Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
del chiabrera | 209 |
E molto innanzi all’ungaro tiranno:
255Costui feroce maneggiando l’armi
Sulla muraglia in sanguinoso assalto
Rimase prigionier: Menapo allora
Molto gli si mostrò di cor gentile,
E con atti cortesi ebbelo seco:
260Allora Adrasto lo si fece amico;
Però da lui non fu sì tosto scorto
Che prontamente gli si move incontra;
E con un oh di meraviglia chiede
Donde? e perchè? nel così dir l’abbraccia,
265Poi dolcemente lo riguarda in viso:
Posto il termine usato alle accoglienze
Risponde Adrasto al cavaliero: io parto
Dalla cittate infino a qui difesa
Per me contra ragion; vegno bramoso
270Di dar le mie fatiche al signor vostro;
Però condurmi al suo real cospetto
Sia di te cura: qui tacque egli; Absirto
Per man lo prende, e se ne vanno intrambo
Dove il duce sovran facea dimora;
275Il ritrovaro: ei di corazza acciaro
Vestiva ardente per piropi ed oro;
E dal sinistro fianco aurea gli pende
Fulgida scimitarra, il petto, e ’l tergo
Tutto s’involve di purpureo manto,
280Manto, cui distingueano alme a mirarsi
Gemme, tesor dell’Eritree maremme;
Tal passeggiava entro a’ guerrier più scelti
Con esso lor trattando opre di Marte:
Absirto inchino gli s’appressa, e mostra
285Il campion strano, e dà di lui contezza:
Attila il chiama, e ben l’accoglie, e parla
Ver lui cortese in cotal guisa: ho caro
Voi meco aver campion di tanto pregio
Per onorarvi; e s’avverrà ch’io deggia
290Operando mostrarlo io sarò pronto:
Allor il cavalier con alterezza
Non senza riverenza a parlar prese:
Alto signor da gran ragion commosso
Mi feci difensor di queste mura
295A voi nemiche, e da ragion non meno
Per oltraggi sofferti oggi ne vegno
A dare assalto, e traboccarle in terra
Per te non meno, e non ragiono a voto:
Menapo re da subitano assalto
300Fu percosso da morte, ed indi Elvira
Chiuse gli occhi per doglie in sonno eterno;
Il figlio successor puossi dir bimbo,
Sì scarso è d’anni, e che governi il regno
Testa non è di riverirsi degna;
305La greggia popolar vinta, accasciata
Poco non fa se con le donne afflitte
Prega gli altari, i duci, uno hai davanti;
Ernesto dianzi per mia man trafitto
Versò l’alma col sangue, e più non vive:
310Non negherò che ci riman Foresto
Illustre per fulgor di nobili avi
Onde discende e per tesor possente;
Grande in asta vibrar, grande per senno,
E per trionfi e per vittorie grande;
315Ma carco di ferite or si condanna
Star sotto coltre, e riposar tra piume;
Dunque qual cor paventa? e chi consiglia
Posar, sommo signor, la tua possanza?
Che non si spande ogni bandiera al vento?
320Che non squilla ogni tromba? io non ti scorgo
Con mortal risco a rinnovare assalti;
Vi conduco a gioir d’una vittoria
Che vi si dona in dono: in tal maniera
Parlava Adrasto, ed inchinato ei tacque;
325Risponde il re: tempo è da porre indugio
E tempo è d’affrettar, se disventura
Dell’inimico a guerreggiar ne chiama
Corriamo all’armi: come dunque sorga
La bella Aurora, e ne rimeni il giorno
330Ciascun s’accinga al generale assalto;
Di tutto ciò prendi pensiero Absirto
Con pronto studio, e non soffrir che scemi
Di tuo valore, e di tua fede il pregio
Chiaro cotanto: ei più non disse; e tacque
335La maestà dell’ungaro tiranno:
Incontanente i cavalier partiro;
E fece Absirto trasvolar palese
Il decreto reale infra le squadre;
E co’ duci minor tosto dispiega
340Tutto il tenor della battaglia, e loro
Cresce coraggio ad incontrar la morte
Con forti detti, e se ne va veloce
La fama intorno, e dibattendo l’ali
Grida, ch’all’apparir del bel mattino
345Darassi assalto, e la cittate in preda
Rimarrassi al valor dei più guerrieri:
Quinci le turbe intalentate a guerra
Danno bando al riposo; altri racconcia
Archi mal tesi, altri saette arrota;
350Chi brandi terge, chi cimieri impiuma;
Chi prova il ferro de’ dorati usberghi,
Se fia possente a dileggiare i colpi
Quando più crudo adirerassi Marte:
Qual se talor d’Autunno alma stagione
355Bassareo liberal dell’aureo mosto
Vuol che si calchi in ben cerchiati tini
I grappoli acinosi, ognun s’adopra
Uomini e donne in affilar coltelli,
In tesser vimi, in risaldar graticci;
360Ogni cosa è bigonci, ogni lavoro
È rivedere e racconciare arnesi
Della bramata da ciascun vendemmia:
Tale era quivi rimirar le turbe
Intente a raffinar le spoglie e l’armi.
CANTO TERZO
Con sì fervido cor, con sì fremente
Rabbia nel petto s’attendea che l’Alba
Crocaddobbata aprisse varco in cielo
Mettendo in corso l’immortal Piroo;
5Ma su per l’alto dell’Olimpo eccelso,
Eteree cime, onde il Rettor supremo
Scote la terra, e dà la legge all’onde,
O pur col cenno fa tremar gli abissi
Altro si stabiliva alto decreto:
10E questo fu, che nella mente eterna
Fermò dell’universo il gran monarca
Fare Attila dolente, e di sue colpe
Esporre al guardo uman giusta vendetta;
Però dinanzi a lampeggiante trono
15Di splendore infinito, ove ei s’asside,
Fe’ di Pietro venir l’alma diletta;
Indi sciogliendo dell’eterea voce