Il Dio dei viventi/XXIX
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Finalmente arrivarono al fiume, ridotto a un filo di acqua con pozzanghere qua e là stagnanti fra gli oleandri fioriti, sul greto che pareva una strada sabbiosa e fresca.
Il chiaro di luna, l’incrociarsi delle ombre con le macchie e i cespugli, gli sfondi azzurri e argentei, le figure che camminavano scalze sulla rena e andavano a bagnarsi le mani, il viso e i piedi, e a farsi il segno della croce con l’acqua corrente, tutto infine, dava al luogo una bellezza fantastica.
Rosa si riallacciava le scarpe sedata per terra sul margine del fiume quando vide Bellia con la bambina in braccio e appresso Salvatore. Sognava? O impazziva, quella notte?
— Bellia! — gridò balzando nel grappa dei ragazzi che si strinsero intorno a lei interrogandola di nuovo sull’apparizione.
— Ma sei Bellia davvero? E perchè sei uscito? E perchè hai quella creatura in braccio? Sei diventato pazzo?
— Sono uscito per vedere dove andavi, — egli disse aspramente, irritato perchè lei parlava in quel modo davanti a Salvatore. E lei si fece bianca in viso, stralunò gli occhi e cadde ripiegandosi su sè stessa, come si fosse d’un tratto vuotata.
Era svenuta. I ragazzi si scostarono, fecero un circolo intorno a lei; nessuno osava toccarla. Ma già accorrevano altre donne; le tolsero il fazzoletto di testa, le sciolsero la cintura e le spruzzarono il viso d’acqua.
Ella non rinveniva, bianca alla luna come un cadavere; e Bellia, che aveva messo giù la bambina, guardava ansioso per paura che fosse morta. Anche Salvatore si sporgeva a guardare, ma con curiosità fredda e beffarda: fu lui a raccogliere il fazzoletto nero da testa e un piccolo fazzoletto bianco che le donne avevano lasciato cadere dalla cintura di Rosa.
— È svenuta perchè ha veduto il diavolo, — dicevano i ragazzi: — adesso è certo che l’ha veduto.
— Ma statevi zitti! Ero io che volevo farle paura, — gridò Bellia.
Quel grido parve scuoterla: sospirò, aprì gli occhi.
Salvatore taceva: sapeva già tutto, lui, perchè la madre lo aveva mandato nella sua camera mentre confabulava con Rosa; e aveva sentito l’urlo, di fuori; e adesso capiva tutto. Taceva perchè il maestro gli aveva insegnato così: ma si accorse che il fazzoletto bianco con un’S rossa era un fazzoletto ch’egli aveva dimenticato sulla tavola di cucina, e se lo rimise in tasca; poi lo trasse di nuovo e lo buttò davanti a Rosa assieme col fazzoletto nero, col gesto di uno che butta una borsa d’oro.