta viltate? i cor codardi,
Serbinsi a’ corbi, ed al digiun de’ cani;
Ed io primiero: ei così grida, e scaglia
255Il dardo; e cento secondaro: alcuni
Forte fero sonar l’aurea celata;
Altri graffiaro del gemmato manto
I ricchi fregi; e chi percosse l’oro,
E lo splendor del ben temprato scudo,
260Ivi oltraggiando del reale augello
L’invitte piume: a tanti gridi, a tanti
Colpi, ed a tante dell’orribil Marte
Acerbe furie tenne saldo il piede
L’alto guerrier, nè sa cangiar sembiante:
265Qual s’armando talor rozza falange
I montanari cacciator sen vanno
Giocondi a guerreggiar porco silvestre,
Egli tra canne paludose, e giunghi
Suo forte albergo, se ne sta ben franco,
270E guarda bieco, e per soverchio d’ira
Gli occhi rivolge rosseggianti, e mostra
Pronte a ferir le formidabil zanne:
Ma disperato alfin s’avventa ed apre
I chiusi varchi, e frange spiedi, e sventra
275Veltri, e molossi, ed ogni incontro abbatte,
E dell’opposta gioventù fa scempio
Miseramente: a tal sembianza in campo
Trattava l’armi l’immortal Foresto:
Per fama intanto, e per messaggi inteso
280Attila aveva il non temuto assalto,
E la fredda paura, unde eran piene
Tutte le squadre; di stupor s’ingombra
Come ciò fosse; e travagliato in vista
Appella i duci, e ciò ch’oprar si deggia
285Non è ben certo; allaperfine ei pensa
Di prova far quanto potesse in guerra
La maestate, ed il reale aspetto:
Dunque la spada al manço lato appende;
E di fidato morïon ricopre
290E le tempie, e la testa; e scudo imbraccia,
Armi dorate, armi gemmate; ed ivi
Ei risplendea siccome in ciel sereno
Il temuto fulgor del can celeste:
Sì fatto esce di tenda, e l’orme affretta,
295E collerica fiamma ardegli in petto;
Ch’ei mena smanie; e seco parla, e nota
Non puo’ formar: se fra stellanti chiostri
O nell’oscuro delle tombe inferne
Alcuno è, che governi, e regga il corso
300Della speranza, e dell’uman spavento,
Costui senta mie voci, e porga ajuto
In questo punto a disfogar miei sdegni,
E s’alcuno non è, che regga il mondo,
Nulla non me ne cal; potrà mia destra
305Fulminare, e tonar sopra i nemici
Per sè medesma: in guisa tal sen corre
Gorgogliando bestemmie entro alla strozza:
E già nel ciel verso le porte Eoe
A gran passi venía quasi gigante
310Il Sol portando l’alma luce al mondo,
Ed Attila girando il guardo intorno
Potea specchiarsi nella fuga indegna
Degli smagati popoli: ciascuno
Lunge da sè gittava archi, e faretre;
315Aste, e brocchier son disprezzati; ognuno
Discarcasi dell’armi, e sol si spera
Nel veloce volar del piè codardo:
Tanta viltate riguardar non valse
Il Re superbo, che doppiando l’ira
320Non tonasse dal cor minaccie ed onte
Verso i dispersi, o di guerrieri a nome
Chiamati a torto; a gran ragion le spade,
A gran ragion da voi cacciate l’aste,
Che son zappe, ed aratri i vostri arnesi;
325Ite alle stalle, ed al grugnir de’ porci,
Per cui nasceste: oh s’io ritorno al regno;
S’io vi ritorno! sì dicendo ei spande
Vampe dagli occhi, e fa crocchiare i denti
Per lo disdegno, e per la rabbia: intanto
330O carco di trofei ramo di Marte
Astro d’Italia, e per la via del cielo
Illustre scorta degli Estensi Eroi
Vibravi il brando fulminoso, e tronche
Sbranavi membra non mai stanco, ed ampio
335Versando sangue funestavi i campi;
E come avvien, che divenendo sazia
Di specchiarsi nel Sol volgesi a terra
Aquila altiera; e tra belle erbe, e giunchi
Vede stagnarsi un pelaghetto; quivi
340Lieta con largo piè voga per l’onde
L’oca cianciera, e vezzeggiando pompa
Fanno del lungo collo i gru dipinti,
E nel cristallo van tergendo l’ali
I cigni cari d’Amatunta al nume:
345Ma vago di ghermir scendendo a piombo
L’angel di Giove col vigor del rostro
Sparnazza gl’infelici; allor per l’aura
Volano penne dissipate, e l’onda
Del piccoletto mar torna sanguigna;
350Tale era quivi a rimirar fra l’armi
Il Gedeon della magion d’Ateste;
Quinci in mirar la miserabil strage
Tanto di rabbia in petto Attila colse,
Che forsennava: ei mise l’ali al piede
355Per tosto guerreggiar l’aspro nemico:
Mosse; ma lasso lui, che di sua vita
L’estremo fil gomitolava Cloto:
Tosto, ch’ei fu da presso alza la destra
Col ferro micidial verso la fronte
360Tanto odïata, e fa volar in scheggie
L’oro dell’elmo, ma rimase esposto
Il destro fianco all’inimico, ed egli
Sospinge dell’acciar l’aspra acutezza,
E spezza l’osso, e trova il core, ed apre
365Fiume di sangue, che la sabbia inonda;
Casca il tiranno, e fa sonar l’arena
Con la percossa; ei scosse poco il piede,
Che gelo il doma, ed un negror coperse
Eternamente la real palpebra:
370Allor Foresto sollevò dal petto
La nobil voce, e fece udir tal grido:
Chiunque sprezza del Monarca eterno
La data legge, e prende a scherno il cielo
Qui fermi il guardo: rassembrò quel grido
375Strepito d’Oceán, s’unqua s’adira
Il Tridentier dalle cerulee chiome;
Quinci barbaro cor non più rammenta
Che sia battaglia; e dileguò veloce
Per la campagna da temenza oppresso;
380Quivi cinta di nembi errava intorno
La sempre vaga d’ogni mal Megera,
E seco Aletto; a cui diceva: or quando
Pur doveano venir tante sventure,
Porta di qui lontano il Signor morto,
385Che fu servo di noi; vergogna immensa
Fora farsi veder vivanda a’ cani
Il mar sempre devoto a’ stigj numi;
Ed io procurerò, ch’abbiano scampo
L’afflitto avanzo delle turbe: entrambo
390Chiuser le labbra, e si metteano all’opra;
Ma venuta a suo fin l’eccelsa impresa
Piega Foresto le ginocchia, e rende
Fervide grazie al correttor del mondo;
Indi si volge alla città: ben folte
395Di gente ne venian fiumare allegre
Verso il liberator; tuono di gridi
Este portava su per l’alto, ed Este
Pronte quaggiuso rispoudean le valli,
Este per tutto risonava, ed Este:
400Così raccolto nei difesi alberghi,
Con la bella arte dell’amabil pace
Delle battaglie ristoraro i danni:
Fin qui dicea lungo lAonia riva
La bella Euterpe delle eetre amica;
405Ed io de’ lauri per le scorze eterne
Le care note ad ora ad or scrivea:
Tu vero successor de’ tuoi grand’Avi
Francesco in seggio riponevi Astrea,
E di Cerere i campi aveva in cura
410Per alloggiarvi Pace amabil Dea:
O lor felici, e fortunati loro,
Che sotto il nume tuo, novo Saturno,
Godono in questa etate il secol d’oro.